lunedì 15 aprile 2024

Non era invidia


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Andrea Piacquadio da Pexels


Non ho mai invidiato gli altri ragazzi, quelli che stanno fermi in un posto solo. Per me era come se fossero parte del paesaggio visto dal finestrino di un treno. Un finestrino aperto, poiché conoscevo i loro nomi e arrivavo anche a sentire parte della loro storia, nei pochi mesi che condividevano. Non arrivavo mai a conoscerli del tutto, o a considerarli degli amici.
Non è che preferissi non affezionarmi. Io avrei anche voluto, sebbene loro fossero altro, parte del paesaggio, non della famiglia con cui avrei passato tutta la vita.
Loro, spesso, non lo rendevano facile.
Avevano già i loro amici. Io ero un'estranea, una straniera. E gli bastava guardarmi, vedere la mia cicatrice, per decidere che anche se tutto ciò che ci separava e ci rendeva diversi non contava, quello sì, contava parecchio.
Pensavo non m'importasse, perché tanto, chi ha bisogno di amici quando si ha la fortuna di avere così tante zie e cugine? Senza contare Maipe, Maipe era mio amico, e mi avrebbe seguito ovunque fossi andata.
E comunque, tempo pochi mesi e io quei ragazzi cattivi non li avrei più rivisti. Non puoi piangere per un brutto paesaggio, mi dicevo, presto il treno correrà avanti e quello dopo sarà migliore di questo.
Ma non lo era mai, e io mi disperavo ugualmente.
Enrico era l'unico che avrei rimpianto una volta che il mio treno avrebbe lasciato quell'ennesima stazione. Lui era stato il mio bel paesaggio fin dall'inizio. Non mi aveva mai guardato come mi guardavano gli altri, non aveva mai detto cattive parole alle mie spalle. Era stato curioso, sinceramente curioso. E alla fine aveva saputo di me ciò che a nessun estraneo avevo mai rivelato. Il segreto della mia famiglia.
Una volta gli avevo detto che invidiavo il Natale degli altri ragazzi, ma non era del tutto vero.
Non invidiavo i loro momenti di gioia, il loro Natale. I regali che io non avrei mai avuto. Il caos frenetico delle giornate che lo precedevano, l'aspettativa trepidante, il traffico chiassoso degli acquisti.
Non gli invidiavo i canti festivi e il tintinnare delle campanelle, sebbene mi attirassero irresistibilmente, forse perché mi rammentavano i miei primi, vaghi ricordi di Maipe che cantava per me quand'ero bambina. Né gli invidiavo le luminarie e gli abeti sfavillanti di lucine colorate, il sapore di dolci sconosciuti o il tepore di una cioccolata calda e di un caminetto acceso.
Noi, in famiglia, avevamo le nostre storie, le nostre tradizioni, le nostre luci, luci viventi che duravano per tutto l'anno, e non solo a Natale.
Quello che chiedevo era solo, per una volta, poter avere un bel paesaggio. Giocare in mezzo alla neve con un amico. Ridere assieme, invece di sentir ridere di me. Non era poi una pretesa impossibile, no?
Quell'anno fu il mio anno magico, perché fu l'anno in cui il mio desiderio si avverò. E anche se alla fine dovetti andarmene, come facevo sempre, ricordo ancora con piacere e una fitta di nostalgia quel bellissimo paesaggio che mi sono lasciata alle spalle.
Di quelli che non vanno da nessuna parte, io invidio la possibilità di avere una seconda occasione. Per loro è facile tornare sui propri passi, incontrare di nuovo le stesse persone, riprendere i fili di conoscenze strappate.
Noi no, non lo facciamo mai. Non torniamo indietro, non ci fissiamo sul nostro passato, a chiederci quel che sarebbe potuto essere, e non è. Almeno, questo in teoria, perché io non riuscivo a smettere di pensare al ragazzo che conosce il mio segreto.
Una volta, zia Cin mi ha raccontato della mamma e di Natiel, e allora io ho capito che la mia storia non era solo mia. Come Enrico, Natiel sapeva il segreto di famiglia, e la mamma aveva persino pensato di sposarlo. Ma erano entrambi ragazzini, troppo giovani, e nonna Tamesi non aveva voluto.
Mamma non era mai tornata indietro per Natiel, una volta cresciuta abbastanza. O meglio, la famiglia non era mai tornata a fermarsi nella zona dove lui viveva, e poi mamma aveva trovato papà ed era andata avanti.
Io però non voglio fare così. Questo è il secondo Natale che passo in questa città, e mi sembra magico quanto quello che ho avuto da bambina. Avrei persino lasciato la famiglia per averlo, ma non è stato necessario.
Mamma ha capito. È lei a guidare la famiglia, adesso.
Ha capito che per andare avanti, in un modo o nell'altro, io devo prima fare un passo indietro. Capire se può essere adesso quel che non è stato allora, se nel rivedere Enrico troverò un amico o un estraneo.
Se ancora vive qui, non può non sapere che siamo arrivati. La nostra tenda è quella di sempre, e le notizie girano in fretta.
Lo aspetto qui, nella neve che cade lieve, con la luce di Maipe accanto.

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