giovedì 24 novembre 2022

Ammaliante inganno


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Maria Clara Alvarenga da Pexels


Non ricordo l'ultima volta in cui sono stata sincera. La disonestà è una parte essenziale di me, quasi quanto il mio bel viso e il mio corpo da favola. Ogni pescatore, in fondo, cela l'amo acuminato dietro a un'esca invitante e appetitosa, e quello che facevo io non era diverso. In che modo altrimenti avrei potuto soddisfare i miei bisogni inconfessabili?
E proprio in virtù di quello che ero e di ciò che facevo di solito agli uomini, il giorno in cui contrariamente a ogni aspettativa mi innamorai sul serio, compresi subito che avrei dovuto continuare a mentire per fare in modo che questa bizzarra cosa vera tra me e Thomas funzionasse.
Lui non doveva sapere degli uomini che andavano e venivano. Non doveva avere il minimo sospetto della seduzione che esercitavo di tanto in tanto su un estraneo scelto a caso, che spariva al termine del nostro primo incontro.
Pensavo che quello che Thomas non sapeva, non l'avrebbe ucciso. Ma proprio non immaginavo che l'avrebbe ucciso quello che non sapevo io.
Una sera lo vidi con un'altra donna, in un atteggiamento inequivocabilmente intimo. Ero distante, nascosta nel buio, lui non poteva vedermi, eppure il mio volto si bloccò nell'affascinante sorriso grazie al quale tante volte avevo attirato a me uno sconosciuto, un sorriso che trasudava grazia e innocenza, ma che in realtà era la mia maschera da predatrice, e nel frattempo dentro di me urlavo, piangevo, imprecavo, lo maledicevo e lo condannavo al destino di tutti gli altri. Non avevo mai conosciuto la gelosia, e ne fui sopraffatta.
Lo amavo, ma in quel momento decisi che non lo avrei risparmiato.
Per questo adesso me ne sto sdraiata su un lettino a poppa del suo yacht, mentre il motore mi ronza nelle orecchie e una scia di spuma bianca traccia la nostra corsa tra le onde. Non è stato difficile convincerlo a portarmi in quella paradisiaca spiaggetta sulla sua isola privata, con la promessa allettante del mio corpo nudo sulla sabbia candida, come già altre volte in passato. Nemmeno lui può resistermi.
Non alla mia voce che intreccia l'incanto di delizie ancora tutte da sperimentare. La mia voce insincera, l'esca più potente.
Questa volta, però, ho alterato la strumentazione del suo yacht in modo che invece che alla sua isola, questa infernale barca ronzante ci conduca nel bel mezzo del nulla. Nessuna terra in vista all'orizzonte, nessuno deve vederci, e per quello che voglio fare, preferisco che il mare sia profondo.
Dalla plancia sopraelevata, Thomas si gira e mi urla sopra al frastuono: – Dovremmo essere quasi arrivati! – La sua voce però ha un tono incerto quando prosegue: – Preparati, amore... fra poco ci siamo.
Mi tiro su e mi metto a sedere sul lettino, preparandomi, sì, a quello che mi aspetta, che non è affatto ciò che si aspetta lui. Amore, mi chiama. Razza di traditore fedifrago. Presto non sarò più costretta ad ascoltare le sue bugie, né il fastidioso ronzio del motore che mi ferisce le orecchie, e che mi fa rimpiangere il tempo in cui le navi erano sospinte solo dal vento e dai remi. Questi yacht troppo veloci erano la causa principale del cambiamento nelle mie abitudini: mi avevano costretto loro a vagare per la terra a caccia delle mie prede, invece di starmene al sicuro sugli scogli ad attirare i marinai con la mia voce.
Thomas spegne finalmente il motore dopo la lunga, folle corsa di questa ferraglia. Era ora. Adesso sì che posso sentire le liquide leccate dello sciabordio sulla chiglia, come se anche il mare già pregustasse il suo pasto. Inspiro il profumo salmastro di casa mia e mi passo la lingua sulle labbra, ma quando Thomas si volta, io ho di nuovo quel sorriso dolce, da ragazzina innamorata. Non può sospettare il tumulto che ho dentro, il mio istinto che lotta contro l'ultima ondata d'amore, il dolore del tradimento che urla come il mare in tempesta.
