lunedì 25 ottobre 2021

Grosso guaio al Mercato dell'Impossibile


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Photo by Meruyert Gonullu from Pexels


Al Mercato dell'Impossibile si poteva trovare di tutto. Dalla merce comune potenziata da un pizzico di magia per renderla a detta dei suoi venditori "interessante" alle pozioni create apposta per ogni esigenza, dai patti con i demoni alle creature più inconsuete, vendute a pezzi come cibo esotico oppure vive come animali da compagnia, e poco importava a chi aveva fatto l'affare se il nuovo padrone correva il rischio di finire divorato sulla strada verso casa. Al Mercato dell'Impossibile si poteva trovare di tutto se eri disposto a pagare il prezzo richiesto, che non sempre si esprimeva in denaro.
I passi echeggiavano gravi tra i pilastri del mercato, che s'innalzavano massicci a sorreggere la volta a crociera che sovrastava le bancarelle. Banchi umili, appena un tavolato di legno con sopra la merce disposta alla rinfusa, si mescolavano a tendoni variopinti che ospitavano una moltitudine di gabbie, o un complesso sistema di alambicchi da cui proveniva un gorgoglio sinistro.
Cercai di ignorare i sussurri che mi circondavano mentre sfilavo lungo la via principale del mercato, quella più larga e dal lastricato più consunto per il passaggio nel corso degli anni di numerosi carretti e clienti, quando una discussione animata fatta di gesti convulsi e bisbigli frettolosi attrasse la mia attenzione. Più lontano, il ruggito di chissà quale creatura fece trasalire una giovinetta avvolta in un mantello nero, col cappuccio alzato sulla testa nel tentativo di celare la sua identità. Poveretta, doveva essere la sua prima volta al Mercato dell'Impossibile, fremeva e tremava a ogni cigolio di baule che si apriva e a ogni tintinnio dei ninnoli appesi alla bancarella della Zingara. Le feci un cenno, alla Zingara, non alla giovane tremebonda che già si infilava in uno degli oscuri vicoli laterali per vivere l'avventura della sua vita. Mi fermai nei pressi di una bancarella e mi sfiorai il lobo dell'orecchio destro, mentre sbirciavo in tralice i due litiganti, e subito i loro mormorii divennero chiari come se mi stessero parlando a una spanna dal viso.
Eh sì, ero stata anch'io una cliente del Mercato, ma certi "miglioramenti" erano indispensabili per svolgere il mio lavoro. Quell'incantesimo all'orecchio mi era costato tutta la gioia che potevo provare in un mese, ma ne era valsa la pena.
– Già detto io, già detto, no accetta resi Grande Gulgar – stava dicendo quello che probabilmente era l'aiutante del venditore, se non il Grande Gulgar stesso.
Rapidamente, con enfasi, il cliente ribatté: – Vi prego ve lo dovete riprendere, non... non ce la faccio più, non vivo più, io... io sto impazzendo, vi supplico, riprendetelo e ridatemi quello che vi ho pagato... anche la metà va bene! Anche la metà. Anche la metà, ma riprendetevelo!
– Tu doveva pensare prima. – Il venditore sbuffò, poi lo scorsi gettare in aria le braccia, esasperato. – Tutti cosa qua, prende senza pensare, poi dà colpa a Grande Gulgar. Ma Grande Gulgar no ha colpa se voi è stupidi.
A quell'offesa puntai lo sguardo sul cliente, e attesi la sua reazione. Era mio dovere capire se fosse abbastanza disperato da compiere un gesto avventato di cui si sarebbe largamente pentito, dato che a vegliare su quella zona del Mercato dell'Impossibile c'ero io, e io non ci andavo tanto alla leggera con i facinorosi che turbavano la pace bisbigliante del mercato.
Il Mercato dell'Impossibile era a tutti gli effetti un mercato clandestino, situato in una zona irraggiungibile per chiunque appartenesse alle guardie o ad altri corpi dediti a far rispettare la legge, o addirittura per chiunque avesse in animo di aspirare a un tale incarico o si sentisse in obbligo di far presente la trasgressione in corso a chi la stava commettendo e a chi poteva punirla. Per dire, nemmeno chi tendeva a correggere ogni errore nelle frasi pronunciare da altri poteva sperare di trovare il Mercato dell'Impossibile: tale era l'incantesimo lanciato dai mercanti stessi.
In seguito era diventato evidente che certe controversie non potevano essere risolte pacificamente, o che certi mercanti erano incapaci di controllare la merce più pericolosa che si ritrovavano a gestire, e a quel punto era diventato indispensabile poter ingaggiare qualcuno che se ne occupasse, qualcuno a cui non importasse minimamente di ciò che è lecito o illegale, ma solo di proteggere gli interessi dei suoi committenti. Ed è così che eravamo entrati in gioco io e i miei "colleghi", se tali potevo chiamare quel manipolo di rissosi bastardi che non vedevano l'ora di trovare degli animi caldi su cui potersi sfogare.
Nel lasso di tempo in cui il cliente fissava con astio il venditore, da lontano lo sfidai a provarci
– Dai... tira fuori un coltello. Provaci, ti do un secondo di vantaggio, ma fammi divertire un po'.
Ma il cliente, che ovviamente non poteva sentirmi, si gettò in ginocchio e abbracciò le gambe del venditore, seguitando a supplicarlo. Alzai gli occhi alla volta del soffitto: niente da fare, mi era andata male. A quel punto avvertii un colpetto sulla spalla e mi girai, pronta ad attaccare chiunque avesse osato avvicinarsi così incautamente, ma era solo la Zingara, che boccheggiava muta come un pesciolino. Mi battei un paio di volte sul lobo, maledicendo il mago sensoriale che mi aveva venduto quel miglioramento per non avermi avvertito di quella controindicazione che riusciva sempre a prendermi alla sprovvista. Subito la voce della Zingara tornò, accompagnata da urla in lontananza, e dal verso stridulo e acuto di chissà quale creatura che riecheggiava agghiacciante tra i pilastri di pietra.
– Roni... Roni! C'è del lavoro per te! – stava dicendo la Zingara, che indicò con il braccio la direzione da cui provenivano le urla, mentre da una bancarella vicina si levava un coro di sibili da gabbie in apparenza vuote.
Sentii le mie labbra piegarsi in un ghigno, sebbene il consueto piacere che provavo nel mettermi all'opera non mi scaldò le membra in previsione dell'azione. Stavo ancora finendo di pagare il miglioramento, dannato mago. Dalla quantità delle urla, indovinai che il guaio doveva essere maledettamente grosso, forse il più grande mai affrontato finora.
Mentre i primi clienti in fuga mi oltrepassavano diretti all'uscita, io mi lanciai, armi alle mani, in direzione opposta.

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