lunedì 29 aprile 2024

Jane


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Foto di Nothing Ahead da Pexels


Era la fine del mondo, e le ragazze alla moda erano uscite a pattinare sul ghiaccio. Perché, in fondo, chi credeva a quelli che gridavano "al lupo al lupo", ai continui richiami a mettersi in salvo dalla catastrofe imminente, soprattutto quando si ha tutta la vita davanti e i soldi di papà per godersela? E così le ragazzine coi pattini griffati a tarda sera erano scese in pista e scivolavano elegantemente qua e là, chiacchierando, ridendo e flirtando con ragazzi altrettanto ricchi.
Dall'altura che dominava sul resort di lusso con tanto di Spa, piste da sci e da pattinaggio private, April abbassò il binocolo e mugugnò: – Sei proprio sicuro che devo rischiare la pelle per gente tanto stupida?
– Adoro il tuo entusiasmo prima di una missione, cugina – scherzò Simon al suo fianco, cingendole goffamente la schiena con un braccio alla luce dei fanali.
Era bardato di tutto punto, giaccone e pantaloni isolanti, guanti e perfino un casco con la visiera abbassata, perciò April, quasi altrettanto coperta, non riuscì ad avvertire il familiare calore del suo fuoco, che in mezzo alla neve e con l'aria gelida che le condensava il respiro in soffi di vapore sarebbe stato un toccasana.
Tanto lo so che ti lamenti sempre ma non ti tiri mai indietro, le risuonò nella testa il pensiero di Simon.
Ed era vero. Forse perché lei era stata salvata, anni prima, dalla famiglia di Simon, che l'aveva presa con sé quando lei non aveva nessuno e nessun posto dove andare, e le aveva insegnato a gestire il suo dono; per questo, anche se non si era trattato di un salvataggio tanto drammatico come quello in cui si stava per imbarcare e come gli altri che già aveva affrontato, April si sentiva in dovere di ricambiare il favore, e aiutarli a portare al sicuro quanta più gente possibile.
April scrollò le spalle: – Siamo una bella squadra. E poi, senza di me, come riusciresti a calmare tutta quella gente quando si scatenerà il panico e ad aiutarli a concentrarsi?
La giovane donna col berretto calcato sulla testa gli indicò la pista di pattinaggio illuminata da romantici lampioni a luce led. Senza i binocoli, vedeva a malapena le ragazzine che se la spassavano, incuranti del pericolo imminente.
Da dietro il cingolato da neve li raggiunse un uomo biondo che non dimostrava più di trentacinque anni, ma che April sapeva averne tanti di più. Da quando lo conosceva, il padre di Simon non era mai cambiato.
– Ho la conferma, vengono da questa parte – disse loro, poi si affrettò a salire al posto di guida del cingolato.
Pronta? le chiese Simon, anche se non ce n'era bisogno: April già si era sistemata a tracolla l'arma futuristica che faceva parte del suo equipaggiamento, una specie di fucile a impulsi per quanto ne sapeva, e si accomodava sulla motoslitta dietro al giovane alieno.

Quando piombarono sulla pista da pattinaggio, con due mezzi cingolati e altre tre motoslitte oltre alla loro, inevitabilmente il panico si diffuse da un pattinatore all'altro. April avvertì lo sgomento e la paura che si allargavano come un vischioso liquido scuro, ma aveva già pronta la sua contromisura: onde di calma e fiducia che spinse attorno a sé, aiutandosi con il tono rassicurante della voce, mentre scendeva dalla motoslitta e si allontanava di qualche passo per attirare l'attenzione su di sé: – Va tutto bene. Siamo qui per aiutare. Venite con noi.
Ovviamente la sua non era la voce di un Lanan Crown, non poteva realmente comandare nessuno soltanto parlando come era in grado di fare la presidente che era stata eletta così facilmente quando lei era una ragazzina della stessa età delle più giovani fra quelle pattinatrici. Qualcuno accennò a scivolare lentamente sulle lame dei pattini verso di loro, ma altri, soprattutto al margine più lontano della pista, resistevano alla sua influenza. April avvertì da parte di alcuni di loro guizzi d'odio e pensieri ostili.
Sono gli alieni!
