giovedì 7 giugno 2018

Al cuore delle cose

Guardati attorno. Siamo circondati, ogni giorno che passa sempre di più, da oggetti "smart", intelligenti e interattivi. Un cellulare che ti fa da navigatore e che ti chiede con insistenza di tornare indietro e di prendere la seconda uscita alla ròtonda non è una novità, così come non lo sono più i giocattoli parlanti con i quali, forse, anche tu sarai cresciuto. Oggi con quegli stessi cellulari, ma anche con le automobili, si intavolano discussioni (tramite Siri, Ok Google, Cortana...) ad alto tasso di esiti comici e di incavolature varie, perché proprio come con un altro essere umano, anche nel tuo rapporto con la macchina c'è sempre il rischio di finire con l'essere un incompreso. A breve, e sta già succedendo, cominceranno a parlare pure le lavatrici e i frigoriferi, e poi che altro?

In mezzo a tutto questo, potresti pensare che quella di attribuire sentimenti, pensieri e parole agli oggetti inanimati sia un'idea più tipica dei nostri tempi che delle epoche passate. In fondo, quando gli oggetti non si muovevano da soli e non avevano voce, erano soltanto oggetti. E invece è un modo di pensare, e di scrivere, che risale a molto tempo fa.

Mai sentito parlare di animismo? Per l'uomo primitivo luoghi e oggetti, in particolare quelli più importanti, quelli sacri, erano vivi e avevano un proprio spirito. E questo concetto è sopravvissuto in molte religioni, ancora oggi. Basti pensare ai kami giapponesi, le divinità-oggetti della fede shintoista(ma anche animali e concetti astratti possono essere kami... tra l'altro, il Giappone ha una ricca tradizione di demoni in forma di oggetti, come quello che anima i vecchi ombrelli, il Kasa-obake). Oppure alle statue e alle reliquie oggetto di venerazione della fede cattolica, per tornare a qualcosa di più vicino forse più noto a te che stai leggendo.

Ancora, in fatto di animismo, ma senza connotazioni religiose, i bambini sono veri e propri maestri in questo. Il loro mondo è animato per intero, e non solo dai cartoni. Tutto attorno a loro agisce, ha sentimenti e intenzioni. E le favole in cui spesso compaiono oggetti e animali come personaggi, riflettendo questo loro modo di pensare, parlano la loro lingua.

In letteratura, quando un oggetto (oppure, anche qui, un albero, un animale, un concetto astratto) presenta caratteristiche umane come il pensiero, l'azione o la parola, si sta usando la figura retorica della personificazione o della prosopopea. La differenza è che la prosopopea si ha quando l'oggetto parla, mentre nella personificazione può anche non farlo. Ma queste sono sottigliezze. Concluderò, che ho già scritto troppo, con alcuni esempi d'autore:


I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardâr.

Mi riconobbero, e - Ben torni omai -
Bisbigliaron vèr me co 'l capo chino -
Perché non scendi? perché non ristai?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.

Oh sièditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d'una volta: oh, non facean già male!
Nidi portiamo ancor di rusignoli:

Deh perché fuggi rapido così?
Le passere la sera intreccian voli
A noi d'intorno ancora. Oh resta qui! -

(G. Carducci, Davanti San Guido, 1-16)


“..E’ giù,
nel cortile,
la povera
fontana
malata;
che spasimo!
sentirla
tossire.
Tossisce,
tossisce,
un poco
si tace…
di nuovo
tossisce.
Mia povera
fontana,
il male
che hai
il cuore
mi preme..”

(A. Palazzeschi, La fontana malata, vv.6-25)

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