lunedì 29 aprile 2024

Jane


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Era la fine del mondo, e le ragazze alla moda erano uscite a pattinare sul ghiaccio. Perché, in fondo, chi credeva a quelli che gridavano "al lupo al lupo", ai continui richiami a mettersi in salvo dalla catastrofe imminente, soprattutto quando si ha tutta la vita davanti e i soldi di papà per godersela? E così le ragazzine coi pattini griffati a tarda sera erano scese in pista e scivolavano elegantemente qua e là, chiacchierando, ridendo e flirtando con ragazzi altrettanto ricchi.
Dall'altura che dominava sul resort di lusso con tanto di Spa, piste da sci e da pattinaggio private, April abbassò il binocolo e mugugnò: – Sei proprio sicuro che devo rischiare la pelle per gente tanto stupida?
– Adoro il tuo entusiasmo prima di una missione, cugina – scherzò Simon al suo fianco, cingendole goffamente la schiena con un braccio alla luce dei fanali.
Era bardato di tutto punto, giaccone e pantaloni isolanti, guanti e perfino un casco con la visiera abbassata, perciò April, quasi altrettanto coperta, non riuscì ad avvertire il familiare calore del suo fuoco, che in mezzo alla neve e con l'aria gelida che le condensava il respiro in soffi di vapore sarebbe stato un toccasana.
Tanto lo so che ti lamenti sempre ma non ti tiri mai indietro, le risuonò nella testa il pensiero di Simon.
Ed era vero. Forse perché lei era stata salvata, anni prima, dalla famiglia di Simon, che l'aveva presa con sé quando lei non aveva nessuno e nessun posto dove andare, e le aveva insegnato a gestire il suo dono; per questo, anche se non si era trattato di un salvataggio tanto drammatico come quello in cui si stava per imbarcare e come gli altri che già aveva affrontato, April si sentiva in dovere di ricambiare il favore, e aiutarli a portare al sicuro quanta più gente possibile.
April scrollò le spalle: – Siamo una bella squadra. E poi, senza di me, come riusciresti a calmare tutta quella gente quando si scatenerà il panico e ad aiutarli a concentrarsi?
La giovane donna col berretto calcato sulla testa gli indicò la pista di pattinaggio illuminata da romantici lampioni a luce led. Senza i binocoli, vedeva a malapena le ragazzine che se la spassavano, incuranti del pericolo imminente.
Da dietro il cingolato da neve li raggiunse un uomo biondo che non dimostrava più di trentacinque anni, ma che April sapeva averne tanti di più. Da quando lo conosceva, il padre di Simon non era mai cambiato.
– Ho la conferma, vengono da questa parte – disse loro, poi si affrettò a salire al posto di guida del cingolato.
Pronta? le chiese Simon, anche se non ce n'era bisogno: April già si era sistemata a tracolla l'arma futuristica che faceva parte del suo equipaggiamento, una specie di fucile a impulsi per quanto ne sapeva, e si accomodava sulla motoslitta dietro al giovane alieno.

