sabato 30 marzo 2019

Vaticinio

Tra i vari sinonimi di profezia, trovo che questa abbia un sapore più antico. Merito forse di quel "vate" contenuto nella parola. Il resto, secondo l'etimologia, rimanda a un canto. Poetico, no?

Vaticinio [va-ti-cì-nio] s.m. (pl. -ni) Predizione, profezia.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero


Ho diversi profeti e diverse profezie, ma fin da subito ho capito su quale volevo scrivere. Quella che ho già citato nel racconto Il passato di Helanna. Anche se la sua è troppo breve per essere un canto profetico come vorrebbe l'origine della parola.


Un ultimo passo e le fui vicina. Guardai l'occhio della bestia, e lei guardò me, con la pupilla verticale che si stringeva alla luce del sole. Quella era l'ultima prova.
Sollevai la mano sinistra e rimasi lì, tremante, in attesa della sua mossa. Il Teraptide non era un drago, ed era erbivoro, ma era ugualmente enorme e pericoloso. Gli bastava una zampata o una scrollata della testa per uccidermi, e non era un'eventualità così impossibile. Ma il Teraptide si allungò e appoggiò la sua testa verde e squamosa contro la mia mano. Avvertii un fremito, una gioia incontenibile.
Era il momento più bello della mia vita.
I festeggiamenti continuarono fino a notte inoltrata. Ovunque mi girassi c'erano canti e suoni di tamburi, bocconcini di pane dolce e carne piccante, boccali di vino e crema di formaggio che donne e uomini si offrivano mangiando con le mani. Nel cielo sfrecciavano gli alianti dal colori vivaci, e io li seguivo con bramosia: all'alba sarei entrata tra le loro schiere. Ma prima mi attendeva il vaticinio della Voce del Drago.
Mia madre mi accompagnò fino alla tenda lungo il sentiero di lanterne. Io non ero ansiosa di scoprire come sarei morta, ma era una tradizione, e un passaggio indispensabile per potermi librare in cielo con un aliante. Mia madre notò che stavo tremando come al cospetto del Teraptide.
– Non avere paura di scoprire la cagione della tua morte – mi disse. – Saperlo ti renderà libera. Capirai che nient'altro può nuocerti.
Con le sue parole nelle orecchie scostai il tessuto che copriva l'ingresso e avanzai tra il profumo d'incenso e i bagliori che centinaia di ninnoli luccicanti rimandavano dalla penombra.
La sciamana sedeva su una panca con un'ancella ai suoi piedi. Alzò il viso rugoso, mi indicò di sedermi sui cuscini e mi scrutò a lungo.
Era quasi l'alba quando infine decretò: – Morirai per amore.
E fu come se le sue parole fossero bastate a uccidermi. Mia madre si sbagliava: il suo vaticinio mi aveva resa tutt'altro che libera.

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