giovedì 14 maggio 2020

Beccata a leggere

 
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Non avevo un libro, la musica era la stessa che avevo già ascoltato mille volte e la batteria del cellulare quasi scarica mi scoraggiava dall'effettuare un annoiato vagabondaggio tra siti e social, perciò il mio viaggio di ritorno si prospettava parecchio noioso. Era l'epoca in cui autobus e treni potevano ancora essere caricati fino all'inverosimile da una moltitudine di umanità varia pigiata l'una all'altra, come facevamo a sopportarlo ancora non lo so; perciò potevo ritenermi già soddisfatta di aver trovato un posto, e non mi lamentavo di dover stare spalla a spalla con uno sconosciuto. Cercavo solo di farmi piccola, di occupare meno spazio possibile abbracciata al mio zaino, per dare una parvenza di privacy ai miei pensieri. Volevo essere invisibile.
Tutto il contrario di chi mi stava accanto, un omone corpulento che si agitava sul sedile e sembrava pretendere molto più spazio di quanto gliene fosse concesso. Non volevo essere indiscreta, ma ignorarlo era impossibile. E lui teneva un libro aperto sulle ginocchia.
All'inizio pensai che il motivo della sua irrequietezza fosse da ricercare nella trama del libro, e così sbirciai appena un pochino, quel tanto che bastava, mi dissi, per cercare di capire di che romanzo si trattasse, e se avessi già letto anch'io quella storia in apparenza così entusiasmante. Solo a una seconda occhiata mi resi conto che una delle due pagine, quella più vicina a me, non apparteneva affatto al romanzo. Era stampata al pc con lo stesso carattere e la stessa impaginazione del libro, ma era inequivocabilmente un foglio a parte, senza numero di pagina e sciolto dalla rilegatura.
Era una lettera. Per una ragazza. Una lettera d'amore.
Lo so che non avrei dovuto leggere qualcosa di così privato. Ma era davvero scritta bene, e non ho potuto farne a meno. Anzi. Erano le frasi più incantevoli che avessi mai letto. Mi vennero le lacrime agli occhi alla fine, e mi sorpresi a desiderare che parole del genere venissero rivolte a me. Il passeggero al mio fianco, se era stato lui ad averla scritta, aveva davvero un talento raro.
Mi accorsi di essermi sporta un po' troppo per cercare di leggere il lato dove la pagina curvava, e nell'alzare gli occhi mi ritrovai faccia a faccia con l'estraneo che mi fissava. Mi ritrassi e sentii le guance in fiamme per essere stata beccata a leggere la lettera.
– Mi scusi... – borbottai, mentre già distoglievo gli occhi e tornavo a farmi piccola piccola, stretta al mio zaino.
L'altro passeggero, però, evidentemente non aveva intenzione di lasciare impunita la mia indiscrezione, perché disse, in un tono a metà tra lo scocciato e il nervoso: – E allora, che ne pensa?
Mi strinsi nelle spalle. – Non sono affari miei, lo so. Non dovevo leggerla.
– Be', visto che lo ha fatto, può anche darmi il suo parere, no? – insistette l'estraneo.
Non voleva proprio lasciar perdere. Sospirai. – È... è splendida – tagliai corto. Mi morsi il labbro inferiore e mi strofinai un occhio che ancora faceva i capricci.
Lui rimase in silenzio. Quando lo guardai, aveva un gran sorriso che mi fece dubitare della mia prima impressione sulle sue domande, ovvero che fossero una vendetta per la mia curiosità. Forse voleva davvero un parere sulla lettera.
Questa nuova prospettiva mi rese un po' più spavalda.
– La darà alla "ragazza che legge sul treno?" – chiesi, citando un passaggio della lettera in cui mi ero rivista. Certo, non ero la sola che poteva essere identificata da quella frase, anche se, guardandomi intorno e notando quasi tutti gli altri passeggeri chini sul cellulare, mi rendevo conto di essere parte di una ristretta minoranza. – Dovrebbe – aggiunsi, a mo' di incoraggiamento.
– Dovrei? – Il tono del passeggero era ancora un po' incerto. – Forse. Da un lato, la sua reazione, prima, era proprio quella che speravo di ottenere. Dall'altro, fino a poco tempo fa lei nemmeno sapeva che esistessi. Prendiamo sempre lo stesso treno di pendolari, spesso nella stessa carrozza, ma lei non mi nota mai, è sempre immersa nei suoi libri... quasi sempre. Di solito, sono invisibile. Solo di recente, molto recente, lei ha iniziato a parlarmi.
Gli tremava un po' la voce, e io mi stupii che un uomo grande e grosso come lui fosse così timido. – Ma non credo che abbia capito quello che provo per lei – concluse, con un sospiro sconsolato.
– Dovrebbe darle quella lettera – ribadii. – E se lei ha la mia stessa reazione, bene. Se non ce l'ha, peggio per lei. Vuol dire che è una deficiente insensibile.
Il mio compagno di viaggio scoppiò a ridere. – Una deficiente insensibile? È quel che vorrei dire anch'io, se non temessi di offenderla.
Aggrottai la fronte. No, con quell'ultima frase mi aveva perso. – Offendere chi? Lei lei, o lei me?
Stavo per proporgli di passare al tu per evitare simili equivoci, quando lui scrollò le spalle e disse, con un sorriso enigmatico: – È lo stesso.
Reggendosi al sedile davanti, l'uomo si alzò in piedi. – La prossima è la mia fermata, ma sa, credo che mi abbia convinto. Penso che alla fine gliela darò la lettera, anche se lei ancora non ha capito.
Poi, il mio compagno di viaggio fece ciò che mai mi sarei aspettata. Sfilò la lettera dalla pagina, chiuse il libro, e mi porse quel foglio.
Restai lì imbambolata per almeno dieci secondi buoni, o forse più, prima di afferrare la lettera, alzare gli occhi e ribattere: – Ha ragione. Lei... lei non aveva capito. Ma ora lo sa.

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