lunedì 26 giugno 2017

Nella palude, in salvo

(racconto ispirato dall'esercizio Tappeto sonoro, non potendo raggiungere un luogo appropriato per l'atmosfera che avevo in mente, ho scelto di scrivere con il sottofondo di Bowa's Swamp By Day)

Suoni che sento:
frinire dei grilli
gracidii di rane
tonfi liquidi
sciabordii
gracchiare dei corvi
martellare dei picchi sul legno
ronzii di insetti
richiamo ritmato del picchio

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.

Da troppe albe non mi fermo, non dormo, non mangio qualcosa di più sostanzioso di qualche foglia amara, gonfia di linfa, o di una canna delle paludi aperte, rosicchiata il più in fretta possibile per evitare di far rumore. Perciò, quando lo sento, per prima cosa penso che sia la stanchezza, o la fame, a parlare alle mie orecchie.
Quel ritmo.
Impossibile da dimenticare.
Il ritmo di casa.
Corro, alzandomi sulle gambe, in direzione del martellare del picchio contro il legno. Senza preoccuparmi di inciampare nel fango o di essere visibile al di sopra delle canne palustri.
I miei occhi non vedono quando passo dalla torrida luce rivelatrice all'ombra delle fronde. Non vedono più niente, ormai.
Ma lo vede la mia pelle.
L'odore del legno umido, il sentore del muschio sui tronchi, il lezzo dell'acqua stagnante mi riempie le narici. Sì, è tutto vero. Non è solo nella mia testa. Sono a casa.
So di non essere ancora al sicuro. Quelle creature, se ancora mi stanno cercando, non si lasceranno spaventare dal chiasso dei grilli o da un po' d'ombra. Sono stata loro prigioniera per più di quattro stagioni, e ormai li conosco. Conosco le loro armi. I loro metodi.
Tendo l'orecchio. Un tonfo, alle mie spalle. Mi appiattisco contro un tronco, poi sento un coro di gracidii provenire dalla stessa direzione.
Non è uno di loro. Le rane sarebbero già scappate.
Mi aiuto con le mani mentre avanzo, spingendo contro le ruvide cortecce che mi circondano, sempre più strette attorno a me. I miei passi smuovono piccole onde in una bassa pozza, le sento tornare ad accarezzarmi le caviglie. Sopra di me, un corvo lancia il suo richiamo stridulo volando tra i rami. Da qualche parte, altri della sua famiglia gli rispondono.
Dove sarà la mia?
Qualcosa di lieve e umido mi sfiora una spalla. È una liana. Forse. O forse no? Mi giro di scatto, scivolo e finisco a terra. Cerco di ripulirmi le squame dal fango viscido, poi avverto la punta di una lancia pungermi la schiena, e l'asta di un'altra battere contro i miei artigli.
E le loro voci. Voci in una lingua che non sento da giorni, da quando le creature che si fanno chiamare umani sono riuscite a ricatturare mia sorella, fuggita con me.
Io sono a casa, tra la mia gente, in salvo. Ma non ho potuto portare lei fin qui, e lo rimpiangerò per il resto della mia vita.

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