giovedì 5 ottobre 2017

Un uomo di un certo peso

(racconto ispirato dall'esercizio Il racconto è la risposta. Stavolta la domanda è: "E se le sedie potessero parlare?")

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Che fa quell’armadio ambulante? Mi sta fissando. È già da un po’ che mi fissa. E poi si muove. Non credevo che riuscisse a muoversi, ma lo fa. E allora mi prende il panico.
Non verrà mica da me, quello? Strillo alle mie compari. No, eh! Ma non lo vede che è enorme, più grosso di un elefante e di una balena messi insieme, non lo capisce che se ci provasse, a sedersi qui, le sue natiche grosse come due angurie da record, ma non altrettanto compatte, deborderebbero in un ammasso informe proteso verso il pavimento? Non riesce a farsi due calcoli e intuire che potrei non reggere la sua stazza, svenire e farci finire entrambi col culo all’aria, o peggio ancora rompermi una gamba, e poi sì che sarebbero dolori per tutti e due?
Che se ne vada di là, in poltrona. Lei di certo riuscirebbe a sorreggerlo, facilmente e dignitosamente. Ma niente, quello fa orecchie da mercante e prosegue imperterrito, mi trascina sul pavimento, si gira, e cala le chiappe colossali. Da sotto ne ho una perfetta visione mentre si avvicinano sempre di più, minacciose e inesorabili. Ormai è impossibile fargli cambiare idea, è lanciato e nulla lo può fermare. Mi faccio forza e stringo più che posso le gambe e lo schienale, preparandomi al contraccolpo che giunge poderoso, scuotendomi tutta. Lo reggo. Miracolosamente, lo reggo. Sento le mie comari bisbigliare. Mi compatiscono, ma non muoveranno una scheggia per aiutarmi nel mio ingrato compito. Non mi resta che tentare di star più rigida e salda che posso, e pregare che gli venga voglia di alzarsi presto.

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