Quando piombarono sulla pista da pattinaggio, con due mezzi cingolati e altre tre motoslitte oltre alla loro, inevitabilmente il panico si diffuse da un pattinatore all'altro. April avvertì lo sgomento e la paura che si allargavano come un vischioso liquido scuro, ma aveva già pronta la sua contromisura: onde di calma e fiducia che spinse attorno a sé, aiutandosi con il tono rassicurante della voce, mentre scendeva dalla motoslitta e si allontanava di qualche passo per attirare l'attenzione su di sé: – Va tutto bene. Siamo qui per aiutare. Venite con noi.
Ovviamente la sua non era la voce di un Lanan Crown, non poteva realmente comandare nessuno soltanto parlando come era in grado di fare la presidente che era stata eletta così facilmente quando lei era una ragazzina della stessa età delle più giovani fra quelle pattinatrici. Qualcuno accennò a scivolare lentamente sulle lame dei pattini verso di loro, ma altri, soprattutto al margine più lontano della pista, resistevano alla sua influenza. April avvertì da parte di alcuni di loro guizzi d'odio e pensieri ostili.
Sono gli alieni!
Sono venuti a prenderci, ci manderanno via nello spazio!
Cosa vogliono da noi?
Mostri! Alieni schifosi!
Perché non ci lasciano in pace?
Questa è la nostra terra, che se ne vadano loro!
Per tutta la vita April aveva dovuto combattere con quei pregiudizi. Anche se lei era solo un esper, più umana che aliena, anche se la fazione anti-alieno si era ridotta via via che la novità diventava normalità; nemmeno la conferma da parte degli scienziati indipendenti umani che la presidente Crown aveva detto il vero sul pericolo che minacciava tutti gli abitanti della Terra, che fossero umani o alieni, era bastata a far tacere quelle voci.
Una minoranza ancora li additava come il nemico, e quelli riuniti a pattinare e a divertirsi in quel resort d'alta montagna, in un luogo troppo freddo per essere considerato come meta di vacanza ideale da parte di un alieno come Simon e come i suoi genitori, erano i figli e le figlie di quella minoranza.
Ci mancò poco che April scaricasse su di loro, invece della rassicurante tranquillità che si sforzava di trasmettere, tutta la propria frustrazione.
– Non c'è molto tempo, andiamo! – li esortò di nuovo, cercando di intessere anche una certa fretta e una sana irrequietezza nelle emozioni che stava trasmettendo. Vide i primi staccarsi dal gruppo, pattinare verso i mezzi cingolati e salire.
Arrivano! l'avvertì Simon nella mente, e anche senza guardare in alto, anche senza vedere le scie che striavano il cielo notturno, April seppe che era finito il tempo della persuasione. Perché gli altri che li accompagnavano sulle motoslitte e che fino allora avevano atteso con pazienza, figure poco rassicuranti coperte da capo a piedi come Simon per difendersi dal freddo e con i caschi dalla visiera a specchio che li facevano sembrare tanti anonimi astronauti, erano scesi dai loro mezzi e agguantavano i ragazzi, trascinandoli urlanti nel retro dei cingolati. April si sforzò di soffocare la paura dei ragazzi con quello che considerava l'equivalente di un'anestesia emotiva, una distaccata serenità da meditazione, ma in un contesto di reale e immediato pericolo il suo debole dono non era abbastanza.
– Maledizione! – bofonchiò nel togliersi la tracolla da sopra la testa e imbracciare il fucile.
Da lì in avanti la situazione precipitò rapidamente.
Lampi di luce eclissarono i lampioni a led ed esplosioni fecero schizzare ovunque neve e ghiaccio e frammenti di selciato dal bordo della pista. Un lampione cigolò e si abbatté sul ghiaccio, schivato all'ultimo da uno dei piloti di motoslitta che era andato a recuperare un ragazzo ferito. Urla, e un fuggi fuggi nella sua direzione quando i ragazzi si resero conto delle creature di luce che erano precipitate a terra dal cielo, simili a enormi insetti dalle molte zampe, con lunghi filamenti sottili che facevano schioccare come fruste davanti agli orribili musi in cerca di prede.
– Da questa parte! – urlò Simon, indicando il più vicino cingolato.
Ah, adesso lo hanno capito qual è il vero pericolo, eh? brontolò April col pensiero, mentre puntava il fucile sulla più vicina delle creature. Un istante dopo un fulmine d'ombra la avvolse, e l'insetto di luce si contorse con strida terribili mentre l'energia dell'arma di April lo percorreva da un lato all'altro del corpo sinuoso. Altre di quelle cose però si avventarono su una ragazza a terra dal lato opposto della pista, svenuta, ferita da una gragnuola di ciottoli e ghiaccio al loro arrivo, e un'altra ancora afferrò con i suoi filamenti un ragazzo rimasto impietrito alla vista di quegli orrori. Quello urlò e si agitò in preda a spasmi di dolore quando era ormai troppo tardi, quando la luce famelica della creatura lo stava già consumando. Quelle che non erano impegnate si fecero avanti, sempre più vicine, trattenute a bada a stento dai lampi oscuri del fucile di April e degli altri che l'avevano accompagnata. Ce n'erano troppe, stavolta. Di questo passo, pensò April, non sarebbero riusciti ad andarsene.
Prima di poter annegare nella disperazione, però, April avvertì la risolutezza e un senso di spericolato coraggio sorgere a darle forza come uno scoglio al quale aggrapparsi, e comprese che quelle emozioni provenivano da Simon. Si voltò a guardarlo sollevarsi in piedi sulla motoslitta, ma non fece in tempo a chiedergli che cosa avesse in mente.
Simon dice... giù! le ordinò lui, e April si gettò a terra sulla fredda lastra di ghiaccio, trascinando con sé anche una ragazza terrorizzata che le stava passando accanto, in fuga dalle creature che si erano strette in un semicerchio sempre più vicino ai mezzi cingolati e alle motoslitte. Appena in tempo.
L'istante successivo una ventata gelida le strappò il cappello dalla testa, e le creature che li accerchiavano furono sbalzate indietro di una ventina di metri da quella che April poteva solo definire come una potente esplosione telecinetica. Ne era passato di tempo da quando Simon si limitava a far fluttuare gli origami per divertirla, e anche il suo dono era cresciuto con lui.
– Tutto bene? – chiese April, un po' alla ragazzina, un po' a lui. La ragazza si limitò a un mugolio mentre April l'aiutava ad alzarsi, ma Simon tremava vistosamente. April non riusciva nemmeno a immaginare quanto del suo fuoco avesse consumato in quello sfoggio di potere.
– Sì, ma andiamo via, prima di morire congelati – rispose Simon.
April annuì. Vado con loro, se te la senti di tornare da solo. Hanno bisogno di me, gli fece sapere, accennando a uno dei mezzi cingolati dove i ragazzi erano saliti non del tutto spontaneamente. Non erano più tanto recalcitranti come all'inizio, ma April avvertiva ancora il terrore e la confusione di cui erano preda. Alcuni si erano messi a piangere, altri fissavano il vuoto inebetiti, in preda allo shock. Simon assentì e April si mosse verso il cingolato guidato dallo zio, portando con sé la ragazza che ormai incespicava nei propri pattini. Gli altri piloti di motoslitta, dopo aver tratto in salvo tutti quelli che potevano, si impegnarono a proteggere la ritirata di April con un fuoco di copertura da armi simili alla sua, e con sferzate dei loro doni sotto forma di geyser d'acqua dal terreno e di vampate di fuoco.
April spinse la ragazza nel vano posteriore del mezzo, entrò e chiuse la portiera. Al riparo dall'aria gelida della notte, anche se lei non aveva un'anima di fuoco da proteggere dal freddo, si sentì comunque molto meglio.
Cercò di distogliere la mente dai pensieri lamentosi dei ragazzi pigiati con lei in quello spazio ristretto, ma anche quelli tacquero di colpo quando una voce imperiosa le risuonò nella testa: La squadra di recupero uno ha appena finito di evacuare l'albergo, muoversi, muoversi, andiamo!
I ragazzi sobbalzarono e si guardarono l'un l'altro, ma non per il rombo dei motori del cingolato e delle motoslitte che si accendevano all'unisono, o per la brusca partenza.
Nella sua fretta di avvertire tutti, il padre di Simon si era spinto fin nelle loro menti. Era la prima volta che quei ragazzi avevano a che fare con la telepatia, ed essendo umani non avevano barriere. April trasmise loro un flusso costante di calma e di sollievo, e fu anche per distoglierli dal pensiero estraneo che avevano appena sperimentato che spiegò: – Stiamo andando al rifugio. Vi portiamo dalle vostre famiglie.
Si morse un labbro prima di aggiungere un "mi dispiace per i vostri amici". Non era il momento di ricordare loro l'orrore che avevano appena vissuto.
– Tu... sei un alieno? – chiese uno dei ragazzi più grandi, mentre quella che aveva portato in salvo di persona le si stringeva addosso ancora tremante.
A me non importa che cos'è, diceva la sua mente, m'importa solo che lei c'era.
April rivolse al ragazzo un mezzo sorriso. Per rispondergli, avrebbe dovuto spiegargli troppe cose che lui non sapeva sui cosiddetti alieni. – Se anche lo fossi – si limitò a dirgli, – ti sembro una cattiva persona?
Il ragazzo ci pensò un po' su, poi scosse la testa, e anche altri mormorarono un debole "no".
– Comunque, io mi chiamo April. E voi?
La prima a rispondere fu la ragazzina che era salita per ultima, assieme a lei. April si era aspettata di udire un nome pretenzioso come Grace, Audrey, Evelyne o Madyson, perciò fu molto sorpresa di sentirle dire invece, con voce tremante e in un sussurro: – Sono... sono Jane.
Dovette faticare un po' per trattenersi dal ridere, pessima cosa da fare di fronte a dei ragazzi che avevano appena assistito in prima fila alla fine del mondo, o di quello che era tutto il loro mondo, perlomeno: da lì in avanti, la loro vita sarebbe cambiata. Ma coincidenza voleva che per April, Jane fosse un po' una specie di secondi nome. Era quello che Simon aveva inventato per lei quando era stata la sua vita a cambiare totalmente, e da allora April lo aveva usato ogni volta che aveva avuto bisogno di apparire irrilevante, banale, qualcuno di cui ci si poteva scordare facilmente, soprattutto poi quando il suo vero nome e la sua foto erano stati inseriti nell'elenco dei ragazzi scomparsi.
– Tranquilla, Jane – le disse April, accarezzandole i capelli scomposti costellati da frammenti di ghiaccio. – Va tutto bene. Resterò con voi finché non saremo al sicuro nel rifugio.
Nel frattempo, in un angolo della mente, April seguiva le conversazioni che gli adulti, gli alieni, si scambiavano tra i due mezzi cingolati e le motoslitte.
Non ci stanno seguendo, bene.
La squadra di eliminazione li ha intercettati all'imboccatura della valle.
Perfetto, possiamo andare direttamente al rifugio.
Però non mi piace, sono sempre più numerosi.
Già, abbiamo rischiato grosso, stavolta.
Possiamo accelerare un po' il passo, che io qui fuori ho freddo?
Sapeva che nell'altro mezzo cingolato sua zia, la madre di Simon, stava prestando le prime cure ai feriti. April avvertiva la sua premurosa sollecitudine, ma anche un'insolita nota stonata: un'aspra ansia rabbiosa a malapena trattenuta, un sentimento sgradevole che la pungeva in continuazione come uno spillo, anche se in realtà April sentiva che la sua irritazione era rivolta a Simon.
Non so cos'hai fatto, cugino, ma stavolta sei nei guai, lo avvertì April. Guai seri, molto seri, da catastrofe cosmica. Altro che sciami di locuste aliene. Ti conviene correre a nasconderti non appena arriviamo al rifugio.
April avvertì la risata di Simon nella testa proprio mentre nel mezzo cingolato Jane la abbracciava.
Credo di averne avuto un'anteprima poco fa, ma grazie dell'avvertimento, cugina! replicò Simon.
Attorno ad April pian piano anche gli altri ragazzi, con qualche eccezione da parte dei più diffidenti e di quelli ancora troppo spaventati per ritrovare la voce, si azzardarono a presentarsi e a scambiare qualche parola. April continuò a rassicurarli per il resto del viaggio, con il suo dono più che a voce, dato che i ragazzi erano ancora troppo scossi per ascoltare discorsi complessi, e rimase a guardarli da lontano quando, nel rifugio, come aveva promesso, i ragazzi riabbracciarono i loro genitori, i cui pensieri si erano fatti molto meno ostili dopo quella disavventura.
Il sollievo e la gioia nell'hangar del rifugio erano quasi una materia solida, guastata solo in un angolo dalla disperazione di due famiglie quando un'aliena con il suo stesso dono, e molta più esperienza di April nel comunicare quel genere di notizie, era andata a riferire loro che i figli non sarebbero tornati da quell'infelice vacanza. April preferì concentrarsi su Jane, ascoltarla raccontare quanto era stato spaventoso, e come un potente alieno aveva respinto i mostri, e come una donna gentile l'aveva aiutata. Troppo lontana per sentire la loro voce nel brusio della folla, April non aveva difficoltà nel seguirne i pensieri.
Quante volte ti devo dire che non è per niente educato origliare? le mormorò la familiare voce mentale di Simon, il cui tono divertito sebbene un po' affaticato le strappò un sorriso.
Volevo solo sapere se avevano imparato qualcosa. Tutto è bene quel che finisce bene, no? replicò April.
Già. La squadra di eliminazione avrà già finito di occuparsi della minaccia a quest'ora, le riferì Simon. Che non aggiunse altro, perché la sua attenzione fu attirata dalla madre che si dirigeva in fretta verso di lui, dalla quale April avvertiva furiose vibrazioni di viva apprensione.
– Si può sapere che cos'era quella cosa che hai fatto su al resort? – sbottò la donna, che come il padre di Simon non pareva affatto invecchiata dal giorno in cui April l'aveva incontrata su un autobus. – Mi hai fatto prendere un colpo! Simon, quante volte te lo devo dire che non devi consumare tanto Latmas tutto in una volta? Adesso vieni con me a scaldarti di fronte al caminetto, non costringermi a trascinarti là di peso perché lo faccio, eh?
April scoppiò a ridere mentre la donna conduceva via praticamente quasi spingendolo il giovanotto biondo, e restò a fissare le famiglie riunite, e quella di Jane in particolare. Non sapeva perché le stesse tanto a cuore quella ragazzina, non era solo per il nome, forse era perché la ragazza era rimasta da sola, indietro, e lei si era trovata nel posto e nel momento giusto per darle una mano quando le serviva, e solo per questa coincidenza si era sentita responsabile della sua sicurezza e del suo benessere.
April pensò che cominciava a capire come doveva essere stato per i suoi zii e per Simon scoprire che lei era da sola su quell'autobus, spaventata dall'idea di essere un alieno in mezzo a esseri umani che la odiavano e confusa da un potere che non riusciva a controllare. Adesso poteva escludere con facilità dalla sua mente i pensieri che non voleva ascoltare, ma allora le era stato impossibile filtrarli.
April capiva come mai l'avevano accolta, perché era quello che lei avrebbe fatto per Jane se glielo avesse chiesto, se non avesse già avuto una famiglia che era tutto ciò che la sua, quella in cui era cresciuta per i primi anni, non sarebbe mai stata.
Lo zio, quello che lei considerava suo zio, il padre di Simon, le si affiancò e seguì il suo sguardo verso la ragazzina e la sua famiglia.
– Sai, potremmo cercarli, se vuoi – mormorò l'uomo, accennando col mento alla scenetta di gioioso ritrovo che avevano di fronte. – Guardare gli elenchi, scoprire se la tua famiglia si è imbarcata in una delle caravelle o se è in un rifugio. Magari sono più vicini di quanto pensi...
April scosse la testa. – No, zio, va bene così.
Aveva già provato a riavvicinarsi a loro, dopo il funerale della nonna che l'aveva spinta a fuggire e prima che arrivasse la fine del mondo, ma non aveva funzionato. A voler essere onesta, April non poteva dire che la colpa non fosse anche sua. Aveva chiesto da loro un'accettazione che non potevano darle, non così su due piedi subito dopo aver spiattellato tutti i suoi strambi "poteri alieni", e loro avevano preteso che lei fosse una persona che April sapeva di non poter essere. Una persona normale.
Una persona normale non si sarebbe mai gettata nel bel mezzo di un'invasione aliena per salvare dei ragazzi che nemmeno conosce, perciò grazie, ma io mi preferisco così.
– Sicura? – le chiese lo zio. – Sembra che tu abbia molte cose ancora da dire...
Ci fosse stato Simon, April lo avrebbe chiamato in causa per ricordare anche allo zio che non era educato origliare.
– Sicura – ribatté April. – Non ho bisogno di cercare. La mia famiglia è qui. E ora scusami zio, ma vado da Simon a vedere se ha bisogno di una mano per tenere a bada la collera della zia, sai... potere sulle emozioni! – concluse in tono drammatico, agitando le dita nell'aria. April corse via sorridendo, dopo un'ultima occhiata rivolta a Jane, dai cui pensieri era per il momento scomparsa.
Forse l'avrebbe cercata più tardi per dirle quello che voleva dirle, o forse no, forse la ragazza stava bene così, ma se non era quello il caso...
Se ti serve qualcosa, se hai bisogno di aiuto, chiedi di me, Jane. Non sono la tua famiglia, tu una famiglia ce l'hai, ma se vuoi, posso esserti amica.

