giovedì 17 gennaio 2019

L'ultima notte

(racconto ispirato alla Sfida numero 14. In questo caso è stato molto più facile iniziare vicino alla fine, dato che so come si conclude questa storia, e ho messo anche un accenno al flashback da cui partire a narrare. Includere l'antagonista non visto era quasi impossibile, dato che si fa notare... e per l'inversione di atmosfera, ho donato al personaggi una scenetta spensierata in una storia non a lieto fine fin dalle sue premesse)

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Avevamo bevuto più che a sufficienza. Questo avrebbe detto un gentiluomo del sud. Ma io non ero un gentiluomo del sud, ero un Kalaan, e allora dissi: – Nam, versacene ancora!
– Anche a me, se non vi dispiace! Anche a... – bofonchiò, allungando il boccale vuoto, l'altro uomo seduto al nostro tavolo. In barba al fatto di aver detto, appena avevo ordinato il primo giro, di aver assoluta necessità di restare sobrio.
– Non fai più tanto il prezioso, eh, coso... – Per un momento non seppi come chiamarlo, poi mi ricordai che in un raro accesso di buon senso lo avevo presentato a Nam Lorus come "Maiz, il più abile truffatore a sud di Kalaanira". Nessun Kalaan lo avrebbe preso sul serio se avessi rivelato loro che lo storiografo era l'idiota che sembrava, e non mi andava proprio di farlo ritrovare a Night con la gola tagliata in qualche angolo di strada, visto che stranamente lei sembrava tenere almeno un po' al nostro cagnolino ben pasciuto.
Fosse stato per me, gli avrei rubato il carro e tutto ciò che aveva un qualche valore fin dall'inizio, ma Night la pensava diversamente, e io seguivo lei. Anche in capo al mondo, se necessario.
Anche a casa.
Sorrisi alla guerriera, adagiata esausta contro lo schienale. Ne aveva passate tante. Ma eravamo insieme, solo questo contava. L'alcol mi mise in testa pensieri strani, pensieri che avevo avuto anche da sobrio, ma che avevo accantonato per prudenza. Mi chiesi se la sua minaccia fosse ancora valida, ma prima che potessi domandarglielo ad alta voce, al tavolo vicino un tizio magro attaccò un motivetto gioioso su un rozzo flauto. Night balzò in piedi e si mise a cantare una ballata antica. Roba allegra, su un'impiccata, credo. Non badai tanto alle parole, solo al suono della sua voce, la più soave e intonata che avessi mai udito.
Ma forse era l'idromele a giudicare per me.
Night mi guardò, e in quel momento mi sembrò che ci fosse qualcos'altro a guardarmi attraverso i suoi occhi. Scossi la testa. No, mi stavo sbagliando, mi stavo sbagliando di sicuro.
Maiz stava ondeggiando con un boccale per mano, beatamente inconsapevole di versare birra e vino di pessima qualità a ogni mossa di quel suo balletto. Sarebbe stato inutile chiedergli un consulto su ciò che mi sembrava di aver visto. Abbassai la testa e mi dedicai al mio bicchiere. Ridacchiai felice quando mi bagnai la punta del naso mentre inspiravo l'aroma pungente di succo di mela e cereali fermentati.
Ancora non sapevo che quella era l'ultima volta che lo sarei stato. Felice, intendo. Che, calata quella notte, uno di noi non avrebbe visto l'alba. E che anche se quell'uno non ero io, per me sarebbe stato come se quella notte durasse per sempre, come se la luce non potesse più toccarmi.
E pensare che sarei dovuto essere io quello che finiva col cappio al collo. Tutto era iniziato il giorno in cui Night aveva rovinato il mio piano di fuga dall'appuntamento con la giustizia. Lei sosteneva di avermi salvato la vita, quel giorno, e io glielo avevo sempre lasciato credere...

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