lunedì 20 maggio 2024

Il robot che non sapeva di essere un robot


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Tara Winstead da Pexels


L'erba del prato nel parco privato di Virginia Blake era mantenuta a un'altezza costante da una schiera di robot rasaerba, notò Jeremy nel passeggiare lungo un vialetto. Non che fosse qualcosa di insolito per chi poteva permetterseli, ovvero una grossa fetta della popolazione dato che il prezzo di quei marchingegni dalla programmazione grossolana si era notevolmente abbassato dai primi giorni della loro comparsa, ma forse per deformazione professionale lui tendeva a notarne sempre la presenza.
Così come notava le telecamere di sorveglianza posizionate in punti strategici del parco, o un drone in volo, o il robot ballerino con cui stavano giocando due bambine, probabilmente amiche, accompagnate dalle rispettive famiglie.
Erano tutti prototipi di quello che lui era riuscito a realizzare, e presto il mondo lo avrebbe saputo. Nella tranquillità sospesa di quel parco, con il rombo dei motori e i clacson insistenti nel traffico ridotti a un bisbiglio lontano, Jeremy scoprì di essere nervoso. Non lo era stato mentre assieme a Virginia Blake cercava di portare la sua grande opera, il suo capolavoro, al sicuro dalle grinfie di chi voleva impossessarsene. E non sarebbe stato altrettanto nervoso, immaginò Jeremy, se avesse dovuto annunciare a tutte le tv locali e nazionali di essere lui l'androide.
A quanto ne sapeva, Karin la stava prendendo incredibilmente bene. Troppo. Un po' di umana ansia nel mettersi a quel modo al centro dell'attenzione sarebbe stata auspicabile, ma Jeremy ormai non si faceva illusioni. Virginia Blake era riuscita a farla funzionare di nuovo, a sbloccarla da quello stato di torpore in cui la rivelazione della sua vera natura l'aveva precipitata, ma nulla di più.
La ragazza inconsapevole che aveva inciso una canzone e goduto di un momento di effimera gloria, quella che aveva saputo emozionare con la sua voce dal palco di un night club era scomparsa per sempre.
Jeremy si fermò di fronte alla statua metallica che raffigurava un robot. Nessuno avrebbe potuto scambiare quella cosa orribile per un essere umano. Ecco cos'era diventata Karin.
– Dovrei essere meno critico. – Jeremy scosse la testa. – Quello che ho ottenuto in fondo è un successo. Il programma funziona, è una vera intelligenza artificiale, una mente pensante, consapevole e in grado di evolversi, la prima nel suo genere.
– Parli da solo, bimbo? – interloquì una voce femminile alle sue spalle.
Jeremy strinse i pugni. Virginia Blake. Sapeva di essere giovane, tanto più giovane della magnate che aveva finanziato in segreto il suo lavoro e anche dei colleghi con cui aveva compiuto quell'impresa, ma non sopportava di essere sminuito in quel modo.
Litigare su un nomignolo però le avrebbe solo fornito una cartuccia in più per affermare quanto fosse appropriato. "Non sarò io quello infantile", si disse Jeremy.
– Pensavo che questo fosse un parco privato – le disse invece, voltandosi e additando le famigliole con bambini e ragazzi impegnati a pilotare droni, smontare e rimontare piccoli automi e giocare a scacchi contro bracci meccanici.
– È aperto alle famiglie dei miei dipendenti – replicò Virginia Blake. Labbra rosse, trucco impeccabile, proprio come ci si aspettava dalla regina di un impero dei cosmetici. – È un bene curare le giovani menti, i futuri inventori del domani, specie se ragazze.
Jeremy si lasciò sfuggire un sogghigno. – Specie se queste giovani menti, al momento del loro debutto, si presenteranno truccate dalla VB Cosmetics.
Ecco cosa seccava tanto Virginia: che non poteva schiaffare lui in prima pagina a fare da testimonial al suo marchio. Doveva accontentarsi di avere un androide dalle fattezze femminili. La pubblicità era il motivo per cui aveva insistito su quel punto prima di concedergli un finanziamento.
Jeremy sbirciò la statua del robot alle sue spalle. – Karin è pronta? – chiese soltanto.
Lui aveva passato qualche ora in compagnia degli avvocati della VB Cosmetics per rivedere il contratto che lo legava al misterioso finanziatore, ora non più tanto misterioso, ma supponeva che a Karin non fosse stato riservato un simile diritto.
Anche se Virginia aveva insistito che per recuperare la sua autonomia decisionale doveva essere trattata come una persona, in termini legali non poteva essere altro che una proprietà.
– Ha avanzato delle richieste – gli disse invece Virginia Blake, sorprendendolo. Se era in grado di pretendere qualcosa, di negoziare, di non lasciare che disponessero liberamente di lei come fosse un oggetto, forse non tutto era perduto.
– Che cosa...? – fece Jeremy.
– Spese mediche – ribatté Virginia Blake. – Chiudi la bocca, bimbo, non per lei. Lo sa che non le servono. Per il suo amico, il pianista.
– Quello che è stato ferito? – chiese Jeremy. Buona parte della giornata era trascorsa, e il sole che tramontava dietro i grattacieli lo lasciò in compagnia di una brezza fresca. Lontano, all'ingresso del parco, le famiglie con le ragazzine che si erano interessate al robot ballerino stavano tornando a casa.
Erano passate solo poche settimane, eppure Jeremy sapeva che anche a distanza di anni avrebbe ricordato quella notte. La notte in cui aveva recuperato Karin in maniera così rocambolesca, sfuggendo ai suoi ex soci che avevano stretto accordi con finanziatori assai più loschi di una regina dei cosmetici.
Del tipo che non esitava a riprendersi con la forza un investimento e a eliminare ogni ostacolo.
– Non sapevo nemmeno che fosse ancora vivo – ammise Jeremy, vergognandosi un po' nel rendersi conto che anche lui non aveva guardato in faccia a nessuno pur di riprendersi la sua creatura.
– Lo è – replicò Virginia Blake. – Ma non è per le conseguenze di quella notte che mi ha chiesto di finanziare l'operazione a cui dovrà sottoporsi, se lo desidera. Lo sapevi che il pianista è sordo? Conseguenza di un incidente di qualche anno fa, a quel che mi ha detto Karin.
Jeremy non lo sapeva, e nemmeno gliene importava più di tanto, se non per un dettaglio. Era quasi comico. Il robot che non sapeva di essere un robot e il musicista che non sentiva la musica. Avrebbero fatto una bella coppia, se non fosse arrivato lui a distruggere tutto quanto.
Ora che il robot sapeva di essere un robot, era più che giusto che il musicista tornasse a sentire.

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