giovedì 28 giugno 2018

Solitaria in due

(racconto ispirato dall'esercizio Ti racconto una storia. Stavolta ho scritto un brano in prima persona appositamente per l'esercizio, e il narratore in terza persona scelto è il numero 4, un personaggio non umano esterno alla vicenda)
 
Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.



Questo è il brano in prima persona:
 
Passati gli esami di maturità, avrei voluto stare via un anno intero. Ma anche se da bambina avevo praticamente passato più tempo in mare che sulla terraferma, non ero mai stata a lungo da sola. Mamma non me lo permise. Era sempre stata protettiva, con me, nonostante quello che avevo fatto. Ci accordammo per un'estate intera, tre mesi di navigazione in solitaria in compagnia di Sabrina, la barca che portava il nome della mia gemella mai nata, e che finalmente era mia.
Era stato papà a scegliere il nome della barca. Mamma non lo sopportava. Per me andava bene. Era una specie di contrappasso, mi ricordava che mostro ero stata, ma allo stesso tempo era una consolazione poterla riavere con me, anche se in una forma diversa.
Era la fine della nostra seconda settimana assieme quando avvenne. Avevo letto di simili illusioni ottiche, il raggio verde, il parelio, ma non li avevo mai visti di persona.
Di punto in bianco, in cielo c'erano due soli. Dovevo fare una foto.
Navigavo col timone a vento, perciò non fu un problema lasciarlo per andare in cabina; o almeno, non lo fu finché il secondo sole non s'ingrandì e non venne dritto verso di me.
Un meteorite! pensai, e mi affrettai a tornare al timone. Ma quando guardai di nuovo, dal secondo sole emersero un paio di ali da pipistrello, e poi lunghe zampe con artigli, e altre due zampe, più corte e più in alto. Con un lampo tonante, il secondo sole sputò fuori quello che aveva tutto l'aspetto di un demone, e poi svanì, lasciando me e Sabrina da sole con la creatura.
Mi abbassai. Quella cosa sbatteva le grandi ali sopra la mia barca, seguendone l'andatura, e sembrava che non mi avesse ancora notata. Mi aggrappai a un golfare nel pozzetto: si ballava un po', con la spinta di colpetti d'aria irregolari da quelle ali sulle vele.
La creatura allungò tutte e quattro le zampe, si artigliò all'albero e richiuse le ali.
Capii subito che dovevo scacciarla alla svelta: sotto il suo peso, la barca si stava già inclinando da un lato. Afferrai il mezzomarinaio, mi agganciai alla lifeline e risalii dal pozzetto, ma non feci in tempo ad agitare l'asta che la creatura, forse infastidita dal trespolo instabile, spalancò le ali e si levò in volo. Per il contraccolpo caddi a terra, rotolai e sbattei contro un candeliere, e fui a tanto così dal finire in acqua. Col cuore in gola e gli spruzzi salmastri che mi lavavano la faccia, avvertii un'ombra nascondermi il sole e guardai in su. La creatura mi aveva vista e stava scendendo su di me. Mi ritrassi, sollevai la schiena e mi misi a sedere. Gridai e agitai il mezzomarinaio per tenerla lontana. Per tutta risposta, la creatura emise un grido stridente, che mi costrinse a tapparmi le orecchie con le braccia sollevate.
Poi, inaspettatamente, Sabrina mi aiutò. Lì per lì, pensai che mi avesse salvato la vita. Andò così: il vento girò a nord est e il timone a vento reagì di conseguenza, e la creatura smise di guardarmi per osservare le vele, e poi il timone. Ne approfittai, mi alzai e virai un colpo con il mezzomarinaio, che stavolta andò a segno, e la creatura si afflosciò sul ponte. Mi avvicinai con cautela, tenendo ben stretto il mezzomarinaio. Potendo dare un'occhiata più da vicino, notai che la creatura sembrava avere addosso dei vestiti, ed erano più elaborati degli stracci che mi sarei aspettata di vedere. Un paio di pantaloni neri lunghi fino alla caviglia lasciavano scoperte zampe simili a quelle degli uccelli, o meglio dei dinosauri visti al cinema; allacciata in vita portava una cintura con qualche attrezzo, cacciaviti e chiavi inglesi e altri che non riconobbi; sul torso una camicia bianca e un gilet di pelle, e poi un bracciale con piccole ruote dentate tintinnava al polso del braccio con cui la creatura si riparava il viso.
Ancora più strano, però, era che mentre io mi avvicinavo, quella si trascinava indietro. Come se avesse avuto... paura?
– No... no, umana, per favore, non farmi del male! – implorò la creatura. La sua pronuncia era strana, come un misto di varie inflessioni regionali in cui riconobbi la erre romana, la rotondità del romagnolo e anche qualcosa di veneziano e di toscano, ma nonostante quel misto strambo le sue parole restavano comprensibili. Era italiano.
Mi bloccai. – Aspetta, tu...
La creatura fece scivolare giù il braccio. Dietro una mano che a parte le unghie nere, lunghe e ad artiglio era umana, comparve il volto sorpreso di un ragazzo.
Ci indicammo l'un l'altro e gridammo insieme, con il medesimo stupore: – Ma tu parli la mia lingua!
 