Sono venuti a prenderci, ci manderanno via nello spazio!
Cosa vogliono da noi?
Mostri! Alieni schifosi!
Perché non ci lasciano in pace?
Questa è la nostra terra, che se ne vadano loro!
Per tutta la vita April aveva dovuto combattere con quei pregiudizi. Anche se lei era solo un esper, più umana che aliena, anche se la fazione anti-alieno si era ridotta via via che la novità diventava normalità; nemmeno la conferma da parte degli scienziati indipendenti umani che la presidente Crown aveva detto il vero sul pericolo che minacciava tutti gli abitanti della Terra, che fossero umani o alieni, era bastata a far tacere quelle voci.
Una minoranza ancora li additava come il nemico, e quelli riuniti a pattinare e a divertirsi in quel resort d'alta montagna, in un luogo troppo freddo per essere considerato come meta di vacanza ideale da parte di un alieno come Simon e come i suoi genitori, erano i figli e le figlie di quella minoranza.
Ci mancò poco che April scaricasse su di loro, invece della rassicurante tranquillità che si sforzava di trasmettere, tutta la propria frustrazione.
– Non c'è molto tempo, andiamo! – li esortò di nuovo, cercando di intessere anche una certa fretta e una sana irrequietezza nelle emozioni che stava trasmettendo. Vide i primi staccarsi dal gruppo, pattinare verso i mezzi cingolati e salire.
Arrivano! l'avvertì Simon nella mente, e anche senza guardare in alto, anche senza vedere le scie che striavano il cielo notturno, April seppe che era finito il tempo della persuasione. Perché gli altri che li accompagnavano sulle motoslitte e che fino allora avevano atteso con pazienza, figure poco rassicuranti coperte da capo a piedi come Simon per difendersi dal freddo e con i caschi dalla visiera a specchio che li facevano sembrare tanti anonimi astronauti, erano scesi dai loro mezzi e agguantavano i ragazzi, trascinandoli urlanti nel retro dei cingolati. April si sforzò di soffocare la paura dei ragazzi con quello che considerava l'equivalente di un'anestesia emotiva, una distaccata serenità da meditazione, ma in un contesto di reale e immediato pericolo il suo debole dono non era abbastanza.
– Maledizione! – bofonchiò nel togliersi la tracolla da sopra la testa e imbracciare il fucile.
Da lì in avanti la situazione precipitò rapidamente.
Lampi di luce eclissarono i lampioni a led ed esplosioni fecero schizzare ovunque neve e ghiaccio e frammenti di selciato dal bordo della pista. Un lampione cigolò e si abbatté sul ghiaccio, schivato all'ultimo da uno dei piloti di motoslitta che era andato a recuperare un ragazzo ferito. Urla, e un fuggi fuggi nella sua direzione quando i ragazzi si resero conto delle creature di luce che erano precipitate a terra dal cielo, simili a enormi insetti dalle molte zampe, con lunghi filamenti sottili che facevano schioccare come fruste davanti agli orribili musi in cerca di prede.
– Da questa parte! – urlò Simon, indicando il più vicino cingolato.
Ah, adesso lo hanno capito qual è il vero pericolo, eh? brontolò April col pensiero, mentre puntava il fucile sulla più vicina delle creature. Un istante dopo un fulmine d'ombra la avvolse, e l'insetto di luce si contorse con strida terribili mentre l'energia dell'arma di April lo percorreva da un lato all'altro del corpo sinuoso. Altre di quelle cose però si avventarono su una ragazza a terra dal lato opposto della pista, svenuta, ferita da una gragnuola di ciottoli e ghiaccio al loro arrivo, e un'altra ancora afferrò con i suoi filamenti un ragazzo rimasto impietrito alla vista di quegli orrori. Quello urlò e si agitò in preda a spasmi di dolore quando era ormai troppo tardi, quando la luce famelica della creatura lo stava già consumando. Quelle che non erano impegnate si fecero avanti, sempre più vicine, trattenute a bada a stento dai lampi oscuri del fucile di April e degli altri che l'avevano accompagnata. Ce n'erano troppe, stavolta. Di questo passo, pensò April, non sarebbero riusciti ad andarsene.