sabato 27 aprile 2024

Correggia

Correggia [cor-rég-gia] s.f. (pl. -ge) Striscia, cinghia di cuoio.

Etimologia: da latino corrigia, derivato da corium, "cuoio", o da corrigere, "raddrizzare".



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Foto di Gustavo Fring da Pexels


Ai piani bassi delle torri in cui i gremlin abitavano, non viveva nessuno. Le scale erano ostruite o distrutte, e gli ascensori erano stati da tempo smontati per ricavare i pezzi tanto utili alle invenzioni con cui i gremlin della Terra del Vapore si dilettavano.
Dovetti ammettere che era un'ottima strategia difensiva: oltre a vedere più lontano e a notare subito chiunque si avvicinasse da terra, quella sistemazione assicurava loro che nessuno privo di ali potesse raggiungerli. Certo, gli esseri umani della Terra del Vapore avevano i loro marchingegni volanti, ma li avrebbero usati a loro rischio e pericolo vicino a un gruppo di gremlin pronti a smontarli mentre erano in volo. Da quando avevo conosciuto Talon avevo fatto qualche ricerca e sapevo che anche nel mio mondo circolavano storie sui gremlin che causavano malfunzionamenti agli aerei. Nessuno però li aveva visti abbastanza da vicino da capire quanto fossero simili agli esseri umani, ali e piedi a parte.
Il problema di come sarei salita io che le ali non ce le avevo fu presto risolto: grazie ai pezzi di ricambio ricavati dalle carcasse di veicoli e marchingegni sparsi attorno alle torri, i gremlin costruirono un montacarichi esterno provvisorio. Era un ingegnoso sistema di ruote collegate da corregge e ingranaggi azionati da manovelle e chissà che altro, io che non ero un gremlin non ci capivo granché anche se Talon aveva provato a spiegarmelo. Passare qualche tempo tra i gremlin più anziani, che erano inventori esperti a differenza dei giovani scapestrati che ne combinavano una giusta una volta su dieci, mi rivelò quanto fossero geniali. D'altra parte gli umani del loro mondo non avevano nulla di paragonabile al marchingegno che apriva il portale tra le nostre terre.
Se solo avessero costruito da sé ciò che usavano invece di "prenderlo in prestito", vestiti compresi notai nello scorgere pantaloni troppo larghi stretti in vita da corregge annodate e casacche tagliuzzate sulla schiena per far spazio alle ali!

giovedì 25 aprile 2024

Audioracconto - Occhi


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Foto di Lisa Fotios da Pexels


Un prigioniero si sente continuamente spiato... è solo un'impressione, o c'è qualcosa di più?

Occhi
(racconto breve adatto ai bambini e perché no, anche agli adulti!)


Trovi gli altri racconti sul canale YouTube: https://www.youtube.com/@lavocedellapiuma

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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2021/12/occhi.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musica: Day of Chaos by Kevin MacLeod (https://incompetech.com/)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=_b20chGqKfA);
Microchip di Jason Farnham
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=7G_G-CW34xE).

Immagini di: Lisa Fotios (https://www.pexels.com/it-it/foto/bianco-e-nero-uomo-mano-faccia-10261320/), Jimmy Chan (https://www.pexels.com/it-it/foto/corridoio-con-finestra-1309902/), Cameron Casey (https://www.pexels.com/it-it/foto/griglia-in-acciaio-grigio-1687067/), Jonathan Borba (https://www.pexels.com/it-it/foto/occhio-umano-marrone-2873058/), Alexandr (https://www.pexels.com/it-it/foto/uomo-arrabbiato-barre-di-metallo-prigione-7670914/), Pixabay (https://www.pexels.com/it-it/foto/display-del-pianeta-blu-e-bianco-87009/), da Pexels, distribuite ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).
Foto di Sebastian Ganso (https://pixabay.com/it/photos/polpo-pesce-mare-profondo-mostro-2745286/), C.M. Zijderveld (https://pixabay.com/it/photos/organizzare-disordine-caos-457785/), da Pixabay, distribuito ad uso gratuito (https://pixabay.com/it/service/license-summary/).

