giovedì 11 aprile 2019

Vietato scrivere sogni?

È capitato di nuovo. Qualche giorno fa, in un commento a un brano che qualcuno aveva condiviso su un social network, ho letto una replica in cui si consigliava di non inserire sogni in un romanzo, aggiungendo che è irritante leggere una scena che non è mai avvenuta e che probabilmente non servirà a niente nella storia. Quel commento mi ha dato di che riflettere. Ho pensato: davvero un sogno non serve a niente, per il semplice fatto di essere avvenuto solo nella mente di un personaggio, invece che nella realtà condivisa con tutti gli altri? Cosa dire allora dei pensieri, dell'immaginazione, delle emozioni? Se un personaggio dovesse prefigurarsi uno scenario catastrofico a causa della sua paura che avvenga qualcosa di brutto, e se poi ciò che ha tanto temuto non dovesse avvenire, il brano in cui viene descritta la sua previsione immaginaria dovrebbe essere eliminato dalla storia al pari dei sogni? E perché non togliere allora per intero il mondo interiore del personaggio che fa da punto di vista, o di qualunque altro personaggio a questo punto, e lasciare solo ciò che si può vedere e toccare, ciò che è "reale": ambiente, azioni, dialogo?

Lo so, sembra un'esagerazione. Ma questa è la conseguenza del tagliare l'universo onirico dalla scrittura soltanto perché non appartiene a una realtà esteriore, dimenticando che appartiene a un altro tipo di realtà: quella della psiche. Quella dell'inconscio. E non è vero che non ha alcuna conseguenza sulla realtà esteriore. Un sogno può riportare a galla ricordi che pensavamo perduti, offrire una prospettiva su un problema che ci tormenta, fornire un'idea innovativa, instillare una paura, rivelare un sentimento che avevamo negato. E tutto ciò poi può avere come conseguenza delle azioni. Basta pensare a quanti artisti e quanti scienziati devono le loro opere o le loro scoperte a un sogno.

Eppure questa regoletta, questo divieto di scrivere sogni, viene ancora pedissequamente ripetuto da qualcuno ogni volta che l'argomento si ripresenta. E ho la sensazione che sia una di quelle "leggi" della scrittura imparate a memoria, come la famosa "mostra, non raccontare" che vengono spesso prese alla lettera senza guardare il quadro generale. Senza chiedersi come mai il sogno in scrittura sia tanto ostracizzato. Non è "perché non serve a niente" che mi sento di sconsigliare di inserirlo in un romanzo; piuttosto, è "quando non serve a niente". Quando il personaggio si sveglia e va avanti con la sua vita come se nulla fosse avvenuto, e mai, nemmeno a distanza di pagine, il tema del sogno viene ripreso o ha conseguenze sulla vita o nei pensieri del personaggio. Quando non rivela nulla di nuovo, né aiuta il lettore a comprendere lati della psicologia del sognatore che fino a quel paragrafo erano rimasti celati. Ma questo può dirsi di qualunque avvenimento all'interno del romanzo, reale o meno. Se un evento resta scollegato dagli altri, se potrebbe benissimo essere eliminato senza alterare il resto della storia o la percezione che ha il lettore riguardo alle motivazioni e alle caratteristiche dei personaggi, e se non ha alcuna altra funzione, come per esempio quella di alleggerire il tono dopo una sequenza fin troppo cupa... be', in questo caso sì che c'è da chiedersi se è davvero necessario lasciarlo dov'è. Anche se ciò che descrive è "avvenuto realmente".

In fondo, se i sogni non devono essere inclusi in una storia, film come Inception e libri come Alice nel Paese delle Meraviglie nemmeno dovrebbero esistere. Io non me la sento di eliminarli in nome di una regoletta venuta da chissà dove, e tu?

Piuttosto, quello che mi fa storcere il naso nelle sequenze dei sogni che mi è capitato di leggere, è che spesso sono fin troppo logici e lineari. Il sogno scritto tende a presentare una scena che si svolge normalmente, istante per istante, proprio come accadrebbe nei momenti di veglia. Spesso, la sola differenza è che il personaggio sognante, o altri con cui interagisce nel sogno, compie un'azione che non farebbe mai, perché contraria alla sua morale o semplicemente insolita. Ma nel sogno ha la stessa età che ha da sveglio, conosce ed è amico delle stesse persone, frequenta gli stessi luoghi. Tutto ciò che avviene è fisicamente possibile, senza incongruenze all'interno del brano. La scena del sogno risulta così quasi indistinguibile da una ambientata nella realtà dei personaggi, tanto che spesso chi ha condiviso il brano è costretto a specificarlo: "questo è il sogno di Tizio".

Ma i sogni, quelli veri, non funzionano così. Nei sogni può capitare di tornare di nuovo bambini, frequentare la scuola, rivedere persone morte, o con un salto temporale in avanti, ritrovarci fra una decina d'anni, magari sposati e con figli. Nei sogni, un amico può avere il volto di uno sconosciuto, sparire all'improvviso o cambiare di ruolo, diventando ad esempio un fratello o il padre; la nostra casa avere stanze diverse, o trovarsi in un'altra città pur essendo la stessa. Può capitare di ripetere la medesima azione ancora e ancora e ancora senza ottenere alcun risultato, o saltare un evento ma ricordare di averlo vissuto. Può capitare di saper fare cose che nella realtà non abbiamo mai imparato, o essere totalmente incapaci di compiere azioni che da svegli facciamo quotidianamente. E possiamo fare cose impossibili come volare, cadere in un abisso e non farci male, morire e tornare in vita o diventare fantasmi, respirare sott'acqua o nello spazio, incontrare i personaggi di un film o di un libro, quando non addirittura entrare nel loro un mondo immaginario. E a meno di non considerare l'eventualità di un sogno lucido, in cui ci si rende conto di stare sognando, tutto ciò che avviene ci appare pienamente plausibile e reale, nulla ci stupisce.

Perché non mi capita quasi mai di leggere i personaggi alle prese con sogni del genere? Perché nessuno considera che la fase rem, quella in cui si sogna, è la fase meno profonda tra quelle del sonno, e che qualunque stimolo della realtà, che sia una voce, il suono della sveglia, la sensazione di freddo o la luce del mattino che filtra attraverso le palpebre può entrare a far parte dell'esperienza onirica, per ritardare il risveglio e la sua inevitabile fine?

Io non ritengo che sia vietato scrivere sogni. Non mi provoca alcun fastidio sapere che gli eventi descritti non sono mai davvero avvenuti. Ma se scegli di includerli in un romanzo o in un racconto, mi sento di darti solo due consigli. Fa' in modo che siano rilevanti, se non fondamentali, per lo svolgersi della storia. E, soprattutto, scrivili bene, scrivili come sogni, con tutte le loro incongruenze e i loro nonsense, e non come un altro tipo di avvenimento che ha l'unica particolarità di "non essere mai avvenuto".

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