giovedì 4 maggio 2017

Luce

(visto che nessuno si è fatto avanti rispolvero un mio vecchio racconto per la seconda parte dello svolgimento dell'esercizio Parti da un'immagine. La foto è stata ritagliata da una rivista ormai dodici anni fa. Non ho corretto né ho modificato di una virgola il testo: per favore, non fare caso alle d eufoniche di troppo, ai trattini di chiusura nei dialoghi, e a tutti quei piccoli errori che ormai ho superato. Quanto a quelli grandi, di errori, ci sto ancora lavorando)


 
 

     –Tu non mi credi.– In piedi sulla soglia, Helena mi sorrise appena e chiese: – Vuoi vedere?–
     Non risposi, ma lei sapeva che ero uno di quelli. Sapeva che le parole non mi bastavano. Allora sollevò le mani all’altezza del ventre e incrociò le dita dell’una e dell’altra mano insieme, mantenendo il palmo rivolto verso l’alto. Le sue mani erano bellissime, le avevo già notate, con dita lunghe e flessibili e linee quasi prototipiche, che non potevano non prevedere la migliore delle fortune per il suo futuro. Così la treccia risultante dalla linea a zig-zag tra le dita era perfetta. Ma non era ciò che lei intendeva mostrarmi.
     Bastarono pochi istanti in quella posizione e dal centro dei suoi palmi scaturirono due fulgidi soli di luce bianca. Fu come se si fossero dischiuse porte su un misterioso altrove di un candore abbagliante. Non volli credere ai miei occhi, all’inizio, come non avevo voluto credere alle sue parole. Helena invece non sembrava affatto meravigliata, anzi respirava regolarmente e appariva del tutto calma, come se quello che vedevo non fosse altro che un’illusione. La mia reazione, se mi fossi trovato al suo posto, sarebbe stata piuttosto violenta. Ma lei no, sorrideva con gli occhi e con le labbra, senza però scoprire i denti, quasi che quel bianco che le sgorgava dalle mani non ammettesse sfidanti.
     La luce fluì letteralmente fuori da quelli che parevano varchi e si raccolse poco più in basso, sull’incrocio delle dita. Si comportava proprio come un liquido, uno che fosse poco più denso dell’acqua. Riempì la coppa delle mani lentamente, sommergendo i due soli originali senza tuttavia riuscire a spegnerli. Attraverso la luce liquida vedevo infatti il riverbero di una luminosità più intensa.
     Ero esterrefatto. Ogni cosa era come lei mi aveva raccontato. Helena mi aveva forse suggestionato con le sue parole?
     La luce si riversò dalle sue mani, infrangendosi contro la superficie dei pollici e ricadendo come sottili e lunghe cascate fin quasi al pavimento. E dico quasi perché, a due o tre centimetri dal suolo, la luce liquida svaniva o, più probabilmente, si disperdeva nell’aria. Allungai le dita verso uno dei fili luccicanti solo per scoprire che, nonostante alla vista apparisse chiaramente liquida, in realtà non era altro che luce. Luce che non restava sulle mie dita, ma che sentivo comunque come un calore piacevole, una sensazione strana, che mi rendeva euforico e stordito.
     Helena separò le mani, sciogliendo le dita dal loro abbraccio. La luce liquida si dissolse all’istante ma i due globi luminosi presenti fin dall’inizio rimasero, mentre lei sollevava le mani, rivolgendole a me nel mostrarmi l’inspiegabile fenomeno.
     La luce bianca fiammeggiò per l’ultima volta, irradiando la stanza, quindi si spense in silenzio. Non me n’ero reso conto, ma il tramonto era ormai sfumato nel blu leggero della sera. Helena rimase così, con le mani sollevate ed i palmi, tornati normali, verso di me. Non parlò e non si mosse; forse aspettava la mia reazione.
     –Ti credo.– Le dissi, avvicinandomi e prendendo le sue mani tra le mie. –Avevi ragione: ora ti credo.–

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