lunedì 22 aprile 2024

Ricerca tra i ghiacci


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Il rombo sordo del motore le ronzava nelle orecchie mentre gli sci della motoslitta volavano sulla candida distesa piatta della pianura innevata. Era una splendida giornata sul tetto del mondo, con un sole pallido che attenuava il morso del gelo e splendeva abbacinante in riflessi traditori che l'avrebbero accecata, non fosse stato per la visiera scura del suo casco. Kall'te era preparata a quella lunga marcia. Era da tutta la vita che si preparava per quella che considerava "la missione della sua vita".
Quella era la parte più facile. Era addirittura piacevole procedere così spedita, senza nemmeno far fatica, senza un solo ostacolo in vista, e quel minimo di freddo che le intirizziva le mani avvolte nei guanti, o le spruzzate di neve sollevate dai bordi degli sci che impattavano contro la curva del parabrezza non la impensierivano. Kall'te sapeva che la vera sfida sarebbe giunta di notte, con il Vero Freddo che congelava qualunque cosa smettesse di muoversi, e le sole stelle a orientare il suo cammino. Il vento solare che dava vita a luci danzanti nel buio era troppo intenso lì per le delicate strumentazioni moderne che accompagnavano i viaggiatori in qualsiasi altra parte del mondo con la loro promessa di aiutarli a trovare sempre la loro meta. Così a nord, il viaggio era quasi lo stesso di secoli fa.
Quasi.
La motoslitta aveva sostituito le tradizionali slitte a trazione animale, con tutti i problemi che comportava doversi portare dietro altri esseri viventi da sfamare e accudire e proteggere dal Vero Freddo della notte. Ma la motoslitta poteva arrivare fino a un certo punto. Dopo, Kall'te sapeva che dipendeva tutto da lei.
Come coloro che l'avevano preceduta, Kall'te aveva studiato quel viaggio nei minimi dettagli, aveva osservato le mappe, riletto gli appunti lasciati dai suoi predecessori, da quelli che avevano rinunciato, almeno, ed erano tornati indietro per raccontarlo. Kall'te poteva imparare dai loro errori, se non altro.
Doveva accontentarsi di quelle esperienze parziali, poiché non avrebbe avuto notizie da coloro che avevano fallito così come da coloro che avevano avuto successo. Gli uni e gli altri erano semplicemente scomparsi.
Nessuno tornava mai indietro, una volta raggiunta la meta. Non c'era motivo di farlo.
Partendo Kall'te aveva detto addio a tutti coloro che conosceva, perché in qualunque modo fosse finita la sua impresa, lei non aveva intenzione di rinunciare alla Ricerca.
Quella era un'occasione che capitava una sola volta nella vita.
Il sole era quasi giunto al tramonto. Presto sarebbe cominciata la prima di una serie di notti sempre più brevi man mano che Kall'te si spingeva verso nord, finché il sole non sarebbe tramontato più e si sarebbe limitato a sfiorare l'orizzonte. Questo almeno diceva chi era arrivato così lontano da sfiorare quasi la meta. Kall'te non poteva far altro che fidarsi delle parole che ormai conosceva a memoria da quante volte le aveva lette e rilette.
In sella alla motoslitta, Kall'te strinse i denti e si preparò a resistere alla pungente tortura del Vero Freddo che di lì a poco l'avrebbe investita con tutta la sua forza.

Un'altra alba sorse e Kall'te si meravigliò di essere giunta così lontano. La motoslitta aveva ceduto giorni addietro, e se prima Kall'te aveva pensato che quel rombo continuo l'avrebbe fatta uscire di testa, in quel momento avrebbe dato di tutto per sentire qualcosa, qualunque cosa, che non fosse il silenzio ovattato dei suoi passi. Il Vero Freddo si era preso due dita delle sue mani, ma la notte durava sempre meno, e ciò la rinfrancava. Gli appunti dei suoi predecessori in quello non avevano mentito.
Se solo non fosse stato tutto così dannatamente silenzioso!
Rifletti. È così che deve essere, si disse Kall'te.
Il più grande tempio della conoscenza mai esistito non poteva che sorgere nel luogo più silenzioso dell'intero creato.
Per i primi giorni, dopo che aveva abbandonato la motoslitta ormai inservibile, Kall'te era stata tormentata da un fischio continuo nelle orecchie. Lo aveva odiato, ma non più da quando anche quel rumore fantasma era scomparso. Avrebbe potuto parlare, ma non ne vedeva l'utilità, dato che nessuno a parte lei l'avrebbe udita. Inoltre, non voleva sprecare il fiato che si condensava in preziose nuvolette di tiepido vapore non appena lasciato il suo corpo. Quel calore era tutto ciò che le restava, tutto ciò che la separava da un brusco termine del suo viaggio, dal fallimento, dalla morte per congelamento.
La notte aveva smesso di calare quando Kall'te lo trovò, perciò non sapeva più dire da quanti giorni fosse in viaggio, né se fosse giorno o notte, in quel momento, nel luogo che aveva chiamato casa, e che aveva abbandonato. Sapeva solo che le mancavano le stelle, e si sentiva persa senza la loro guida, e sì, le mancavano anche le splendide, inutili luci danzanti che le avevano ispirato tanta meraviglia.
Perciò trovare l'ingresso fu una sorpresa. Kall'te ci era arrivata vagando a caso, e d'altra parte, quella galleria di ghiaccio che scendeva nelle viscere della terra non sembrava affatto diversa da una caverna naturale. Non c'era alcuna insegna che la identificasse, né una serie di colonne scolpite nel ghiaccio cristallino, né un'imponente architettura barocca o postmoderna a fare da cornice a quell'ingresso. Solo un buco nel terreno. Una semplice tana d'orso.
Kall'te avrebbe addirittura pensato di essere nel posto sbagliato, se poco più avanti non fossero cominciati i gradini. Li percorse in reverente silenzio, come si confaceva a un simile luogo, avvolta in riflessi di luce azzurrina e accolta da un soffio d'aria insolitamente tiepido per quel clima e quella latitudine.
Nessuno sapeva davvero che cosa avrebbe trovato in fondo a quella tortuosa rampa di scale che risuonava lievemente come l'interno di una conchiglia. Le leggende parlavano di un labirinto, e di mostri da affrontare, ma erano soltanto ipotesi. Chi era arrivato dove lei si trovava, non era tornato indietro per raccontarlo.
Un uomo l'accolse ai piedi delle scale. Teneva un libro tra le mani, e la luce che si sprigionava dalle pagine in eleganti figure olografiche accompagnate da didascalie mutevoli si rifletteva sugli occhiali.
Kall'te, che si aspettava da lui un enigma da risolvere come prova del suo valore, si umettò le labbra per parlare, ma l'uomo le fece cenno con un dito di tacere e le indicò di seguirlo.
Il lungo corridoio che percorse dietro di lui, in silenzio, guidata dal bagliore che si sprigionava dal libro, si aprì infine in una balconata, e quando Kall'te si sporse, rimase a bocca aperta. File su file di scaffali ricolmi di libri, dal pavimento fino al soffitto, e figurette che si aggiravano tra di essi così in basso da sembrare minuscole formiche tanto era grande la caverna, che non era che la prima di molte sale collegate, come scoprì Kall'te in seguito. L'uomo la condusse giù lungo un'interminabile rampa di scale, e una volta che fu giunta tra coloro che come lei avevano avuto successo, che prima di lei avevano raggiunto quell'agognata meta, non ebbe bisogno di dirle che avrebbe potuto leggere tutti i libri che voleva, esplorare a suo piacimento l'immensa Biblioteca dei Ghiacci, il più grande tempio della conoscenza mai creato.
Kall'te era la più recente tra i suoi custodi, ma le ci volle poco per abituarsi a quella vita di studio silenzioso, e ancor meno per capire perché nessuno tornava mai da quell'impresa.
Era libera di lasciare la biblioteca quando lo desiderava, ma con tutta la conoscenza del mondo a propria disposizione, chi mai lo avrebbe voluto?

sabato 20 aprile 2024

Ampolloso

Ampolloso [am-pol-ló-so] agg. caratterizzato dal gusto per un'espressione verbale solenne, ricca di amplificazioni, retoricamente ornata; magniloquente, enfatico.

Etimologia: dal latino ampulla, "ampolla", ma anche "discorso gonfio e pomposo", probabile diminutivo di amphora, "vaso a manichi".


