sabato 11 maggio 2019

Equoreo

Questa è una parola poetica, da usare con parsimonia. Difficile infilarla in un discorso, anche perché non si verrebbe capiti. Ma ho voluto presentarla lo stesso, affascinata dal suo suono liquido.

Equoreo [e-quò-re-o] agg. lett. Del mare, marino.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Photo by Josh Sorenson from Pexels


Era da un po' che non scrivevo qualcosa su Oceano Blu. L'immagine del mare me l'ha riportata alla mente, ma una parola così insolita richiedeva un'età diversa per essere verosimilmente pronunciata o pensata, così... l'ho lasciata bambina, e la ritrovo adulta.


Non sapevo cosa mi aveva portato alla spiaggia. Non lo sapevo quel giorno, e probabilmente non l'avrei saputo mai. Tutto ciò che potevo fare era contemplare l'ipnotica equorea danza delle onde, mentre un'infinità di domande mi si affollavano in testa. Era un giorno nuovo, e un mondo nuovo; eppure, sotto quel cielo che pareva il riflesso di nubi fluttuanti nell'acqua, c'era la solita vecchia me.
La ragazza blu che era stata la bambina blu, quella strana cosa che tutti avevano guardato con stupore o disprezzo.
Non sapevo perché ero lì, ma seguii il richiamo equoreo, allargai le braccia e danzai con le onde. Morbida, la sabbia rispondeva ai miei passi, mentre la brezza salmastra spirava da oltre l'orizzonte, mi attraversava e soffiava il suo aroma tra i miei capelli blu. Le onde si sollevavano e si abbassavano, e io con loro. Il mondo vorticava, e io con lui. Il mio cuore accelerava il ritmo, saltava i battiti pur di rincorrere le mie gambe, il mio fiato faceva a gara con il vento, e mentre danzavo quella danza selvaggia, le domande che credevo di aver avuto scivolavano via da me e finivano divorate dalla spuma famelica.
Poi accadde qualcosa. Un altro colore si mescolò al mio.
Braccia rosse mi cingevano i fianchi e mi aiutavano a librarmi più in alto, mani cremisi si allacciavano alle mie mentre m'inarcavo all'indietro, e un corpo color del fuoco mi sostenne quando infine, esausta e accaldata, mi addossai a lui. E, finalmente, lo guardai negli occhi.
Nel suo sguardo scoprii una sorta di riconoscimento, un confuso e sorpreso piacere, lo stesso che provavo io.
Lui era come me. Eravamo entrambi diversi. Eravamo uguali.

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