sabato 6 maggio 2017

Fiscella

La devo smettere di scegliere sempre e solo sostantivi, provare con qualche aggettivo, verbo o anche qualche avverbio ogni tanto... ma per oggi, eccone qui un altro. Prometto di ravvedermi la settimana prossima!

Fiscella [fi-scèl-la] s.f. Piccola cesta di vimini usata per preparare la ricotta.

Ricotta Salata - Curds drained, di Rebecca Siegel, licenza Creative Commons BY 2.0. Immagine modificata con l'aggiunta di scritte.


Chi può usare una fiscella al giorno d'oggi? A meno di non ambientare la storia in un mondo fantasy medievale, mi serviva un personaggio d'altri tempi, rimasto fermo a tradizioni e usi antichi, ad attività contadine. Ho capito subito quale dei personaggi nei miei appunti faceva al caso mio.


Non si può dire che fosse come me l'aspettavo.
Avevo bussato alla porta della casupola dopo una lunga esitazione. Nessuno aveva risposto perciò ero sgusciato dentro, stando accucciato. Nell'aria tiepida c'era un intenso aroma di pane appena sfornato e di latte e tutto era fatto di legno scuro: tavolo, sedie, mobili, e fin qui ci poteva anche stare. Ma erano di legno anche le pareti e il pavimento. Facevano eccezione il caminetto in pietra e la stufa, che non vedevo molto bene ma che sembrava di metallo. Così come doveva essere il lavello, nascosto dalla schiena di una ragazza avvolta in una camicetta beige e una lunga gonna di toppe colorate; i capelli, legati in alto da un nastro, ricadevano come una cascata danzante fino in mezzo alle scapole. Eccola, Sara. Sara dei Sortilegi.
Stava armeggiando con qualcosa che emetteva un lieve sciaguattio. Mi sporsi per vedere meglio.
– Sapevo che saresti venuto. – Sara fece un passo di lato, permettendomi di vedere una fiscella da cui colava un liquido biancastro mentre lei strizzava il contenuto avvolto in una tela candida. – Puoi alzarti, adesso – disse con voce vellutata. Non so perché, ma le obbedii.
– La maggior parte delle persone è malleabile come ricotta – spiegò, come se avessi espresso ad alta voce i miei dubbi.
Presi coraggio. Dovevo chiederlo. – È... è vero quello che dicono? Che vedi nel futuro?
– Secondo te?
Sbirciai l'orologio. Feci spallucce. – Non lo so. Se lo sapessi, non te l'avrei chiesto. Ed è facile dire che sapevi che sarei venuto quando ero già qui. – Scrutai i mestoli sui ganci alle pareti e i paioli di rame appesi alle travi. La cucina sembrava vecchia, ma non lugubre. E lei era soltanto una ragazza qualunque, seppure strana. Non so perché ne avessimo tanta paura.
Sara posò la fiscella sul ripiano e chiuse i lembi della stoffa. – I due minuti sono passati. Ora puoi tornare dai tuoi amici a raccontare quanto sei stato coraggioso.
Rimasi a bocca aperta. Come cavolo faceva lei a sapere della scommessa?

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