lunedì 13 maggio 2024

Giocare con le ombre


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Carla Schizzi da Pexels


Non era un grande parco, quell'angolo di verde in periferia, ragionavano le mamme e i papà che dalle panchine seguivano le allegre scorribande dei rispettivi pargoli. Niente a che vedere con il Parco Giochi tematico e super attrezzato che si trovava in centro città, ma c'era spazio per tutti, facendo a turno. C'erano due scivoli, tre altalene appese e una basculante, una sabbiera e una struttura da arrampicata con scalette, corde, ponti e reti.
Insomma, volendo, il bambino avrebbe potuto tranquillamente giocare assieme agli altri.
Il problema, a quanto pareva, era che lui non voleva.
Se ne stava sempre da solo, di fronte al muro di cinta esposto al sole, come fosse stato in castigo. E questo non perché qualche bulletto lo avesse allontanato, isolato, rifiutato. Anzi, sia i bambini che gli adulti erano andati più volte a chiedergli di unirsi ai giochi degli altri, ma l'unica risposta che ricevevano, immancabilmente, era: – Perché non venite anche voi a giocare con le ombre?
Con tante altalene e scivoli a disposizione inutile dire che gli altri bambini, quelli normali secondo la definizione dei loro genitori, lo lasciavano ogni volta per rientrare nella rumorosa caciara al centro del parchetto, dove correvano e si dondolavano e gridavano fin quasi a perdere le forze e il fiato... quasi, perché quando per i loro genitori era ormai giunto il momento di tornare a casa, i bimbi miracolosamente ritrovavano energia e voce per strillare: – Un altro po'... voglio restare ancora un po'!
Il bambino solitario invece no, non urlava e non si affannava. Se ne stava tutto il giorno nel posto che si era scelto accanto al muretto esposto al sole, a disegnare con le mani ombre di uccelli e musi di cani ed elefanti e altre figure umane e animali così realistiche che quasi si sarebbe immaginato di vederle un giorno staccarsi dal muro e volare o correre via.
Qualcuno dei piccoli vocianti scalmanati ogni tanto si fermava e si godeva lo spettacolo con ammirazione, e in certi rari casi vi erano stati uno o due ragazzini che avevano provato a imitarlo, ma per quanto lui avesse lasciato loro spazio e offerto suggerimenti su come incrociare in modo corretto le dita per creare questo o quel disegno con l'ombra delle mani, nessuno sembrava mai alla sua altezza, e ben presto i suoi emuli si stancavano di un gioco che sebbene sembrasse così semplice quando a farlo era il bambino delle ombre, a loro non riusciva mai altrettanto bene.
Il bambino delle ombre, così avevano preso a chiamarlo tra loro i genitori degli altri marmocchi, perché non ce n'era uno che interrogandolo fosse riuscito a farsi dire il suo nome. Il piccolo sembrava sempre troppo concentrato nel suo gioco per rispondere a simili scomode domande sulla sua identità, o aggirava l'argomento parlando d'altro. Nessuno, inoltre, aveva mai capirò chi fossero e dove fossero suo padre e sua madre. Più di una volta c'erano state conte tra i presenti per indicare i rispettivi pargoli, e nessuno aveva mai indicato il bambino delle ombre così come nessun adulto era mai rimasto fuori da quel conteggio. Possibile che la sua famiglia lo mollasse in quel parchetto al momento dell'apertura mattutina e lo venisse a riprendere appena prima che il custode mettesse le catene ai cancelli? Doveva essere così, anche se nessuno li aveva mai visti, poiché il bambino delle ombre era già lì, al suo posto accanto al muro, quando arrivavano le prime mamme con ragazzini urlanti e carichi d'energia da sfogare da una notte di sonno seguita da una colazione con troppi zuccheri, ed era ancora lì quando gli ultimi papà trascinavano via con piglio severo i marmocchi più recalcitranti; ma quando passava il custode per il giro d'ispezione prima di chiudere, il bambino delle ombre non c'era più. E non era possibile che si fosse rifugiato nel casotto dei bagni, o arrampicato su qualche albero, o nascosto sotto gli scivoli per restare dopo l'orario di chiusura: il custode, da quando ne aveva notato la presenza, aveva iniziato a passare in rassegna ogni volta tutti i possibili nascondigli.
D'altra parte, di notte, col sole tramontato e tutti i lampioni spenti, il suo unico gioco era necessariamente sospeso. Che motivo avrebbe avuto di restare lì?
Questi erano i pensieri dei bravi genitori degli altri bambini, che in cuor loro biasimavano e condannavano la cattiva famiglia che lo lasciava solo tutto il giorno. Erano preoccupati per lui.
Poi giunse l'anno 1798, quello in cui in tanti videro l'apparizione in piazza durante i festeggiamenti, e le ombre smisero di essere una cosa innocua.
Da quel momento in avanti i bravi genitori non si degnarono più di preoccuparsi per il bambino delle ombre e incominciarono invece a temere per i loro figli, con quello strano bambino in giro. Raccomandavano sempre di non avvicinarlo, di non parlargli, di non giocare con lui. Sebbene avessero più volte allertato le autorità su quel ragazzino sospetto, questo non si faceva mai trovare quando mandavano qualcuno a controllare. E immancabilmente tornava al suo posto una volta scampato il pericolo di vedersi portar via e interrogare da chi aveva il potere e la volontà di farlo.
Qualcuno avrebbe potuto chiamare paranoia l'ossessione dei genitori nei confronti del bambino delle ombre, e avrebbe avuto torto.
Il giorno in cui le ombre si sollevarono in massa in quella parte della città c'è chi giura, mentre scappava dal parchetto di periferia con il proprio frugoletto frignante in braccio, di aver visto il bambino delle ombre camminare tranquillo in mezzo a quelle apparizioni da incubo, c'è chi giura di averlo visto trasfigurarsi in una silhouette oscura come tutte le altre, e c'è perfino chi giura di averlo udito chiedere con la sua vocetta cantilenante e allegra: – Perché scappate? Dai, tornate qui, venite a giocare con le ombre assieme a me!

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