sabato 11 agosto 2018

Harmattan

Ed eccomi, di nuovo, alla lettera più difficile di tutto l'alfabeto, in italiano! Come al solito, non mi resta che cercare una parola che si sia infilata nel nostro dizionario proveniente da un'altra lingua, o una che sia possibile scrivere con e senza acca iniziale.

Harmattan s.m. inv. meteor. Violentissimo vento desertico proveniente dal Sahara che in inverno soffia da levante, investendo di sabbia le coste occidentali dell'Africa, fino alla Guinea.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Un termine così geograficamente definito è più difficile da inserire in un contesto diverso da quello di origine. Ma con un po' di fantasia si può immaginare che in un universo parallelo, in un deserto simile e con le stesse condizioni climatiche, sia stato coniato lo stesso termine (o che per semplicità sia stato tradotto così da qualunque lingua si parli in quel luogo).


Quando soffiava l'Harmattan, la terra cambiava. Ogni volta che suonava il corno, segnale che dovevamo chiuderci in casa per ore, o anche giorni, io salivo alla stanza superiore della torre e guardavo dalla cupola trasparente la nuvola dorata che si avvicinava: prima era una striscia confusa all'orizzonte, poi un muro impenetrabile, e infine diventava una coperta che avvolgeva la cupola, nascondendo persino il sole. Lì, nella penombra ambrata, pensavo a quello che avremmo trovato quando la sabbia si sarebbe posata.
Seduta da sola al centro della cupola, rannicchiata e con le ginocchia strette al petto, guardavo la sabbia strusciare contro il vetro e cercavo di immaginare quali meraviglie avrebbe rivelato l'Harmattan. Quali rovine sarebbero emerse dal deserto, quali tesori dell'era antica avremmo riportato a Timing dalle esplorazioni, quali scoperte sarebbero state possibili solo grazie all'ululato di quel vento che ci costringeva a rintanarci sottoterra, al sicuro. Nessun altro, oltre a me, osava starsene lassù durante la tempesta di sabbia. Qualche volta avevo sentito le strutture della torre scricchiolare, ma io non avevo paura.
Quel vento era mio amico.
Anche se sconvolgeva i sentieri e spostava le dune con le quali mi orientavo: era come un amico un po' scontroso, dispettoso, che si divertiva a mettere tutto a soqquadro. Ma che portava anche bellissimi regali. Era grazie a lui se Timing, la mia città di archeologi sperduta nel deserto, prosperava. In autunno tutti i maghi della regione sarebbero venuti da noi per partecipare alla sfida. Solo pochi di loro avrebbero scoperto l'uso degli artefatti antichi ritrovati tra la sabbia, vincendo la sfida e l'oggetto, ma tutti avrebbero portato qualcosa come tributo: cibo, acqua, tessuti e tutto il necessario per fare sì che la gente di Timing vivesse un altro anno.

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