giovedì 10 gennaio 2019

L'importanza di arrivare alla fine

Voglio svelarti uno dei buoni propositi che ho formulato all'inizio del nuovo anno: finire, completare, terminare o comunque lo si voglia dire, qualcosa di diverso ogni settimana. Che sia un libro, una serie di film o telefilm, o quel progetto a cui mi sto dedicando da ormai troppo tempo... è arrivato il momento di concludere.

Non che io sia il tipo di persona che non finisce mai quello che comincia. Al contrario. Quando inizio, mi piace arrivare fino in fondo. Anche se nel leggerlo scopro che quel libro non mi entusiasma come pensavo, o quel film mi annoia, o quel progetto si rivela più complicato di ciò che avevo in mente... sono abbastanza testarda da andare avanti. Posso contare sulle dita i romanzi che ho proprio mollato senza alcuna intenzione di riprendere, e considero ciascuno di loro una sconfitta personale. No, a finire non ho problemi. Il problema è il quando.

I miei sono tempi biblici. Mesi. Anni. Decenni, se penso a quel progetto che avrei dovuto finire l'anno scorso. O quello prima. O quello prima ancora. Ma il mio, più che un caso di passo da bradipo, è la meraviglia del nuovo fiore dietro l'angolo che affligge la farfalla. Comincio troppe cose assieme; è logico, dopo, che per finirle ci metto una vita. D'altra parte, sono sempre stata affascinata dagli inizi. ...allora, all’inizio, è tutto possibile; poi succede qualcosa, la storia si guasta, e non si può più tornare indietro. Così scrivevo nel racconto Piccole donne, un omaggio al libro omonimo e a una piccola grande donna della mia vita.

L'inizio, l'incipit, ha un'attrattiva straordinaria su di me. L'istante in cui un mondo diverso viene creato di fronte ai tuoi occhi. L'infanzia del protagonista, e ciò che lo plasma nell'uomo o la donna che sarà. La scoperta dei suoi poteri da parte dell'eroe e l'addestramento che dovrà fare per padroneggiarli. La discesa dell'antagonista, non ancora tale, nel suo cammino di errori e di tenebra. L'incrocio di strade e di vite che fa incontrare per la prima volta quelli che diverranno amici, famiglia, o una compagnia di viaggiatori. Sì, gli inizi sono fantastici, e da lì in poi, tutto può accadere.

Ma un inizio, per quanto straordinario, non ha molto senso senza il suo estremo opposto. Un mondo che non cambia e si evolve non è vivo. Un bambino che non cresce, non può mettere a frutto ciò che ha appreso. Un eroe che non affronta alcuna prova, anche a costo di fallire, non comprenderà mai i suoi limiti, e come oltrepassarli. Un nemico che non vada fino in fondo nelle sue scelte e nel combattere i protagonisti non sarebbe un avversario credibile. E senza affrontare un litigio o una separazione, gli amici o la famiglia non hanno la possibilità di comprendere quanto effettivamente sentano il desiderio di restare assieme nonostante le difficoltà.

Un inizio non fa una storia. Ci vuole tutta la trama che ci sta in mezzo, e ci vuole una degna conclusione. Occorre chiudere il cerchio per arrivare a quel senso di soddisfazione che solo una bella storia può offrire. Anche se è un senso di soddisfazione dolceamaro: c'è un sentimento di perdita ogni volta che arrivi alla fine di una storia, che sia scritta, raccontata su un palco, o su uno schermo. Sei consapevole che il tuo tempo con quelle persone che ormai hai imparato a conoscere e amare è finito, che non vivrai mai più le loro avventure e le loro tribolazioni. Salvo l'eventualità di un sequel, perché in fondo, ogni fine contiene in sé l'inizio di qualcos'altro, e la storia può sempre ricominciare.

Per questo ho scelto di fare di quest'anno, il 2019, il mio anno delle conclusioni. Perché se non arrivo alla fine, non potrò mai scoprire quale nuova avventura fantastica mi attende dopo quello che a prima vista è soltanto il termine di una storia durata troppo a lungo, ma che in realtà potrebbe essere un altro tipo di inizio. E io, gli inizi li adoro.

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