lunedì 30 agosto 2021

La Rescissione


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Photo by Taras Makarenko from Pexels


Anno 2120. Sono al volante di una Jaguar F Type coupé e sfreccio sull'autostrada deserta a 130 km all'ora. Il vento scivola sul parabrezza e mi scompiglia i capelli, strappandoli alla coda di cavallo in cui li ho legati con un elastico morbido. Il cuore mi batte forte mentre stringo il volante, eppure sono calma, incurante dell'asfalto macinato dalle ruote e del paesaggio che sfreccia ai miei fianchi a quella velocità pazzesca. Sopra di me il cielo si tinge di fuoco, le nuvole bruciano in faville di cenere e nevicano grigie, turbinando nello spostamento d'aria provocato dalla mia auto prima di depositarsi pigramente a terra.
Batto le palpebre e fisso i miei due gatti, Fantàsia e Imago, che sonnecchiano placidi facendo le fusa sopra la loro copertina accanto alla finestra. Sorrido e mi alzo dal divano: il tè è ancora caldo. Stavo solo immaginando. Una cosa talmente semplice, eppure sono rimasta uno dei pochi esseri umani a poterlo fare. Questo perché non ho mai fatto la Rescissione.
Una procedura semplice, a detta dei medici. Un piccolo taglietto di alcuni fasci nervosi nel cervello per eliminare il rischio di sviluppare una patologia mentale come la schizofrenia, per evitare allucinazioni e impedire che un pensiero estraneo al presente, si tratti di una fantasia o di un ricordo, arrivi nei momenti meno opportuni a sovrapporsi alla vera percezione di ciò che si ha davanti agli occhi. Le statistiche parlavano chiaro: dopo l'introduzione della procedura, non obbligatoria ma fortemente consigliata, le azioni violente dovute a un delirio e gli incidenti stradali per distrazione erano nettamente calati. I suoi sostenitori avevano persino affermato che, grazie alla Rescissione, era diventato impossibile mentire, e che la procedura doveva essere obbligatoriamente estesa a tutti, per dare vita a un mondo migliore. Si era scoperto, con il tempo, che non era vero. Era impossibile inventare nuove bugie, certo; ma nulla impediva a chicchessia di ripetere le parole che aveva letto online, nei siti che erano proliferati dopo l'avvento della Rescissione, anche se non riusciva a immaginare come realmente accaduto ciò che diceva. Il bello era che anche chi le ascoltava, se era un Rescisso, non poteva figurarsi quelle parole: perciò, paradossalmente, la scusa "sono stato rapito dagli alieni" aveva la stessa valenza di un più credibile "non ho sentito la sveglia e ho perso il tram". Solo i politici, che per la maggior parte avevano solo finto di fare la Rescissione grazie a medici conniventi, erano ancora in grado di ingannare in maniera convincente e verosimile i loro elettori.
Bevvi un sorso di tè e accarezzai i libri sulla scrivania. Erano diventati oggetti obsoleti, da quando la maggior parte delle persone non era più in grado di immedesimarsi nelle storie che contenevano. Per loro, le parole erano solo parole. A volte, a pensarci, provavo un po' di pietà per i Rescissi. Nemmeno i film erano più gli stessi, da quando la maggior parte dei registi non sapeva far nulla di meglio di un documentario, o un montaggio di riprese che seguivano questo o quell'altro personaggio famoso. "Un anno nella vita di..." era diventato il titolo più gettonato per le nuove uscite al cinema.
Non m'importava: tanto, non potevo frequentarli. Come non Rescissa, le mie possibilità erano state gradualmente ridotte, anno dopo anno. Era cominciato con la revoca della patente e l'impossibilità a svolgere mansioni pericolose, limite giustificato dal fatto che una mia distrazione a causa di pensieri troppo vividi poteva mettere in pericolo gli altri. Poi si era limitato l'accesso ai musei, ai cinema, ai teatri, e a qualunque luogo potesse stimolare in maniera non appropriata la mia immaginazione ancora troppo fervida. Non mi era nemmeno più possibile entrare in luoghi troppo frequentati, discoteche, palazzetti sportivi, ristoranti e qualunque piazza durante una manifestazione, per il timore di un attacco schizofrenico che avrebbe potuto, in teoria, portare me o qualunque altro non Rescisso ad ammazzare un gran numero di persone. In altre epoche, nonostante le stragi che si erano verificate più volte nelle scuole americane, una simile preoccupazione preventiva nei confronti di una persona che non aveva mostrato il minimo sintomo di follia sarebbe parsa ridicola. Adesso era diventata "normale".
