lunedì 11 giugno 2018

Vita da tazzina

(racconto ispirato dall'esercizio Se potessero parlare... Ho scelto di dare voce a una tazzina da caffè.)
 
Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Aaaah, che fortuna, stasera sono toccata a lui! A lui che il caffè lo beve amaro. E così niente polverine o liquidi zuccherosi, e soprattutto niente cucchiaini metallici ficcati a forza fino a sbattere contro il fondo o agitati vorticosamente nel mio caffè fino a farmi girare la testa. E nemmeno mi ha lasciato ad aspettare fino a raffreddare il mio cuore nero, no: rapido, un risucchio veloce tutto d’un fiato, e via. Peccato per i baffi che mi fanno il solletico, ma quando si decide a radersi per bene! Così finirà per graffiarmi tutta la ceramica. Io sono una tazzina a modo, delicata, ci vuol poco a scheggiarmi, bisogna sapermi trattare con cura. E ormai ho pure la mia età, di anni al servizio di questa famiglia ne ho passati, non sono più una giovincella ai primi espressi. Come premio per il mio assiduo servizio, preferirei non essere assegnata casualmente a ogni pasto a una bocca diversa. Ma riconoscermi fra le mie compagne, lo so, non è facile: io non spicco come quelle esibizioniste delle tazze da colazione o da the personalizzate. Non ho idee strambe per la testa, né strani intrugli dentro. Solo caffè per me, a pranzo e a cena. A ogni modo, per oggi il mio lavoro l’ho fatto, ora mi spetta una bel bagno caldo e poi via, a dormire accanto alle mie sorelle fino a domani. E non rimproveratemi se mi riposerò fino a mezzogiorno. Non sono pigra, anzi: io mi sveglio sempre all’ora in cui qualcuno ha bisogno di me.

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