giovedì 14 febbraio 2019

Il patto di Proserpina

(racconto ispirato alla Sfida numero 16. Questa volta ho scelto di scrivere la conclusione di una storia d'amore con qualche rivelazione e un equivoco risolto, e al solito, il finale aperto)

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Evangeline stava in piedi, all'inizio del pendio che digradava verso il bosco, con addosso una veste bianca che non era sua. Aveva bruciato ciò che era rimasto dei suoi vestiti e si era lavata via la puzza di zolfo, o così mi aveva detto zia Alice in quel suo modo strano di parlare agli altri mentre sussurrava al suo gatto. Evangeline mi dava le spalle, perciò non mi sentì arrivare, e quando allungai una mano a sfiorarle un braccio rabbrividì e si scostò da me.
Distolsi lo sguardo da lei e fissai il bosco. Il verde delle chiome era già macchiato da tracce bionde dell'autunno ormai prossimo. – Lo capisco, se non vuoi più vedermi. – Avrei voluto che suonasse triste, invece la mia voce sputò quelle parole in tono aspro. – Mi sta bene.
L'avevo messa in pericolo per il semplice fatto che mi aveva conosciuto, che aveva passato del tempo con me. Non potevo permettere che accadesse di nuovo.
Il silenzio prolungato da parte sua mi sembrò così assurdo che dovetti per forza alzare gli occhi. Evangeline mi scrutava con le mani sui fianchi, le labbra strette in un broncio e le guance gonfie. – Ehi, ehi, ehi! – sbottò, protendendosi in avanti. – Non pensarci neanche, signor noiosone! Non ti libererai di me così facilmente!
Mi puntò l'indice contro, poi la vidi alzare gli occhi ai miei capelli e spalancare la bocca in un'espressione sorpresa. Mi resi conto solo allora che avevo perso il controllo. Mi aveva colto alla sprovvista.
Strinsi gli occhi e cercai di placare le mie emozioni. Non provare nulla: mi sembrava innaturale, ma era l'unico modo che avevo per essere sicuro di mostrare al mondo sempre lo stesso volto. Capii di esserci riuscito quando Evangeline si lasciò sfuggire un mugolio deluso. – Ah, ma perché? Mi piacevi biondo. E con i riccioli. Sembravi un cherubino!
– Non scherzare! – la rimproverai, sfuggendo alle sue dita che tentavano di allacciarsi al mio braccio. – Ora lo sai che cosa sono davvero.
Lei fece spallucce. Sembrava che nulla, nemmeno la mia ombra, potesse spegnere il raggio di sole nei suoi occhi. – Vuol dire che d'ora in poi non dovrai più fingere con me. E quando ritornerai, possiamo...
– No. – Il mio fu solo un sibilo basso, ma per un momento riuscii a zittirla. Glielo avevano detto. Le mie zie, o forse mia madre, le avevano rivelato che cosa avevo dovuto fare per portarla via dal mondo di mio padre. Il patto di Proserpina.
Avrei dovuto immaginarlo che non potevo contare sulla loro discrezione. Un soffio d'aria gelida ci sfiorò, scompigliandole i capelli biondi. Mancavano solo tre giorni all'equinozio d'autunno, la data in cui avevo promesso a mio padre di tornare da lui.
– Non fare progetti. Non sai chi o che cosa sarò diventato al mio ritorno. Diavolo, non lo so nemmeno io.
Li avevo visti, gli angeli caduti. Erano magnifici. E terribili. E cangianti, molto più di me. Di fronte a loro, io non ero altro che un pallido riflesso in uno specchio distorto.
Non avevo capito quanto ero diverso finché non ero sceso dalla mia collina e mi ero mescolato alla gente normale. Ma quando avevo camminato tra gli angeli caduti, solo in quel momento avevo capito quanto ancora ero umano al loro confronto.
Tutto ciò stava per finire, poiché mio padre mi voleva per sei mesi al suo fianco per insegnarmi quello che sapeva, per allontanarmi dall'umanità e plasmarmi in... qualcos'altro.
Evangeline ridacchiò, ripetendo divertita: – Diavolo! Il mio, diavolo!
Poi mi si buttò addosso. Non la respinsi, ma nemmeno la abbracciai. Non sapevo che fare. – Dovresti scegliere meglio le tue esclamazioni – proseguì Evangeline. – Certo, non puoi dire "Mio dio!" o "Santo cielo!", ma anche imprecare sull'inferno non è proprio una gran bella scelta.
Sentii le sue dita infilarsi tra le mie, e non solo la lasciai fare, ma le strinsi a mia volta la mano, palmo contro palmo.
– Sai, è per questo che me lo hanno detto – mormorò Evangeline contro il mio petto. – Non ti arrabbiare con loro. Hanno pensato che se avevi qualcuno da cui tornare, a cui pensare, non gli avresti permesso di cambiarti più di tanto. E la penso così anch'io, perciò devi resistere, e tornare da me a primavera tutto intero, ok?
Non risposi. Ma sollevai le nostre mani, e baciai le nostre dita intrecciate. Avevo tre giorni, solo tre giorni prima che la mia vita venisse di nuovo rovesciata come un guanto. E avevo tutta l'intenzione di costruirmi più ricordi umani possibili, per farmi da scudo nei sei mesi in cui avrei attraversato l'inferno.

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