lunedì 2 ottobre 2017

Lui non c'è

(racconto ispirato dall'esercizio Il racconto è la risposta. Per non rovinare il gusto di scoprirla leggendo, ti rivelerò la domanda solo alla fine)

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


La mattina dopo mi svegliai e il mio riflesso non c'era. Lo cercai per primo nello specchio del bagno, ma come se fossi stato trasparente, il rettangolo sulla parete rifletteva l'intera stanza tranne me.
"Quella di stanotte è stata un casino di festa", pensai, "e io sono ancora sbronzo".
Mi sciacquai la faccia con l'acqua gelida, alzai il viso, e il mio riflesso ancora non c'era.
"Cristo!" Pensai, con la testa che mi scoppiava. "Vuoi vedere che sono schiattato e adesso sono un fantasma? Oppure un vampiro. Può essere, sì. Come si chiamava quella tizia mai vista che è venuta con Marco? Debora? Lo dicevo io che era pallida. E baciava troppo bene per essere vera."
Fissando il vuoto nello specchio, presi a schiaffeggiarmi le guance. "Svegliati... svegliati, dai!"
Mi sentivo un po' troppo fisicamente ingombrante per essere uno spettro incorporeo, e la luce del mattino che entrava dalla finestra del bagno non mi aveva ancora incenerito. Nel mio stato mentale annebbiato, c'era solo un'ultima prova per liquidare quelle ipotesi fantasiose: afferrare il tubetto del dentifricio e  sollevarlo di fronte allo specchio.
Le mie dita non lo attraversarono: non ero un fantasma.
Il tubetto del dentifricio non apparve fluttuando nel riflesso dello specchio, trattenuto da una mano invisibile: non ero un vampiro.
Mi grattai la testa. "Ma allora cosa..." Solo in quel momento notai che al di là dello specchio, il dentifricio non si era mai mosso dal suo posto sul lavello.
Scoppiai a ridere.
Davide, quel gran burlone del mio amico Davide. Non era la prima volta che mi giocava un tiro del genere, ma quello era il più elaborato che avesse mai messo in atto. Non sapevo come avesse sostituito lo specchio con una fotografia del mio bagno incorniciata. Aveva coinvolto tutti gli altri per farmi ubriacare ed effettuare lo scambio?
Ridendo, mi diressi allo specchio a figura intera in salotto. Dovevo schiarirmi le idee e restituirgli il favore, se possibile, in maniera ancor più eclatante. Presi il telefono e mi girai a guardarmi nello specchio, pensando che dovevo avere un aspetto spaventoso.
Non lo scoprii, perché anche lì il mio riflesso non c'era.
Possibile che Davide fosse arrivato al punto da scambiare anche l'enorme specchio inchiodato alla parete del salotto?
Mi protesi in avanti così tanto che la mia fronte sembrò affondarvi dentro, come se fosse composto da morbida gelatina, invece che da una lastra di vetro. Mi tirai indietro. Appoggiai la mano, ma lo specchio non offrì alcuna resistenza, e io caddi in avanti.
Mi guardai attorno. Ero nel mio salotto, ma era tutto al contrario. Il televisore, il mobiletto dello stereo, i cuscini sul divano dove aveva sonnecchiato Andrea erano dalla parte sbagliata. Persino le scritte sulle etichette delle bottiglie vuote abbandonate a gruppi qua e là erano al contrario.
Mentre mi guardavo attorno, frastornato da quel bizzarro dopo sbornia, la mia voce uscì da una bocca che non era la mia.
– Non è possibile, sono di nuovo in ritardo. Questi festini notturni mi ammazzeranno, se non lo fa prima il capo...
Dalla porta del salotto entrò uno del tutto identico a me. Giuro, avrebbe potuto essere il mio gemello perduto. Non appena quello mi vide, spalancò gli occhi e prese a sbraitare, per la gioia del mio mal di testa: – Che ci fai tu qui? Fuori! Fuori! Tornatene nel tuo mondo!
L'altro me mi raggiunse e mi spinse indietro, da quella che ormai avevo capito essere la mia parte dello specchio. Poi mi lanciò il telefono che mi era caduto di mano, borbottando: – E guai a te se lo racconti a qualcuno. Non ho proprio voglia di perdere il lavoro, amico.
Si sedette a terra, si spettinò i capelli e assunse la mia stessa espressione stordita. E da quell'istante in avanti, fu tutto come prima. Il mio riflesso era identico a me, sincronizzato con me, e non riuscii più ad attraversare lo specchio, poiché ogni volta che allungavo una mano, lui faceva altrettanto, spingendo contro il mio palmo con la dura freddezza di una lastra di vetro. Neanche provare a saltarci dentro all'improvviso ha funzionato. Niente, per quanto ci provi, lui è sempre pronto a imitare ogni mia mossa, sempre pronto a respingermi.
Da allora, sto aspettando il giorno in cui il mio riflesso si sveglierà di nuovo tardi.


La domanda da cui ha preso spunto questo racconto è: e se gli specchi fossero portali per un altro mondo, e i nostri riflessi le persone pagate per tenerci fuori?

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