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Becca Correia da Pexels


La lettera era scritta in una calligrafia barocca, piena di svolazzi e slanci, e lo stile era affettato e ampolloso oltre ogni dire. Non si sarebbe mai aspettata una simile ostentazione di piacevolezza dato l'argomento di quella missiva.
La rottura di una promessa, un addio. Per quanto si potesse indorarla, quella dichiarazione restava comunque un affronto. Anzi, sarebbe stato meglio, più onesto, se fosse stata scritta in maniera diretta, scarna, senza troppi giri di parole. Se proprio lui non poteva dirglielo di persona, faccia a faccia.
Lei accartocciò la lettera, si alzò in piedi, si allontanò. Le mani strette a pugno, nella sua mente ripeté più e più volte le parole della lettera, suo malgrado. Provò a immaginarselo davanti, a pronunciarle in un discorso ampolloso, la voce cantilenante come se l'avesse imparato a memoria così che le parole perdevano di senso alle sue stesse orecchie, oltre che a quelle di lei. Poi immaginò di allungare le mani come per accarezzare il suo volto, ma di afferrargli invece la gola, e stringere, stringere, stringere.
La vista le si velò di rosso e lei fece un passo indietro, con sgomento, come se lui fosse stato realmente lì, davanti ai suoi occhi.
Una risata sommessa si fece strada tra i suoi pensieri. La voce era quella di un uomo, ma non era quella di lui, né la voce di alcun altro lei avesse mai udito.
Sì... lo vuoi, vero? Puoi averlo, possiamo averlo tutto per noi...
Lei cercò di distogliere la mente da quella voce, da quei pensieri, ma la voce continuò a chiamarla in tono sommesso, con un nome che lei non riconobbe: Lamia, Lamia... non resistere. Con la vendetta diventa ancora più squisito...
– Sto impazzendo – ammise lei, e quel giorno stesso fece i bagagli e tentò di fuggire da Venezia.
E fu allora che divenne quel che era destinata a essere, per sempre.

giovedì 18 aprile 2024

Audioracconto - L'eroe insoddisfatto


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Ron Lach da Pexels


Che cosa c'è dopo il "vissero per sempre felici e contenti"?

L'eroe insoddisfatto
(racconto breve adatto ai bambini e perché no, anche agli adulti!)


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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2022/03/leroe-insoddisfatto.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musica: Court and Page di Silent Partner
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=MyzwkDewpUY).

Immagini di: Ron Lach (https://www.pexels.com/it-it/foto/moda-uomo-abito-occhiali-da-sole-9758162/), Pedro Figueras (https://www.pexels.com/it-it/foto/persona-dietro-la-copertura-bianca-626164/) e (https://www.pexels.com/it-it/foto/mano-della-persona-che-tocca-la-parete-626163/), Carlos Fernando Caupers (https://www.pexels.com/it-it/foto/cielo-vacanza-arte-punto-di-riferimento-4491786/), Pixabay (https://www.pexels.com/it-it/foto/lotto-di-lingotti-d-oro-47047/), HANUMAN PHOTO STUDIO🏕️📸 (https://www.pexels.com/it-it/foto/uomo-amore-persone-donna-19153798/), Jacqueline James (https://www.pexels.com/it-it/foto/bianco-e-nero-uomo-coppia-donna-20272457/), Olya Prutskova (https://www.pexels.com/it-it/foto/luce-leggero-bianco-e-nero-cielo-7163732/), Fernando Cortés (https://www.pexels.com/it-it/foto/uomo-ritratto-costume-medievale-10068866/), Monstera Production (https://www.pexels.com/it-it/foto/marketing-donna-mano-notebook-6373293/), Mike Bird (https://www.pexels.com/it-it/foto/ragazzo-che-indossa-la-statua-della-corona-189528/), Craig Adderley (https://www.pexels.com/it-it/foto/drago-dalla-coda-di-corno-ungherese-agli-universal-studios-3359734/), Juan Felipe Ramírez (https://www.pexels.com/it-it/foto/foresta-ritratto-costume-mostro-14403757/), furkanfdemir (https://www.pexels.com/it-it/foto/donna-notebook-scrittura-scrivendo-7080696/), James Wheeler (https://www.pexels.com/it-it/foto/foto-del-percorso-circondato-da-abeti-1578750/), mohamed abdelghaffar (https://www.pexels.com/it-it/foto/foto-in-scala-di-grigi-di-un-uomo-che-indossa-maglione-785746/), da Pexels, distribuite ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

lunedì 15 aprile 2024

Non era invidia


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Andrea Piacquadio da Pexels


Non ho mai invidiato gli altri ragazzi, quelli che stanno fermi in un posto solo. Per me era come se fossero parte del paesaggio visto dal finestrino di un treno. Un finestrino aperto, poiché conoscevo i loro nomi e arrivavo anche a sentire parte della loro storia, nei pochi mesi che condividevano. Non arrivavo mai a conoscerli del tutto, o a considerarli degli amici.
Non è che preferissi non affezionarmi. Io avrei anche voluto, sebbene loro fossero altro, parte del paesaggio, non della famiglia con cui avrei passato tutta la vita.
Loro, spesso, non lo rendevano facile.
Avevano già i loro amici. Io ero un'estranea, una straniera. E gli bastava guardarmi, vedere la mia cicatrice, per decidere che anche se tutto ciò che ci separava e ci rendeva diversi non contava, quello sì, contava parecchio.
Pensavo non m'importasse, perché tanto, chi ha bisogno di amici quando si ha la fortuna di avere così tante zie e cugine? Senza contare Maipe, Maipe era mio amico, e mi avrebbe seguito ovunque fossi andata.
E comunque, tempo pochi mesi e io quei ragazzi cattivi non li avrei più rivisti. Non puoi piangere per un brutto paesaggio, mi dicevo, presto il treno correrà avanti e quello dopo sarà migliore di questo.
Ma non lo era mai, e io mi disperavo ugualmente.
Enrico era l'unico che avrei rimpianto una volta che il mio treno avrebbe lasciato quell'ennesima stazione. Lui era stato il mio bel paesaggio fin dall'inizio. Non mi aveva mai guardato come mi guardavano gli altri, non aveva mai detto cattive parole alle mie spalle. Era stato curioso, sinceramente curioso. E alla fine aveva saputo di me ciò che a nessun estraneo avevo mai rivelato. Il segreto della mia famiglia.
Una volta gli avevo detto che invidiavo il Natale degli altri ragazzi, ma non era del tutto vero.
Non invidiavo i loro momenti di gioia, il loro Natale. I regali che io non avrei mai avuto. Il caos frenetico delle giornate che lo precedevano, l'aspettativa trepidante, il traffico chiassoso degli acquisti.
Non gli invidiavo i canti festivi e il tintinnare delle campanelle, sebbene mi attirassero irresistibilmente, forse perché mi rammentavano i miei primi, vaghi ricordi di Maipe che cantava per me quand'ero bambina. Né gli invidiavo le luminarie e gli abeti sfavillanti di lucine colorate, il sapore di dolci sconosciuti o il tepore di una cioccolata calda e di un caminetto acceso.
Noi, in famiglia, avevamo le nostre storie, le nostre tradizioni, le nostre luci, luci viventi che duravano per tutto l'anno, e non solo a Natale.
Quello che chiedevo era solo, per una volta, poter avere un bel paesaggio. Giocare in mezzo alla neve con un amico. Ridere assieme, invece di sentir ridere di me. Non era poi una pretesa impossibile, no?
Quell'anno fu il mio anno magico, perché fu l'anno in cui il mio desiderio si avverò. E anche se alla fine dovetti andarmene, come facevo sempre, ricordo ancora con piacere e una fitta di nostalgia quel bellissimo paesaggio che mi sono lasciata alle spalle.
Di quelli che non vanno da nessuna parte, io invidio la possibilità di avere una seconda occasione. Per loro è facile tornare sui propri passi, incontrare di nuovo le stesse persone, riprendere i fili di conoscenze strappate.
Noi no, non lo facciamo mai. Non torniamo indietro, non ci fissiamo sul nostro passato, a chiederci quel che sarebbe potuto essere, e non è. Almeno, questo in teoria, perché io non riuscivo a smettere di pensare al ragazzo che conosce il mio segreto.
Una volta, zia Cin mi ha raccontato della mamma e di Natiel, e allora io ho capito che la mia storia non era solo mia. Come Enrico, Natiel sapeva il segreto di famiglia, e la mamma aveva persino pensato di sposarlo. Ma erano entrambi ragazzini, troppo giovani, e nonna Tamesi non aveva voluto.
Mamma non era mai tornata indietro per Natiel, una volta cresciuta abbastanza. O meglio, la famiglia non era mai tornata a fermarsi nella zona dove lui viveva, e poi mamma aveva trovato papà ed era andata avanti.
Io però non voglio fare così. Questo è il secondo Natale che passo in questa città, e mi sembra magico quanto quello che ho avuto da bambina. Avrei persino lasciato la famiglia per averlo, ma non è stato necessario.
Mamma ha capito. È lei a guidare la famiglia, adesso.
Ha capito che per andare avanti, in un modo o nell'altro, io devo prima fare un passo indietro. Capire se può essere adesso quel che non è stato allora, se nel rivedere Enrico troverò un amico o un estraneo.
Se ancora vive qui, non può non sapere che siamo arrivati. La nostra tenda è quella di sempre, e le notizie girano in fretta.
Lo aspetto qui, nella neve che cade lieve, con la luce di Maipe accanto.

sabato 13 aprile 2024

Simulacro

Simulacro [si-mu-là-cro] s.m. 1. Immagine o statua di una divinità; statua o monumento in genere. 2. fig. Parvenza, immagine lontana dalla realtà effettiva. 3. lett. (al pl.) Vestigia, monumenti, testimonianze del passato.

