giovedì 17 maggio 2018

Dietro una porta chiusa

(racconto ispirato dall'esercizio Un tocco di fantasia. Ho scelto come creatura di fantasia una mutaforma di Penterra, che come altri esseri abituati alla libertà ha qualche problema con gli spazi chiusi)
 
Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


L'umano se ne va e la porta si chiude alle sue spalle. Resto da sola, in un posto così bianco e luminoso da farmi bruciare gli occhi. L'umano mi ha tradito.
Sono in trappola.
Allungo le unghie in artigli mentre percorro i confini di quella superficie bianca. Salto sopra ogni ostacolo, alcuni cedevoli come la terra bagnata, altri solidi come tronchi. Non trovo alcuno spiraglio, per quanto piccolo, in cui potermi infilare. Nessuna via di fuga.
Questa è una gabbia. Diversa da quelle che mi ha descritto Galkna. Ma pur sempre una gabbia.
La porta che prima si è mossa da sola sembra essere la parte più debole e la più sottile. Mi dico che forse, indurendo i miei artigli e graffiandola abbastanza a lungo nello stesso punto, posso riuscire ad aprirmi una via verso l'esterno.
Mi siedo e mi metto all'opera.

Non ho ancora finito, e non so quanto tempo sia passato dato che non vedo il cielo da qui, quando sento i passi dell'umano avvicinarsi alla porta della gabbia. Mi tiro indietro e mi tengo pronta a saltargli addosso, se aprirà la porta.
La porta si apre. Ma subito un buon profumo di carne mi arriva alle narici e le mie viscere si aggrovigliano, ricordandomi da quanto non mangio.
– Sono venuto a portarti qualcosa che spero sia di tuo gradimen... che hai fatto qui? – L'umano alza la voce alle ultime parole, poi sibila qualcosa che non capisco, ma che mi pare un ringhio. Gli ringhio anch'io contro, mentre i miei denti fuoriescono dalle labbra in forma di zanne lunghe e affilate.
– Ylenia! – urla l'umano. Appoggia di lato quello che teneva in mano e che profuma di carne, fa un passo avanti e la porta si chiude alle sue spalle. – Avevamo un accordo. Non posso proteggerti dagli altri umani se riveli il tuo vero aspetto in questo modo, ricordi?
La voce dell'umano sembra diversa mentre lo dice. Ringhio ancora, e gli rammento a mia volta, nella sua lingua: – Tu tradito accordo. Tu messo me in gabbia.
– Questa? – L'umano rivolge gli occhi alla superficie bianca dietro di me. – Ma questa non è una gabbia. Questa è una camera. Un luogo dove gli esseri umani come me vanno a dormire. Se devi fingere di essere una di noi, ti conviene abituarti. E non ti lamentare delle dimensioni, la mia è poco più grande di questa!

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