– È strano. – Thomas ridacchia, imbarazzato. – La nostra isola dovrebbe essere qua, ma... non c'è. Mi dispiace, amore. Non mi ero mai perso prima d'ora.
Gli faccio un cenno invitante con la mano e mi sposto più in là sul lettino. – Non importa. Non abbiamo bisogno di un'isola per fare l'amore. Qui non ci vedrà comunque nessuno.
Thomas annuisce. – Già. Siamo qui fuori da soli e nessuno sa dove siamo.
Mugolo quando lui si siede accanto a me. Oh, Thomas, non hai idea che questo è proprio ciò che volevo.
– Canta per me – suggerisce lui in tono suadente, poi si china a baciarmi sul collo. Davvero, si può essere più stupidi, chiedere a me di cantare? È come scavarsi la fossa da soli.
Lo accontento, e canto per lui come non ho mai cantato prima, perché nella mia voce per la prima volta non c'è solo una rete d'inganno, ma anche la verità, l'unico, vero, impossibile canto d'amore, il canto della fine del mio amore, il canto della sua morte. Con l'immagine del suo tradimento di fronte agli occhi, uccido dentro di me quello che resta di un sentimento che comunque non avrei dovuto essere in grado di provare.
Quando vedo la sua espressione inebetita, il suo sguardo che mi fissa senza vedermi, so che è arrivato il momento, e allora i miei denti da splendide perle divengono zanne, la mia pelle si copre di squame di pesce. Lo afferro per le spalle e lo sollevo dal lettino, lo costringo ad alzarsi in piedi e lo spingo dolcemente indietro, verso il parapetto dello yacht che dondola quieto tra onde gentili. Già pregusto il momento in cui si sveglierà dal suo intontimento, troppo tardi, rendendosi conto che io lo trattengo sott'acqua in un abbraccio, e che l'aria gli sfugge inesorabilmente dai polmoni.
Quello che non avevo previsto è il suo sorriso, e il suo sguardo divenuto d'un tratto calmo, intelligente, fisso sul mio aspetto trasfigurato.
– Marcus, ora! – grida Thomas e si getta a terra, tra il parapetto e il lettino a poppa dello yacht.
Non faccio in tempo a realizzare quello che sta accadendo. Sento un dolore acuto al petto, come la sera in cui lo avevo visto con un'altra e il mio cuore si era spezzato, e guardando giù scorgo la punta di un arpione che trapassa il mio corpo perfetto. Incredula, barcollo, mi giro, e li vedo. Vedo due Thomas, due uomini identici che mi fissano con espressione impassibile. Ma uno dei due non è il mio Thomas, uno dei due indossa gli stessi abiti in di quella fatidica sera, uno dei due non è l'uomo che ho amato.
Tendo un braccio verso l'altro, verso Thomas. – Tu... tu non mi hai mai tradito? – mormoro con voce tremante, mentre con l'altra mano cerco inutilmente di trattenere il fiotto di sangue che sgorga attorno alla punta dell'arpione che fuoriesce da un mio seno. Mi sento debole, e non so se è per il peso di quella rivelazione o per la vita che fugge via dal mio corpo con il sangue.
Thomas e il suo gemello, Marcus, si tolgono i tappi dalle orecchie.
– Visto? Te lo avevo detto che era una dannata sirena – commenta Marcus.
Le gambe non mi reggono più e crollo a terra.
– Già – replica Thomas, la voce fredda come mai l'avevo sentita. – Era troppo bella per essere vera. Peccato. Finiamo il lavoro, adesso.
L'ultima cosa che vedo sono le due immagini del mio perduto e impossibile amore che si avvicinano a me con un coltello affilato stretto nel pugno, e l'ultima cosa che sento è una delle due, non so più quale a questo punto, che annuncia sarcastica e soddisfatta: – Fuori un'altra.
E poi comincia a canticchiare mentre le lame mi fanno a pezzi.

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