sabato 27 gennaio 2018

Abbrivo

Il mare, e la vita in mare, ha tutta una serie di termini particolari, da conoscere se si vuole ambientare una vicenda tra le onde dell'oceano. Ricomincio dalla A con uno di questi, che tra l'altro è uscito dai confini del suo uso per entrare in quello comune, almeno in senso metaforico.

Abbrivo [ab-brì-vo] o abbrivio s.m. (pl. -vi) 1. Spinta iniziale impressa a un'imbarcazione o a qualsiasi veicolo . 2. fig. prendere l'abbrivo, prendere la rincorsa, lo slancio.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Pensando al termine abbrivo, e a una barca in senso proprio o figurato, mi sono venute in mente tre situazioni diverse: una enorme, una di media grandezza, e una minuscola. Ho cercato di metterle insieme in questo brano.


Gli oblò non erano veri oblò. Erano schermi, ma io li fissavo come se davvero fossero finestre sull'esterno. E vedevo qualcosa che fino ad allora pochi avevano avuto la fortuna di guardare, solo che loro erano tornati indietro per raccontarlo. Noi non avremmo più rivisto quel mondo blu e azzurro, i profili dei continenti, le luci che tracciavano il reticolo di città e strade, di relazioni umane. Unito e senza confini, ma così piccolo di fronte a ciò che stava per travolgerlo.
Noi saremmo morti altrove, nello spazio, esuli. Era il prezzo da pagare per dare ad altri un futuro in una nuova terra.
Fissavo gli oblò cercando di imprimermi in mente l'ultima immagine della nostra casa. Mi chiesi se si fosse sentita così anche mia madre, il giorno che salimmo con zio Noah su quella zattera di legno - difficile chiamarla barca - e lei mi strinse la mano mentre zio Noah spingeva via col remo il pontile del molo e spiegava la vela, e la nostra imbarcazione prendeva l'abbrivo verso l'immenso mare aperto. Anche allora non guardai avanti, nell'ignoto che mi attendeva, ma indietro. Io e mia madre guardammo il profilo della nostra isola sparire, inghiottita dal blu senza fine. Non l'avremmo più rivista, lo sapevamo.
La nostra zattera era fragile quanto le barchette di carta che gli altri bambini mi avevano insegnato a costruire, qualche anno più tardi. Vicino alla vecchia fontana, piegavamo i fogli di giornale e li ponevamo sull'acqua stagnante, poi soffiavamo per spingerle incontro al loro destino. Non tornavano mai indietro: noi non avevamo le braccia abbastanza lunghe per riprendere le barche al centro della fontana.
Con la Pinta, la nostra nave generazionale, era la stessa cosa. Ero seduta in una fragile barca di carta che si allontanava dall'unica casa che avessi mai avuto nell'universo; e mentre l'umanità prendeva l'abbrivo per navigare tra le stelle, io non potevo far altro che guardare quello che si stava lasciando alle spalle.

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