Etimologia: dal latino simulacrum, composto dal tema simula, da simulare, "rappresentare", e dal suffisso crum, che indica, "mezzo" o "strumento".



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Agung Pandit Wiguna da Pexels


Nell'angolo più appartato del giardino, celata da una selva di rami rigogliosi, scovai il simulacro di un'antica dea acquatica. Come quando avevo rinvenuto il loro libro delle ombre, con quell'incantesimo così provvidenziale e prezioso, mi chiesi chi potessero essere stati prima di me i proprietari di quella casa. Non sapevo se la statua fosse una riproduzione, o se un esploratore dei tempi andati l'avesse portata qui da qualche remoto angolo del pianeta, ma capivo anche senza toccarla che la dea impressa nella pietra era stata a lungo venerata.
Io non avevo bisogno di una statua per riconoscere l'essenza degli Dei nel creato, tuttavia, per rispetto degli spiriti degli vecchi proprietari della casa, liberai delicatamente la statua dalla sua prigione verde, permettendole di rivedere il sole. Mentre spostavo i ramoscelli, pronunciando parole cariche di potere per convincerli a curvarsi in altre direzioni, avvertii come una carezza la sua presenza.
Era uno spirito, ma non quello dell'antica dea, era uno spirito che conoscevo. Era la mia guida, il mio compagno di altre vite, la mia anima gemella.
– Ben fatto – mi disse, nel riconoscere il motivo che mi aveva indotto a occuparmi della statua.
Non eravamo destinati a condividere questa vita, non nel modo che io agognavo. Ma in quella casa avevo trovato una soluzione, per quanto folle.
Allungai una mano verso la sua guancia e come già tante volte mi era accaduto negli ultimi giorni, nel percepire la sua pelle sotto le mie dita provai un calore e una gioia incontenibile.
– Questo corpo non è che un simulacro – mi rammentò lui. – L'incantesimo non durerà. E ciò che hai fatto è sbagliato.
Aveva protestato, e molto, dall'alto della sua incommensurabile saggezza. Lo capivo: era il suo ruolo guidarmi in questa vita. Eppure, ogni volta dopo le proteste si avvicinava a me, e mi baciava, e mi stringeva in un abbraccio. E io sospettavo che non sarebbe passato molto prima che andassimo oltre.
In fondo, era ciò che voleva anche lui.

giovedì 11 aprile 2024

Audioracconto - Ammaliante inganno


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Maria Clara Alvarenga da Pexels


*** Attenzione ***
Per il tema narrato o il contenuto di alcune scene l'ascolto di questo racconto non è adatto ai bambini e a un pubblico sensibile.
*******

Una sirena dal canto ipnotico, una predatrice letale, una donna innamorata e tradita. Tutto questo, dietro un bel sorriso innocente. Dall'altra parte c'è lui, Thomas, che non sa di essere caduto in una trappola.

Ammaliante inganno
(racconto breve di genere rosa/horror)


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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2022/11/ammaliante-inganno.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Immagine di: Maria Clara Alvarenga (https://www.pexels.com/it-it/foto/bianco-e-nero-donna-ritratto-sorridente-12816409/), da Pexels, distribuita ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

Video di: Javier Lemus (https://www.pexels.com/it-it/video/onde-che-si-infrangono-sulla-riva-2439510/), Pixabay (https://www.pexels.com/it-it/video/onde-durante-il-tramonto-855257/) e (https://www.pexels.com/it-it/video/onde-oceaniche-856204/), Kelly (https://www.pexels.com/it-it/video/monitoraggio-di-una-barca-in-velocita-in-acqua-2711239/), Mikhail Nilov (https://www.pexels.com/it-it/video/mare-natura-cielo-spiaggia-6981408/), Merve Sezer (https://www.pexels.com/it-it/video/mare-natura-acqua-oceano-8214778/), Rostislav Uzunov (https://www.pexels.com/it-it/video/mare-acqua-blu-oceano-7513671/), James Cheney (https://www.pexels.com/it-it/video/acqua-blu-sole-nuotare-2632737/), james (https://www.pexels.com/it-it/video/uomo-persona-occhi-modello-5125834/), Jorge Tapia (https://www.pexels.com/it-it/video/veicoli-natura-uomo-persone-5340699/), Joshua (https://www.pexels.com/it-it/video/rosso-arte-creativo-acqua-6739393/), Engin Akyurt (https://www.pexels.com/it-it/video/arte-creativo-acqua-modello-5594765/) e (https://www.pexels.com/it-it/video/rosso-arte-acqua-trama-5594562/), Dan Cristian Pădureț (https://www.pexels.com/it-it/video/arte-scuro-modello-astratto-5575173/) da Pexels, distribuite ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

Effetti sonori per il canto della sirena: sound #8.mp3 (https://freesound.org/people/selinaM21/sounds/569624/) e sound #5.mp3 (https://freesound.org/people/selinaM21/sounds/569621/) di selinaM21, da FreeSound, sotto licenza Creative Commons: By Attribution 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/3.0/);
Altri effetti sonori da FreeSound (https://freesound.org/) sotto licenza Creative Commons 0 (https://creativecommons.org/publicdomain/zero/1.0/).