Prima di poter annegare nella disperazione, però, April avvertì la risolutezza e un senso di spericolato coraggio sorgere a darle forza come uno scoglio al quale aggrapparsi, e comprese che quelle emozioni provenivano da Simon. Si voltò a guardarlo sollevarsi in piedi sulla motoslitta, ma non fece in tempo a chiedergli che cosa avesse in mente.
Simon dice... giù! le ordinò lui, e April si gettò a terra sulla fredda lastra di ghiaccio, trascinando con sé anche una ragazza terrorizzata che le stava passando accanto, in fuga dalle creature che si erano strette in un semicerchio sempre più vicino ai mezzi cingolati e alle motoslitte. Appena in tempo.
L'istante successivo una ventata gelida le strappò il cappello dalla testa, e le creature che li accerchiavano furono sbalzate indietro di una ventina di metri da quella che April poteva solo definire come una potente esplosione telecinetica. Ne era passato di tempo da quando Simon si limitava a far fluttuare gli origami per divertirla, e anche il suo dono era cresciuto con lui.
– Tutto bene? – chiese April, un po' alla ragazzina, un po' a lui. La ragazza si limitò a un mugolio mentre April l'aiutava ad alzarsi, ma Simon tremava vistosamente. April non riusciva nemmeno a immaginare quanto del suo fuoco avesse consumato in quello sfoggio di potere.
– Sì, ma andiamo via, prima di morire congelati – rispose Simon.
April annuì. Vado con loro, se te la senti di tornare da solo. Hanno bisogno di me, gli fece sapere, accennando a uno dei mezzi cingolati dove i ragazzi erano saliti non del tutto spontaneamente. Non erano più tanto recalcitranti come all'inizio, ma April avvertiva ancora il terrore e la confusione di cui erano preda. Alcuni si erano messi a piangere, altri fissavano il vuoto inebetiti, in preda allo shock. Simon assentì e April si mosse verso il cingolato guidato dallo zio, portando con sé la ragazza che ormai incespicava nei propri pattini. Gli altri piloti di motoslitta, dopo aver tratto in salvo tutti quelli che potevano, si impegnarono a proteggere la ritirata di April con un fuoco di copertura da armi simili alla sua, e con sferzate dei loro doni sotto forma di geyser d'acqua dal terreno e di vampate di fuoco.
April spinse la ragazza nel vano posteriore del mezzo, entrò e chiuse la portiera. Al riparo dall'aria gelida della notte, anche se lei non aveva un'anima di fuoco da proteggere dal freddo, si sentì comunque molto meglio.
Cercò di distogliere la mente dai pensieri lamentosi dei ragazzi pigiati con lei in quello spazio ristretto, ma anche quelli tacquero di colpo quando una voce imperiosa le risuonò nella testa: La squadra di recupero uno ha appena finito di evacuare l'albergo, muoversi, muoversi, andiamo!
I ragazzi sobbalzarono e si guardarono l'un l'altro, ma non per il rombo dei motori del cingolato e delle motoslitte che si accendevano all'unisono, o per la brusca partenza.
Nella sua fretta di avvertire tutti, il padre di Simon si era spinto fin nelle loro menti. Era la prima volta che quei ragazzi avevano a che fare con la telepatia, ed essendo umani non avevano barriere. April trasmise loro un flusso costante di calma e di sollievo, e fu anche per distoglierli dal pensiero estraneo che avevano appena sperimentato che spiegò: – Stiamo andando al rifugio. Vi portiamo dalle vostre famiglie.
Si morse un labbro prima di aggiungere un "mi dispiace per i vostri amici". Non era il momento di ricordare loro l'orrore che avevano appena vissuto.
– Tu... sei un alieno? – chiese uno dei ragazzi più grandi, mentre quella che aveva portato in salvo di persona le si stringeva addosso ancora tremante.
A me non importa che cos'è, diceva la sua mente, m'importa solo che lei c'era.
April rivolse al ragazzo un mezzo sorriso. Per rispondergli, avrebbe dovuto spiegargli troppe cose che lui non sapeva sui cosiddetti alieni. – Se anche lo fossi – si limitò a dirgli, – ti sembro una cattiva persona?
Il ragazzo ci pensò un po' su, poi scosse la testa, e anche altri mormorarono un debole "no".
