lunedì 5 marzo 2018

Addio

(racconto ispirato dall'esercizio Le ultime parole)

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


– Non mi lasciare! – gridò Lisa voltandosi indietro mentre due notturni emaciati, dalle vesti lacere, la spingevano lontano da me.
– Va' con loro – la esortai a voce più bassa. – Non aver paura. Sono qui, dietro di te.
Mi fermai e vidi la luce della sua torcia affievolirsi, sempre più distante, e cedere spazio al lieve chiarore di luna che entrava dalle finestre in frantumi. Attesi di non scorgerla più e poi feci, per la prima volta, il contrario di quanto le avevo detto. Le girai le spalle e tornai dalle ombre in attesa nella sala. La maggior parte di loro era assiepata attorno alla portone d'ingresso del palazzo, che avevano bloccato con assi e vecchi mobili mezzi sfasciati e tarlati; altri sorvegliavano le finestre, divisi in gruppetti. Qualcuno di loro si era portato un'ascia o una spada. Nessuno parlava: i notturni stavano solo lì, in piedi, in attesa. Nel silenzio avvertii uno stridio e vidi un notturno alto e magro, dalle labbra bluastre e gli occhi smorti, che grattava con gli artigli il muro e apriva e chiudeva la bocca irta di zanne. Ovunque mi girassi, il lezzo di morte e di muffa, proveniente dai loro stracci e dai loro corpi, mi riempiva le narici.
Non avevo molto tempo, ma dovevo sapere.
Mi avvicinai in fretta a quello di loro che aveva la testa coperta da un velo di tessuto bianco, sporcato da grandi macchie color ruggine. L'odore del sangue, anche se ormai da tempo rappreso, era inconfondibile.
Le afferrai un polso dalla pelle grigia e la chiamai. – Sara!
Le abitudini non muoiono, neanche nella morte. Così lei si girò e alzò gli occhi ai miei, prima di coprirsi il volto con l'altro braccio, sibilando un agghiacciante: – Perché?
Un momento. Un momento che era stato sufficiente a imprimermi nella mente le sue guance scavate, le labbra che si erano ritirate sulle gengive lasciando scoperte una fila di zanne appuntite, gli occhi rossi, affossati nelle orbite.
Ciò che era rimasto di Sara si liberò dalla mia presa sul polso con uno strattone e mi girò le spalle. – Perché sei qui? Tu non dovresti... perché hai voluto vedermi così?
Indietreggiai di un passo, lasciandole lo spazio di andarsene, se voleva. – Perché non lo credevo possibile.
Le sentii fare una risata amara, gracchiante. – Che cosa? Che io fossi talmente aggrappata alla vita da accettare... questo?
Scossi la testa. Sbirciai gli altri notturni in attesa, all'erta, ombre guardinghe aggrappate alle pareti e dietro la porta. – No – le risposi. – Non credevo che i morti si sarebbero schierati. Sei stata tu, vero?
Sara erse la testa, si girò e mi fissò. Più di tutto, era inquietante non vederla respirare, non vedere le palpebre calare sui suoi occhi. – I morti non dimenticano. Sono ancora la loro regina – sibilò in tono imperioso. – E sono ancora anche la tua, se intendi tener fede al giuramento che mi hai fatto.
"Sì" stavo per risponderle, ma Sara avanzò rapida, le mani in avanti, e mi spinse a terra.
– E allora perché non sei con lei? – Sara non alzò la voce, ma la sua ira mi graffiò più delle sue lunghe unghie nere. Puntò un dito al corridoio dove avevo mandato Lisa e i due notturni a cui l'avevo affidata. – L'hai portata qui. Tu l'hai portata... non avresti dovuto. Vattene – mi ordinò Sara.
La fissai dal basso e trattenni un gemito. Era una di loro, ricordai a me stesso. Con la loro forza. – Non ho avuto il tempo... di dirti addio – mormorai. Mi alzai in piedi e spazzolai via dai pantaloni la polvere che il tempo aveva accumulato sul pavimento.
Sostenni il suo sguardo, mentre lei replicava: – Addio. E ora vattene.
– Addio, principessa.
Anche dopo averlo detto, non riuscii voltarle le spalle, né a muovere un solo passo lontano da lei. Sara avanzò di nuovo e mi spinse, ma in modo più lieve. – Vattene, stupido orecchie-a-punta!
Erano anni che Sara non mi chiamava più così. Da prima di diventare la regina di Laeverth. Sorrisi, ricordando la sua voce da ragazzina al posto di quella stridente che aveva da notturna. E le obbedii, mentre la luce della luna già veniva oscurata dai battiti di ali demoniache.
Sapevamo entrambi quello che stava per accadere nelle rovine di Llamado. I notturni erano forti, ma non quanto i demoni, e non avevano con loro armi d'oro in grado di ferire quelle creature. Sara li aveva convinti a schierarsi, non per vincere la battaglia, bensì per regalare a me e a Lisa il tempo che avevano rubato alla morte.

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