lunedì 29 maggio 2017

Nebbia

(racconto ispirato dall'esercizio Fantasia astratta. Per scriverlo ho osservato le volute di fumo di un bastoncino d'incenso)

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.

     La nebbia fitta impediva di vedere qualsiasi cosa, ma subito, come per un incantesimo, la nebbia si disperse e una strana creatura emerse dalle grigie e informi profondità di quel cielo anonimo. La creatura aveva un volto e un corpo femminile, ma candide ali al posto delle braccia. Volteggiava con abilità e leggerezza nel cielo, descrivendo cerchi, fantasiose figure e ardite evoluzioni. Battendo le ali con un colpo deciso la donna-angelo si innalzò fino ai confini del cielo, poi scese rapidamente; nel frattempo il suo corpo stava cambiando. La metamorfosi si concluse in una forma altrettanto leggiadra, un uccello del paradiso dalla lunga coda, che si librava con rapidi colpi d’ala al di sopra dell’oceano. Ma in quell’istante giunse un corvo, nero come la notte più buia senza luna né stelle, e molto più grande dell’uccello del paradiso; il corvo tentò di ghermirlo con i suoi possenti artigli. I due alati abitanti del cielo combatterono con ogni forza, il corvo crudelmente straziava piume e carni ogni volta che ne aveva l’occasione, ma l’altro difendeva strenuamente la propria vita. L’uccello del paradiso stava perdendo le forze… e un ulteriore attacco del corvo lo colse impreparato. Con le ali a brandelli, l’uccello del paradiso precipitò nell’oceano, e lì svanì. Le correnti turbolente si incontravano e si scontravano, trascinando ogni cosa nei loro vortici. Ma più giù, negli abissi azzurri, nell’acqua palpitava la vita. Una medusa traslucida ondeggiava ritmicamente, spostandosi verso l’alto. Più in là, banchi di pesciolini iridescenti si muovevano in sincronia, quasi fossero un unico corpo, quasi respirassero e vivessero come se fossero stati uno. Un delfino, o forse due o tre, nuotarono verso la superficie, accompagnati da una sirena dalle pinne blu come l’oceano che li seguiva divertita. Sembrava che volassero, sembrava che l’acqua fosse in realtà aria. I delfini raggiunsero la superficie e la infransero, saltando gioiosi nei loro eterni giochi. Anche una balena saltò, sollevando grossi spruzzi d’acqua. Al suo passaggio, tutti gli altri abitanti dell’acqua si scostarono con riverenza. In fondo, stava passando niente meno che la regina dei mari! Ma tutto il suo imponente splendore non bastò a salvarla. La balena si arenò su una spiaggia dorata. Si alzò il vento, e la sabbia ricoprì a poco a poco il corpo della balena, formando prima una collina, poi una montagna. Con il passare del tempo sulla montagna crebbe una foresta. Gli spiriti della terra cominciarono a riunirsi in quella foresta, prima occasionalmente, poi sempre più spesso, finché non elessero quel luogo incontaminato a loro dimora. Erano elfi, gnomi, goblin e folletti, oltre a tutte le creature che la terra, prodiga di doni, ospitava e nutriva. Gli spiriti della terra si inseguivano, nascondendosi tra gli alberi, ma i loro erano giochi privi di intenzioni malvagie. Sopra le loro teste, in un nido color della cenere giaceva un uovo, un brillante rubino su cui s’intravedeva una crepa. Poi l’uovo esplose e la fiammeggiante fenice spalancò le ali e si librò nell’aria, bruciando ogni cosa al suo passaggio. L’incendio si estese, e già gli abitanti della terra fuggivano in preda al panico, già gli spiriti abbandonavano quei luoghi. Ma non tutti furono abbastanza veloci, e molti rimasero intrappolati, inermi, nel cerchio dei caldi abitanti del fuoco, loro acerrimi nemici. Le fiamme e la fenice, loro madre, osservarono compiaciute il nuovo mondo che stavano creando. Infine non ci fu più niente da bruciare e anche le fiamme e la fenice si spensero, tra disperati crepitii. Rimase solo il fumo, denso, grigio. Come nebbia… ma era nebbia! La nebbia fitta impediva di vedere qualsiasi cosa, ma subito, come per un incantesimo, la nebbia si disperse e una strana creatura emerse dalle grigie e informi profondità di quel cielo anonimo. La creatura aveva un volto e un corpo femminile, ma candide ali al posto delle braccia. Era una donna-angelo, e stava sorridendo. Poi il filo che saliva tornò a essere piatto e le figure che aveva fino ad allora creato si dispersero nella semioscurità della tenda.
      – Tutto qui? È solo questo ciò che riesci a vedere nel fumo del tuo incenso, maga? – disse l’uomo che era venuto a consultarla, accennando alla ciotola dove le erbe stavano finendo di bruciare. La maga annuì, ma non pronunciò più alcuna parola. Non poteva parlare, se non quando l’incenso parlava attraverso di lei: era priva di voce fin dalla nascita.
     – Niente conquiste di regni, principesse da sposare, destini speciali? – chiese ancora l’uomo. La maga non rispose. Chiuse gli occhi sconfortata.
     – Solo una misera storia! Se avessi voluto una storia, sarei andato da un menestrello. Da te volevo sapere il mio futuro, maga! – gridò l’uomo, uscendo irritato dalla tenda.
     La maga scosse la testa, poi aprì i suoi penetranti occhi grigi, grigi come la nebbia, nelle cui insondabili profondità si celavano tutti i misteri, e pensò: Povero cieco, se almeno avessi saputo ascoltare… ascoltare veramente… avresti trovato ciò che cercavi… la tua storia. Non avresti chiuso le porte al tuo destino speciale, come invece hai appena fatto!

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