– Comunque, io mi chiamo April. E voi?
La prima a rispondere fu la ragazzina che era salita per ultima, assieme a lei. April si era aspettata di udire un nome pretenzioso come Grace, Audrey, Evelyne o Madyson, perciò fu molto sorpresa di sentirle dire invece, con voce tremante e in un sussurro: – Sono... sono Jane.
Dovette faticare un po' per trattenersi dal ridere, pessima cosa da fare di fronte a dei ragazzi che avevano appena assistito in prima fila alla fine del mondo, o di quello che era tutto il loro mondo, perlomeno: da lì in avanti, la loro vita sarebbe cambiata. Ma coincidenza voleva che per April, Jane fosse un po' una specie di secondi nome. Era quello che Simon aveva inventato per lei quando era stata la sua vita a cambiare totalmente, e da allora April lo aveva usato ogni volta che aveva avuto bisogno di apparire irrilevante, banale, qualcuno di cui ci si poteva scordare facilmente, soprattutto poi quando il suo vero nome e la sua foto erano stati inseriti nell'elenco dei ragazzi scomparsi.
– Tranquilla, Jane – le disse April, accarezzandole i capelli scomposti costellati da frammenti di ghiaccio. – Va tutto bene. Resterò con voi finché non saremo al sicuro nel rifugio.
Nel frattempo, in un angolo della mente, April seguiva le conversazioni che gli adulti, gli alieni, si scambiavano tra i due mezzi cingolati e le motoslitte.
Non ci stanno seguendo, bene.
La squadra di eliminazione li ha intercettati all'imboccatura della valle.
Perfetto, possiamo andare direttamente al rifugio.
Però non mi piace, sono sempre più numerosi.
Già, abbiamo rischiato grosso, stavolta.
Possiamo accelerare un po' il passo, che io qui fuori ho freddo?
Sapeva che nell'altro mezzo cingolato sua zia, la madre di Simon, stava prestando le prime cure ai feriti. April avvertiva la sua premurosa sollecitudine, ma anche un'insolita nota stonata: un'aspra ansia rabbiosa a malapena trattenuta, un sentimento sgradevole che la pungeva in continuazione come uno spillo, anche se in realtà April sentiva che la sua irritazione era rivolta a Simon.
Non so cos'hai fatto, cugino, ma stavolta sei nei guai, lo avvertì April. Guai seri, molto seri, da catastrofe cosmica. Altro che sciami di locuste aliene. Ti conviene correre a nasconderti non appena arriviamo al rifugio.
April avvertì la risata di Simon nella testa proprio mentre nel mezzo cingolato Jane la abbracciava.
Credo di averne avuto un'anteprima poco fa, ma grazie dell'avvertimento, cugina! replicò Simon.
Attorno ad April pian piano anche gli altri ragazzi, con qualche eccezione da parte dei più diffidenti e di quelli ancora troppo spaventati per ritrovare la voce, si azzardarono a presentarsi e a scambiare qualche parola. April continuò a rassicurarli per il resto del viaggio, con il suo dono più che a voce, dato che i ragazzi erano ancora troppo scossi per ascoltare discorsi complessi, e rimase a guardarli da lontano quando, nel rifugio, come aveva promesso, i ragazzi riabbracciarono i loro genitori, i cui pensieri si erano fatti molto meno ostili dopo quella disavventura.
Il sollievo e la gioia nell'hangar del rifugio erano quasi una materia solida, guastata solo in un angolo dalla disperazione di due famiglie quando un'aliena con il suo stesso dono, e molta più esperienza di April nel comunicare quel genere di notizie, era andata a riferire loro che i figli non sarebbero tornati da quell'infelice vacanza. April preferì concentrarsi su Jane, ascoltarla raccontare quanto era stato spaventoso, e come un potente alieno aveva respinto i mostri, e come una donna gentile l'aveva aiutata. Troppo lontana per sentire la loro voce nel brusio della folla, April non aveva difficoltà nel seguirne i pensieri.
Quante volte ti devo dire che non è per niente educato origliare? le mormorò la familiare voce mentale di Simon, il cui tono divertito sebbene un po' affaticato le strappò un sorriso.
Volevo solo sapere se avevano imparato qualcosa. Tutto è bene quel che finisce bene, no? replicò April.