 
Ed ecco qui il brano modificato:
 
Quello che Rachele amava con tutta se stessa era il mare.
Quello che Rachele odiava con tutta se stessa era se stessa.
Tre mesi a spasso per il mare che amava con la sola compagnia della persona che odiava e di una barca che le ricordava il motivo di quell'odio era la più grande fonte di contraddizione che si potesse immaginare. Ma forse, o almeno così Rachele pensava, era proprio ciò di cui aveva bisogno per riconciliarsi con un passato di cui in fondo non aveva colpa, sebbene la sua famiglia non facesse che ricordarglielo. Prima ancora di nascere, infatti, Rachele aveva divorato la sua gemella Sabrina. E le operazioni che aveva dovuto subire a pochi mesi dalla nascita a causa del suo crimine non erano state un'espiazione sufficiente.
Rachele non lo sapeva, ma quello di cui aveva davvero bisogno, in quel momento della sua vita, era di non rimanere da sola. Il fantasma di una sorella che non aveva mai avuto non era una compagnia sufficiente. Le serviva un vero angelo custode. O almeno, un amico.
Quando il portale si aprì nel cielo, se avessi potuto, avrei sorriso. Anche se quello non fu il migliore degli inizi: niente strette di mano, niente presentazioni, niente battute. Non subito.
Talon, essendo quello che era, appena oltrepassò il portale si mise subito a fare la terza e la seconda cosa che un gremlin della Terra del Vapore sa fare meglio. Ovvero, rispettivamente: volare, e causare guai e disagio a qualunque essere umano ovunque andasse. Nessuna sorpresa che la sua esperienza con gli umani fosse stata fino a quel momento assolutamente disastrosa.
Nello specifico, mentre Rachele, nascosta nella zona più bassa della barca, era ancora impegnata a riprendersi dallo spavento della sua comparsa e a non farsi notare, Talon, non vedendo altro che onde blu e salate attorno a quel piccolo guscio solido, decise di approfittare del punto più alto del suddetto guscio per riposare le ali. Salvo poi scoprire che quello che pareva un palo ben piantato nel terreno si inclinava sotto il suo peso. Talon allargò le ali e riprese il volo, schivando per un soffio il palo che riprendeva il suo posto. E fu allora che vide Rachele, sbattuta sul ponte dal contraccolpo come uno straccio bagnato.
Un gremlin della Terra del Vapore, per quanto giovane, sa che un umano da solo non è pericoloso quanto un intero gruppo di umani. Ma Talon, almeno in quel caso, si sbagliava.
Perché Rachele, che credeva di essere un mostro ed era convinta di affrontare un altro tipo di mostro, non avrebbe esitato a ucciderlo per proteggere tutto ciò che rimaneva di Sabrina, una barca e un nome.
Rachele agitò in aria il bastone uncinato e urlò. Talon urlò più forte. Non aveva bastoni con sé, ma una voce umana non poteva battere la sua, sia quanto a decibel, che quanto a fastidio provocato.
Fu un cambio di vento, e di conseguenza di rotta, a distrarlo. Fu a causa del vento che Talon notò l'automatismo che governava il timone e così si mise a fare la cosa che un gremlin della Terra del Vapore sa fare meglio di qualunque altra: ovvero quello che loro chiamano migliorare un'invenzione, e che gli esseri umani chiamano distruggere un macchinario di fondamentale importanza.
Talon lo stava facendo solo nella sua mente, in quel momento, ma non era una cosa saggia da fare quando si affronta un umano. Mentre era assorto nelle sue elucubrazioni, Rachele lo colpì con il bastone sull'ala e sul braccio destro.
L'ala dolorante gli si chiuse d'istinto dietro la schiena e Talon crollò su quel guscio solido in mezzo alle onde. Aveva perso il vantaggio del volo. La situazione si era invertita: Rachele, in piedi, lo sovrastava.
Talon non era mai stato preso da un umano e non sapeva che cosa Rachele intendeva fargli. La supplicò, pur consapevole che gremlin della Terra del Vapore e umani della Terra del Vapore non parlano la stessa lingua.
Non aveva tenuto conto che Rachele non era un'umana della Terra del Vapore.
E Rachele non aveva tenuto conto che quello che sembrava un mostro poteva non esserlo affatto.
Allo sgomento per la scoperta di poter dialogare e capirsi seguirono scuse, strette di mano, presentazioni e battute.
In Rachele, Talon trovò una fonte a cui abbeverare la sua mente curiosa.
In Talon, Rachele trovò un amico e una distrazione sufficiente a farle dimenticare perché mai avesse odiato tanto se stessa.

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