lunedì 8 aprile 2024

La Sposa del Deserto


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Pixabay da Pexels


Era una tradizione, quella di Vostaldjertarn, l'Ultimo Giardino, la Perla del Sud, che risaliva a molti secoli addietro, e non si era mai interrotta, neppure quando le nazioni dei crudeli cannibali del nord avevano mosso guerra alle pacifiche città verdi, invadendole e saccheggiandole una dopo l'altra. Anzi, a maggior ragione, Vostaldjertarn proseguiva nel conservare intatto quel costume, perché in tempi di guerra una speranza effimera, una leggenda, era preferibile all'abbandonarsi alla disperazione.
L'Ultimo Giardino ai confini del deserto combatteva da sempre contro l'avanzare delle terre aride, e forse questa antica battaglia era all'origine della tradizione della Sposa del Deserto.
Ogni anno, nel giorno più lungo, una giovane donna in età da marito, ma non ancora promessa ad alcuno, veniva scelta e preparata a incontrare un invisibile sposo tra le dune di sabbia. Ogni anno, nel giorno più lungo, la donna e coloro che l'accompagnavano attendevano al riparo di una tenda, e ogni anno tornavano a casa disidratati e con un principio di insolazione.
Non accadeva mai nulla alla Sposa del Deserto al di fuori di questo, ma a Vostaldjertarn continuavano a mandare una sposa designata anno dopo anno, perché secondo la leggenda la Sposa del Deserto avrebbe assicurato la pace, la prosperità e la gioia agli abitanti di Vostaldjertarn e di tutte le città verdi. Qualcuno tra i più anziani si spingeva addirittura ad affermare che il compito della Sposa del Deserto era quello di salvare il mondo.
Che fosse vero oppure no, era un onore e una grande responsabilità essere scelta come Sposa del Deserto.
Dinalys non credeva alle vecchie leggende, eppure, quando fu il suo turno, non si tirò indietro. Chi mai lo avrebbe fatto, al suo posto, con la prospettiva di una rendita assicurata per un anno a fronte di quel piccolo fastidio? La Sposa del Deserto non avrebbe portato pace, prosperità e gioia a tutta la regione, ma a lei di sicuro sì.
Questo Dinalys pensava mentre le donne le lavavano la pelle e la profumavano con oli di Xar e di Jalanth, le acconciavano i capelli e la aiutavano a indossare il più bell'abito che lei avesse mai visto. Stretto in vita e sul petto, morbido sui fianchi, ampio e vaporoso sulle gambe con un lunghissimo strascico, il vestito candido era un impeccabile capolavoro di ricamo in leggerissima tela di ragno che aveva richiesto mesi alle migliori sarte di Vostaldjertarn per essere tessuto, e che si sarebbe poi riempito di sabbia e intriso di sudore appiccicoso per tutto il giorno. Questo Dinalys pensava, pragmatica com'era, mentre le coprivano il capo con un velo di tulle bordato da un ricamo di pizzo dai motivi floreali.
Tutto in nome di uno sposo immaginario che non l'avrebbe mai vista.
Com'era consuetudine, Dinalys partì all'alba accompagnata da suo fratello e da uno zio. Non aveva voluto coinvolgere in quella farsa suo padre: gli aveva detto che sarebbe tornata così com'era andata, da donna libera, e dunque non aveva bisogno di lui, e mentre arrancava tra dune roventi trattenendo su un braccio lo strascico, pensò che aveva fatto bene a non portarlo in quell'inferno.
Piantarono la tenda all'ombra di una duna, quando suo zio giudicò di essere sufficientemente lontani dalla città da poter essere "dall'altra parte del mondo, per quanto ne sapevano".
E lì, con il soffio costante e lieve che gettava spruzzi di sabbia ai suoi piedi, Dinalys e i suoi accompagnatori di accinsero ad attendere.
Di tanto in tanto, suo fratello e suo zio si passavano un cannocchiale, scrutavano l'ampia distesa di sabbia, e commentavano: – Ancora nessuno.
Dinalys si sarebbe volentieri messa a dormire, se il caldo asfissiante non glielo avesse impedito. Cominciava anche a pensare che forse un solo anno di rendita non era sufficiente a compensarla di tutto il disagio che stava patendo, quando all'improvviso suo fratello sbottò: – Arriva qualcuno!
Lo zio, che non gli credeva, si fece passare il cannocchiale. Ma non lo poté rimproverare e criticare per aver visto un miraggio e averlo scambiato per una persona, perché davvero arrivava qualcuno.
Lo straniero avanzava intabarrato in un mantello color ocra, poco più scuro della sabbia del deserto, che lo nascondeva a occhi distratti, e il suo volto era coperto da un copricapo di una sfumatura più chiara che celava i suoi lineamenti in volute di tessuto, lasciando scoperta solo un fascia in corrispondenza degli occhi. Dinalys vide qualcosa scintillare alla luce del sole suo suo volto, ma non capì cosa fosse, e pensò a un gioiello, almeno finché suo zio non sbottò allarmato: – Gli occhi! Ha gli occhi che brillano, è un demone del nord, un dannato cannibale del nord!
Tutti, al sud, sapevano riconoscere il segno del peccato. Gli uomini del nord che mangiavano carne umana erano maledetti, segnati da freddi occhi color argento, così che non avrebbero mai potuto nascondere il loro vizio, ovunque andassero. In realtà, vi era una spiegazione scientifica assai semplice: con la loro dieta contro natura, un pasto dopo l'altro, accumulavano nell'organismo la crolanina, la polvere d'argento che si depositava principalmente nelle iridi, mutandone il colore.
Dinalys tremò. Non era uno sposo del deserto, quello che stava venendo a prenderla.
– Che ci fa uno di quei demoni così a sud? – brontolò suo zio, e mise mano al fucile che aveva portato per precauzione. Subito, però, si piegò in due e si portò le mani alla testa.
– Zio! – urlò suo fratello, prima di crollare in ginocchio.
Dinalys rimase in piedi, nel suo splendido abito bianco da sposa lordato dalla sabbia e dal sudore, ad attendere quello che ormai si domandava se fosse davvero un uomo.
Non pensava più che fosse un soldato del nord, no, qualcosa nel suo atteggiamento glielo aveva fatto escludere. E quando fu abbastanza vicino, Dinalys vide che non aveva occhi d'argento, ma dorati, scintillanti occhi color del sole colmi di un inspiegabile affetto. Adorazione, quasi.
– Chi sei? – gli chiese, quando l'uomo dagli occhi dorati si fermò nell'aria rovente del deserto, a pochi passi da lei.
Lo straniero non rispose, non a parole, ma Dinalys ottenne molto più di quello che aveva chiesto. La conoscenza esplose nella sua mente in vivide immagini e sensazioni potenti, e Dinalys vide una bestia enorme, un mostro alato dalle squame scintillanti d'oro, una creatura di leggenda capace di plasmare la sabbia del deserto in palazzi e giardini e fonti d'acqua fresca, e lo avrebbe fatto per lei, se solo lo avesse voluto. Dinalys allora capì che lo straniero le aveva detto il suo nome, che nella sua lingua senza parole equivaleva a mostrarle tutto ciò che lui era, e fece di più quando le mostrò chi lei era per lui, chi poteva essere se lo desiderava, e quanto l'aveva attesa.
Dinalys gli sorrise, per nulla intimorita. – Sì, lo voglio – mormorò, e si mosse per andargli incontro, lasciando l'ombra della tenda. Ma suo zio, che si era ripreso abbastanza, allungò una mano a trattenerla, stringendole un braccio. – Din, sciocca ragazza, resta qui! Non lo vedi... non vedi cos'è?
– Lo vedo, zio, e proprio per questo devo andare – ribatté Dinalys.
Che ironia, proprio lei che non aveva mai creduto alla leggenda era l'unica autentica Sposa del Deserto, la donna che avrebbe salvato il mondo.

sabato 6 aprile 2024

Epicedio

Epicedio [e-pi-cè-dio] s.m. (pl. -di) Nell'antica Grecia, canto di accompagnamento del defunto; estens. componimento funebre.

Etimologia: da latino epicedion, a sua volta derivato dal greco epikedeion, composto da epi, "per", e da kedos, "cura, dolore, lutto".


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di RDNE Stock project da Pexels


4° giorno di Ombroso, Ultimo Campo, Ovestalba

So che Taliesin conosce molte persone, e molte persone conoscono lui. Questo vuol dire essere famoso, mi ha detto una volta un oste. Taliesin però sembra infastidito quando i messi arrivano da città lontane per convincerlo a seguirli da altri uomini famosi.
Di solito la sua risposta è che quando era il momento, se il suo viaggio lo avesse portato da quelle parti, sarebbe volentieri passato a trovarli, ma non prima. Non vuole essere imprigionato in un palazzo per cantare al servizio di un padrone, questo dice, ed è buffo perché la stessa cosa l'avevo quasi fatta io nel cercare di trattenerlo nel mio bosco.
Perciò mi ha sorpreso quando, un paio di giorni fa, Taliesin non ha mandato via il messo, anzi, ha detto che dovevo prepararmi a partire subito.
Non avevo mai viaggiato in carrozza. Secondo Taliesin, i nostri piedi sono più che sufficienti a portarci ovunque vogliamo nel giusto tempo, ma non questa volta.
Stavamo andando da un suo caro amico, ed era bene che giungessimo in fretta. Si erano fatti una reciproca promessa, che quando fosse giunto il momento, uno dei due avrebbe composto un canto speciale per l'altro. Il momento era arrivato.
Taliesin ha cominciato a lavorarci durante il viaggio, ma era difficile, e gli mancavano le parole. Ha pianto un po', penso, perché la poesia speciale non gli riusciva tanto bene, così io l'ho aiutato a trovare le rime e a sistemarla. Taliesin mi ha detto che stavo diventando brava e che forse, un giorno, il suo epicedio lo avrei composto io.
Quando siamo arrivati a Ovestalba ci hanno lasciato ad aspettare il suo amico in un palazzo. Io ho chiesto dove fosse, ma tutti dicevano che se n'era andato, e quando ho chiesto quando sarebbe tornato mi hanno guardato strano e non hanno risposto.
Taliesin ha cantato l'epicedio per il suo amico, ma il suo amico non era lì ad ascoltarlo. Alla fine siamo venuti in questo Ultimo Campo, e ora credo di cominciare a capire dove è andato il suo amico.

giovedì 4 aprile 2024

Audioracconto - La donna dei fiori


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di T Munive da Pexels


La storia della donna dei fiori amata dagli spiriti, e dell'uomo invidioso che voleva per sé i suoi segreti e il suo potere.

La donna dei fiori
(racconto breve di genere fantastico/horror)


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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2021/11/la-donna-dei-fiori.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musica: The Sky of our Ancestors di Kevin MacLeod (http://incompetech.com)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=TuCtwo2ifH0);
The Hunt (remastered) di Miguel Johnson (https://soundcloud.com/migueljohnsonmjmusic)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=cOpvkOeC5RI).