C'erano state delle proteste, all'inizio, contro le restrizioni applicate a chi aveva scelto di non sottoporsi alla Rescissione sperimentale e del tutto volontaria. I no-Rex, come erano stati prontamente bollati, erano stati tacciati di favorire lo sviluppo delle patologie mentali, di preferire il manicomio a una procedura semplicissima, indolore e priva di controindicazioni. In quei giorni erano stati accuratamente tenuti nascosti i pochi sventurati che in seguito alla lobotomia, così la definivano i no-Rex, avevano perso ogni capacità di pensiero autonomo e si aggiravano come zombie, in attesa che qualcuno gli dicesse cosa fare e cosa pensare. Il loro numero era tutt'ora sconosciuto. Erano state anche diffuse, tra i no-Rex meno istruiti, teorie strampalate come quella che i medici, approfittando della Rescissione, incidessero nel cervello con i loro bisturi i nomi di prodotti che il paziente doveva acquistare, o i politici per cui doveva votare, il tutto con l'intento di ridicolizzare chi esprimeva una valida preoccupazione per le conseguenze della procedura.
Alla fine, quelli che non erano stati convinti dalla pressione del gruppo o dalle restrizioni sempre più stringenti, erano stati obbligati a portare un segno di riconoscimento nei limitati spostamenti fuori di casa che erano loro concessi. Assaporai un altro sorso di tè e sbirciai con astio la fascia a strisce gialle e nere che dovevo legarmi al braccio prima di uscire dal mio appartamento. La porta non si sbloccava nemmeno se il visore di riconoscimento non la identificava. Gialla e nera, come i colori degli antichi insetti impollinatori, prima dell'avvento dei minidroni che li avevano sostituiti, perché si riteneva che, come quegli insetti, i non Rescissi potessero pungere senza preavviso chi si fosse avvicinato troppo a loro. Le avevo sentite, quelle due signore colme di sussiego, bisbigliare al mio passaggio nel corso della mia ultima uscita che non avrebbero nemmeno dovuto permettermi di andare in mezzo alla gente per bene, e arretrare inorridite alla mia occhiata, mormorando convinte, nel ripetere ciò che era stato loro detto, che potevo impazzire da un momento all'altro e che se trovavo un coltello e le scambiavo per due mostri...
Me n'ero andata prima di sentire il resto. Tanto, lo avevo già sentito altrove. Era una storia già vista, come le tante mamme contente di aver portato i figli a fare la Rescissione appena possibile perché così i piccoli avevano smesso di perdere inutilmente tempo giocando e di fare tutte quelle domande a cui loro non sapevano rispondere. O come le foto dei manicaretti condivise sui social, con la dicitura "non potete immaginare quant'è buono!". Per i tanti Rescissi, quella frase aveva un valore letterale. Ma non per me, io potevo immaginare ogni sapore. 
Ho finito il mio tè, la tazza è ormai fredda. Fantàsia e Imago ancora riposano quieti, non voglio svegliarli. Siedo alla scrivania, afferro la penna, e inizio a scrivere della mia folle corsa con una Jaguar F Type coupé. Un'auto che non si produce più da decenni, e che io stessa non ho mai visto se non nelle vecchie foto, ma che riesco a immaginare in ogni dettaglio, dalla consistenza del volante sotto le mie dita allo scricchiolio dei sedili di pelle, perfino l'odore, quel caratteristico odore di auto nuova mista a un lieve sentore di carburante per il pieno appena fatto. So che nessuno leggerà la mia storia, perché non riuscirà a vedere ciò che io vedo, a sentire ciò che io sento. Ma la scrivo ugualmente, per tutti quelli che non sono più in grado di immaginare un futuro migliore.

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