Già. La squadra di eliminazione avrà già finito di occuparsi della minaccia a quest'ora, le riferì Simon. Che non aggiunse altro, perché la sua attenzione fu attirata dalla madre che si dirigeva in fretta verso di lui, dalla quale April avvertiva furiose vibrazioni di viva apprensione.
– Si può sapere che cos'era quella cosa che hai fatto su al resort? – sbottò la donna, che come il padre di Simon non pareva affatto invecchiata dal giorno in cui April l'aveva incontrata su un autobus. – Mi hai fatto prendere un colpo! Simon, quante volte te lo devo dire che non devi consumare tanto Latmas tutto in una volta? Adesso vieni con me a scaldarti di fronte al caminetto, non costringermi a trascinarti là di peso perché lo faccio, eh?
April scoppiò a ridere mentre la donna conduceva via praticamente quasi spingendolo il giovanotto biondo, e restò a fissare le famiglie riunite, e quella di Jane in particolare. Non sapeva perché le stesse tanto a cuore quella ragazzina, non era solo per il nome, forse era perché la ragazza era rimasta da sola, indietro, e lei si era trovata nel posto e nel momento giusto per darle una mano quando le serviva, e solo per questa coincidenza si era sentita responsabile della sua sicurezza e del suo benessere.
April pensò che cominciava a capire come doveva essere stato per i suoi zii e per Simon scoprire che lei era da sola su quell'autobus, spaventata dall'idea di essere un alieno in mezzo a esseri umani che la odiavano e confusa da un potere che non riusciva a controllare. Adesso poteva escludere con facilità dalla sua mente i pensieri che non voleva ascoltare, ma allora le era stato impossibile filtrarli.
April capiva come mai l'avevano accolta, perché era quello che lei avrebbe fatto per Jane se glielo avesse chiesto, se non avesse già avuto una famiglia che era tutto ciò che la sua, quella in cui era cresciuta per i primi anni, non sarebbe mai stata.
Lo zio, quello che lei considerava suo zio, il padre di Simon, le si affiancò e seguì il suo sguardo verso la ragazzina e la sua famiglia.
– Sai, potremmo cercarli, se vuoi – mormorò l'uomo, accennando col mento alla scenetta di gioioso ritrovo che avevano di fronte. – Guardare gli elenchi, scoprire se la tua famiglia si è imbarcata in una delle caravelle o se è in un rifugio. Magari sono più vicini di quanto pensi...
April scosse la testa. – No, zio, va bene così.
Aveva già provato a riavvicinarsi a loro, dopo il funerale della nonna che l'aveva spinta a fuggire e prima che arrivasse la fine del mondo, ma non aveva funzionato. A voler essere onesta, April non poteva dire che la colpa non fosse anche sua. Aveva chiesto da loro un'accettazione che non potevano darle, non così su due piedi subito dopo aver spiattellato tutti i suoi strambi "poteri alieni", e loro avevano preteso che lei fosse una persona che April sapeva di non poter essere. Una persona normale.
Una persona normale non si sarebbe mai gettata nel bel mezzo di un'invasione aliena per salvare dei ragazzi che nemmeno conosce, perciò grazie, ma io mi preferisco così.
– Sicura? – le chiese lo zio. – Sembra che tu abbia molte cose ancora da dire...
Ci fosse stato Simon, April lo avrebbe chiamato in causa per ricordare anche allo zio che non era educato origliare.
– Sicura – ribatté April. – Non ho bisogno di cercare. La mia famiglia è qui. E ora scusami zio, ma vado da Simon a vedere se ha bisogno di una mano per tenere a bada la collera della zia, sai... potere sulle emozioni! – concluse in tono drammatico, agitando le dita nell'aria. April corse via sorridendo, dopo un'ultima occhiata rivolta a Jane, dai cui pensieri era per il momento scomparsa.
Forse l'avrebbe cercata più tardi per dirle quello che voleva dirle, o forse no, forse la ragazza stava bene così, ma se non era quello il caso...
Se ti serve qualcosa, se hai bisogno di aiuto, chiedi di me, Jane. Non sono la tua famiglia, tu una famiglia ce l'hai, ma se vuoi, posso esserti amica.

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