sabato 2 marzo 2019

Rada

Se si scrivono storie di viaggi per mare, ci sono determinati termini che si devono conoscere. I nomi dei venti, i verbi che indicano le azioni che si svolgono sulla nave, specialmente se utilizza le vele; e poi, tutta una geografia diversa, che tra le altre comprende anche questa parola.

Rada [rà-da] s.f. Insenatura riparata dalle onde e dal vento adatta all'ancoraggio delle navi.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Avendo scelto una parola che riguarda un luogo in cui c'entrano le navi, sapevo che nel brano avrei dovuto inserirne almeno una. E dato che ho già scritto di recente più di un frammento di testo riguardo alla storia di Rachele e Talon, non volevo proseguire con loro (anche se sarebbero stati perfetti). Piuttosto, ho ripreso Le vele della Fortuna, e ho dato spazio a un paio di personaggi che ancora non avevo presentato (scusa Tia, fatti da parte per stavolta!).


Le braccia incrociare sulla balaustra del portico, Ekira guardava fuori, oltre la spiaggia finissima e bianca, oltre l'azzurro cristallino delle onde, oltre le vele ammainate delle navi che riposavano placidamente nella rada. Guardava il cielo oltre l'orizzonte, e io sapevo a cosa stava pensando. Perché era la stessa cosa a cui pensavo anch'io da quando avevamo appurato che la mia teoria funzionava. Io avevo avuto l'idea, lei l'aveva realizzata. Insieme, eravamo una bella squadra.
– Voglio provarci davvero. Più in grande, però – mi disse quando mi affiancai a lei, a inspirare l'odore sottile di sale.
Ne avevamo parlato a cena, un paio di sere prima. Era stata solo un'ipotesi, ma già ne avevamo discusso come se fosse sicuro che saremmo partiti.
– Ci vorranno più persone. Sognatori come noi. Gente che crede nell'impossibile – le ricordai. Mi appoggiai alla balaustra e le sfiorai il braccio col mio nel calore del sole.
Ekira fece spallucce. – Le troveremo.
Vagai con lo sguardo sulla rada, tra pareti di roccia macchiate dal verde di una vegetazione bassa che abbracciavano quel tratto di mare. Era un luogo protetto, un luogo per noi due soltanto, quello in cui avevamo costruito la nostra casa. Ogni tanto avevamo ospiti dalle navi che si fermavano per rifornirsi d'acqua fresca o riparare i danni di una tempesta, ma sostanzialmente, eravamo soli. E a lei non bastava più.
Aprii la mano e liberai il modellino di una barca, appena un guscio di noce. Pensai a quello che stavamo per fare, e la barchetta iniziò a fluttuare sopra il mio palmo.
– Ti ricordi quando siamo venuti a vivere qui? La geomante ha tracciato quelle righe sulla sabbia, proprio laggiù. – Ekira, indicò un tratto di spiaggia sovrastato dalla parete di roccia. – Ci disse il nome di quella figura, e ci predisse il futuro. Un bel futuro.
Poi si girò e afferrò la mia barchetta volante. – Voglio dare quel nome alla nostra nave. Se sei d'accordo, intendo.
– Fortuna Maior – mormorai tra me. – Mi sembra un'ottima idea.

Nessun commento:

Posta un commento