lunedì 13 settembre 2021

Il lago delle sventure

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Foto di Pavel Danilyuk da Pexels


La casa sul lago portava sfortuna.
Nel giro di un anno, era già il quinto funerale dei suoi residenti a cui la comunità era stata invitata a partecipare. E, tranne per quanto riguardava un unico caso, non si era trattato di persone anziane, prossime alla fine dei loro giorni. La donna a cui avevamo dato l'ultimo addio giusto quella mattina era giovanissima, anche più di me, e nel pieno della salute. Si era trattato di una fatalità, dicevano.
Era annegata nelle acque scure del lago: una disgrazia pura e semplice. Ma io sapevo che si era trattato di un delitto, poiché quella donna sapeva nuotare benissimo.
Lo sapevo perché quella donna era mia sorella, e quella casa apparteneva alla mia famiglia da generazioni. Secondo gli accordi, io sarei stata la prossima a prenderne possesso, e già la gente del posto mi guardava con sguardi contriti, bisbigliando alle mie spalle, forse scommettendo su quando la sventura avrebbe toccato anche me. Io sbirciavo quei mostri, cercando di non lasciar trapelare alcuno dei miei pensieri. Avevo osservato da lontano la faccenda, per molti mesi avevo seguito, non vista, le vite dei miei predecessori, prima di farmi avanti a reclamare la casa. Ero dunque certa che una di quelle brave persone fosse un assassino. Come poteva essere altrimenti?
Zio Kohl, fulminato da un asciugacapelli, non aveva un solo pelo in testa. La cugina Luyen, vegana convinta al punto da nutrirsi d'insalate d'alghe crude e poco altro, era finita avvolta dalle fiamme di una grigliata. Omnoe, il capostipite della famiglia, non aveva mai visto un medico in vita sua, eppure alla sua morte apparentemente naturale erano state ritrovate moltissime confezioni di farmaci sul comodino, alcune delle quali parzialmente svuotate. Poi c'era stato Ygran, il marito di mia sorella, morto in un incidente d'auto. Non aveva la patente. Neppure l'auto, sebbene a posteriori risultò a suo nome.
E infine mia sorella, che come tutti noi quand'era in acqua era nel suo elemento. Per chi la conosceva, la sua era stata la morte più assurda.
Vederla calare nella terra in una cassa di legno però mi parve ancora più strano. Noi non facevamo così. Mi si strinse il cuore al pensiero che la sua anima sarebbe soffocata laggiù al buio, lontano dall'acqua che aveva tanto amato. Sentii qualcuno mormorare alle mie spalle di quanto dovessi essere insensibile, poiché non avevo versato nemmeno una lacrima durante la cerimonia, e di quanto dovesse essere stata una sventura avermi come sorella per la povera Vesna, che non ero andata a trovare una sola volta, nemmeno alla morte del marito in quella disgraziata fatalità. Non sapevano che era stata lei a venire da me, a confidarmi i suoi sospetti. E io avevo accettato di aiutarla a porre fine a quella serie di sventure.
Presi possesso della casa nel pomeriggio, sistemai le poche cose che avevo con me, e mi concessi una cena leggera a base di pesce: d'altra parte, io non seguivo una dieta estrema come quella di Luyen. La notte calò presto, rendendo il lago uno specchio nero su cui le luci della casa si riflettevano, oscurando le stelle. La voce dei grilli e il gracidare delle rane mi avvolgeva e ovattava il fruscio dei miei passi già di per sé leggeri. Riuscivo a capire come mai la casa sul lago stimolasse così tanto le fantasie della gente del posto. Di giorno, uno stormo di corvi sorvolava i dintorni, lanciando all'improvviso richiami striduli come grida di dolore in lontananza. Di notte era il turno di gufi e civette, che nel buio, chissà dove, parevano sprigionare pianti di bambini, singhiozzi lugubri e acuti, mentre il nero profondo delle acque lambiva le sponde con lievi e umide leccate, seguite da un risucchio.
Avevo lasciato le luci e la televisione accese ed ero uscita dalla porta sul retro. La casa non distava che pochi metri dalle acque del lago, che mi chiamavano irresistibilmente. Ero nuda, ma non fu per pudore che mi mossi tra le ombre, senza far rumore, prima di scivolare infine nell'abbraccio di quelle acque scure. Se qualcuno stava sorvegliando la casa sul lago, non volevo che vedesse il mio corpo ricoprirsi di squame, le creste sul mio capo sostituire i capelli, le branchie aprirsi sul mio collo, la bocca farsi più larga e irta di zanne, e le pelle tendersi tra le dita munite di artigli.
Nuotai verso il centro del lago, fino a quel punto ormai noto da cui potevo tener d'occhio la casa senza timore di essere vista. La trappola era pronta, e chiunque avesse osato entrare di soppiatto avrebbe trovato ad attenderlo una brutta sorpresa. Non avevo mai fatto del male a nessuno, né mai lo avevo desiderato, prima di quel giorno.
Ci chiamavano "mostri della laguna", ma il vero mostro quella notte era chi, sulle sponde del lago, aveva scoperto il nostro segreto e sembrava fermamente intenzionato a sterminarci.

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