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lunedì 1 aprile 2024

Il portale della rovina


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Foto di ROMAN ODINTSOV da Pexels


Oltre alla direzione proibita, a nord di Timing, vi era un altro luogo nel deserto in cui quasi nessuno si recava, partendo dalla città-oasi o da qualsiasi altra. Era la zona delle Prime Rovine, a sud-ovest di Timing, il luogo in cui gli archeologi avevano per la prima volta rinvenuto artefatti dagli strani poteri magici, il motivo per cui era stata istituita l'annuale Sfida di Timing, e anche il motivo per cui scavare nella sabbia era diventata l'occupazione principale e più redditizia per tre quarti degli abitanti di Timing.
Ma prima di questa epoca, quando ancora quello di saccheggiare vecchi ruderi e strappare al deserto frammenti di coccio non era considerato un mestiere rispettabile, era stata una di quei primi esploratori curiosi ad accorgersi che una parte di quei tesori antichi, che altri avrebbero considerato spazzatura, non era esattamente quel che appariva. Forse aveva in sé un minimo di sensibilità alle correnti della magia che non faceva di lei una maga vera e propria, ma le dava modo di accorgersi quando c'era di mezzo la magia, perché quella prima archeologa amatoriale aveva messo da parte alcuni oggetti apparentemente innocui che come lei sosteneva "le davano i brividi". La sensazione a suo dire era ancora più forte nei pressi di una porta di pietra, l'unica rimasta in piedi in tutta la distesa di rovine, l'unica con gli stipiti che si ergevano diritti e l'architrave ancora al suo posto, sebbene i battenti di legno fossero ormai divorati dal tempo.
Nessuno dei suoi compagni in quella spedizione riuscì a decifrare l'antica scrittura incisa sulle pietre che formavano la porta, o a capire che cosa avessero di tanto speciale gli oggetti che lei aveva accantonato. Si decisero così a inviare messaggeri a sud e a ovest, a est e a nord, che all'epoca ancora non era una direzione proibita, per chiamare a raccolta tutti i maghi che conoscevano o di cui avevano sentito parlare, con la promessa che sarebbero potuti entrare in possesso di qualunque oggetto magico rinvenuto nelle rovine del quale avessero saputo spiegare lo scopo e il funzionamento. Quella fu la prima Sfida di Timing, anche se all'epoca ancora non si chiamava così.
Allettati dalla prospettiva di ricevere oggetti magici gratis, neanche fosse stato il loro compleanno, ovviamente una buona parte dei maghi invitati accorse alla chiamata. In molti si portarono a casa, quell'anno, una vecchia pignatta che si scaldava senza fuoco, o una sfera da predizione non aggiornata che mostrava solo eventi ormai avvenuti.
Uno dei più fortunati, o sfortunati a seconda dei punti di vista, fu il mago Mervugius, che riuscì almeno in parte a decifrare le iscrizioni sulla porta che pareva emanare più energia magica di qualunque altra cosa rinvenuta nelle rovine.
– È un portale – sostenne Mervugius, che all'epoca era un giovane mago, poco più che apprendista.
– Un portale per dove? – gli chiesero, ma Mervugius purtroppo non era riuscito a decifrare quella parte delle iscrizioni.
Il giovane mago fece allora quel che imparano assai presto a fare tutti i maghi: inventò di sana pianta, tenendosi sul vago e condendo il tutto di enigma e mistero, con un pizzico di sciagura tanto per gradire.
– Le iscrizioni su questo punto sono oscure – disse Mervogius. – Un avvertimento è tracciato sull'architrave per l'incauto che oserà attivare il portale, ma ahimè, la frase è stata lasciata incompleta.
Sperava in questo modo di guadagnarsi l'accesso esclusivo al portale senza doverne dimostrare il funzionamento, dato che ancora non aveva idea di come accenderlo, ma Mervogius ebbe molto di più di quel che si augurava.
– Be', a me sembra piuttosto chiaro – replicò l'archeologa sensibile alla magia, che non osava avvicinarsi a meno di tre passi dal portale. – Com'è possibile che una civiltà tanto avanzata nelle arti magiche sia scomparsa così, lasciandosi dietro nient'altro che rovine? È ovvio che devono aver attivato il portale.
A quella dichiarazione ci fu un gran parlottare e borbottare tra gli archeologi che erano con lei. L'espressione "portale della rovina" fu ripetuto più volte da più voci, e in men che non si dica fu decretato che il portale doveva essere nascosto e protetto affinché nessuno mai lo aprisse di nuovo, e che il suo custode da quel momento in avanti sarebbe stato colui a cui spettava in premio, ovvero il mago Mervogius. Immaginate la sorpresa del poveretto quando seppe che la sua ricompensa sarebbe stata quella di trasferirsi nelle rovine a fare l'eremita accanto a un oggetto magico che nemmeno poteva usare. Ad ogni modo, ormai il danno era fatto, e Mervogius non poteva più tirarsi indietro. Il mago si rassegnò a passare la sua esistenza incastrato in quell'ingrato compito, ma per fortuna era un mago, e quindi rese il suo soggiorno più agevole facendo magicamente crescere un giardino e un orto ed evocando un laghetto con le carpe in pieno deserto. Oltre, naturalmente, a provvedere alla difesa e all'isolamento necessario per svolgere il suo incarico, che prevedeva anche lo studio delle antiche iscrizioni sulle pietre del portale per completarne la decifrazione.
Fu così che da quel momento in avanti le rovine del portale della rovina furono protette da un'eterna tempesta di sabbia per scoraggiare i visitatori, e che solo ogni due o tre anni una carovana di coraggiosi esploratori attraversa la tempesta di sabbia per sincerarsi che il portale sia ancora chiuso, che il mago Mervogius ormai piuttosto in là con gli anni sia ancora vivo, e per portargli qualche bene di prima necessità richiesto dal mago stesso due o tre anni prima.
La volta di cui vi sto parlando, assieme alla carovana viaggiavano un elementale del ghiaccio, un elementale del fuoco, una giovanissima maga estremamente insistente e un ragazzo della stessa età che avrebbe preferito essere in qualunque altro posto piuttosto che nel bel mezzo di una tempesta di sabbia, frustato dai granelli che entravano dappertutto, perfino nelle mutande, assordato da un vento incarognito e aggrappato con tutte le sue forze a un cammello puzzolente, ubriaco e strabico, a giudicare da come procedeva nella tempesta.
– Una traversata facile facile – disse Jashira, la giovane maga, che per tutto il tempo aveva protetto sé stessa e i suoi due elementali in una bolla di bonaccia e bel tempo, dimenticando di fare altrettanto per i carovanieri e per il suo amico... compagno di viaggio... schiavetto portabagagli di fiducia Holy.
Che, una volta oltrepassato il muro di sabbia vorticante alto fino al cielo e molto più spesso di quanto umanamente sopportabile, si era messo in un angolo ad accumulare mucchietti di sabbia sputandola dalla bocca, svuotando scarpe e scrollando i vestiti.
– Finalmente potrò incontrare il famoso Mervogius e imparare tutti i suoi segreti! – esultò Jashira, fiancheggiata dai due elementali che le facevano da guardie del corpo.
– Sempre che lui voglia insegnarti i suoi segreti, Jashy – obiettò Holy, dandosi dei colpetti sulla testa piegata di lato per svuotare anche le orecchie.
– Sciocchezze – ribatté la maga. – Quando mi conoscerà, capirà che è quel che gli conviene fare.
Holy non aveva alcun dubbio in proposito.
Solo che, invece del mago Mervogius, venne loro incontro dalla stradina tra i resti di due muri diroccati un grasso e pigro gattone grigio. Poi, un micetto rosso a strisce. Quindi una gatta bianca con una macchia sul muso.
Seguendo a ritroso la scia di gatti, i carovanieri, i sue elementali, la maga Jashira e il recalcitrante Holy che richiamava inutilmente gli altri alla prudenza giunsero nei pressi del portale della rovina.
Che non era più un paio di stipiti e un'architrave privo di battenti, ma brillava di bagliori viola e argento nello spazio che era stato finora un rettangolo di vuoto tra le sue pietre. Accasciato a terra nei pressi del portale attivo trovarono il vecchio mago Mervogius circondato dai gatti, e altri gatti ancora uscivano dal magico bagliore liquido fra le pietre dalle incisioni brillanti di luce.
Tra le dita rigide della destra il mago stringeva un biglietto. Aveva completato la traduzione, dedussero i presenti, e ormai prossimo alla morte aveva voluto vedere alla protezione di quale magia aveva dedicato la sua intera esistenza.
La riga di testo tradotta dall'architrave, sul foglietto, recitava: "la rovina colga chiunque tardi nel nutrire i gatti."
I carovanieri si misero a discutere su come avrebbero fatto a dar da mangiare a tutti quanti, per evitare che la maledizione del portale li colpisse.
Holy si strinse nelle spalle. – Io invece ho una sola domanda – disse a Jashira, e indicò i felini sparsi dappertutto, poi il portale. – Come facciamo adesso a convincerli a tornare indietro?