sabato 9 maggio 2020

Mescere

Mescere [mé-sce-re] v. (ind.pres. mésco, mésci ecc.; pass.rem. mescéi o mescètti, mescésti, mescé o mescètte ecc., 3a pl. mescérono o mescèttero; part.pass. mesciuto) tosc. 1. v.tr. [sogg-v-arg] Versare un liquido per berlo o farlo bere. 2. v.intr. (aus. avere) [sogg-v] Versare da bere, specialmente vino.

Etimologia: deriva dal latino miscere, "mescolare", per la consuetudine degli antichi romani di bere vino misto ad acqua (era considerato da barbari, infatti, berlo non diluito). Il verbo è poi passato a indicare l'atto del versare dal momento che il vino veniva mescolato prima di servirlo.


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Non era vino il liquido azzurro che la barista mesceva, con una tecnica tutta sua, in un bicchiere a forma di cono rovesciato. Ma non importava, perché tanto io non ero umano, e non potevo avvertirne il sapore, né ubriacarmi.
Lo bevevo per abitudine e per avere qualcosa tra le mani mentre aspettavo il mio contatto, o sbirciavo le ultime notizie su un foglio olografico sgraffignato ai vecchietti del tavolo vicino alla porta del bagno. Fu durante un'attesa infruttuosa, come scoprii quando l'agente corrotto che mi aveva assoldato non si presentò, che vidi per la volta quel trio male assortito di reietti.
Due erano umani, a giudicare dall'aspetto, o forse no: a giudicare dall'aspetto, lo si sarebbe detto anche di me. Uno aveva un incedere marziale e fiero, in contrasto con quella che poteva essere stata una divisa nera, ridotta a brandelli sporchi e rattoppati, che assieme a un fucile a impulsi lo identificava come un ex militare. L'altra, l'avrei definita una dama bianca, non fosse stata più color sabbia per tutto il sudiciume che le imbrattava la tuta aderente.
Il terzo non sarebbe potuto passare per umano neanche volendolo. Si vedeva lontano un parsec che aveva le mani a quattro dita, le squame e gli occhi da rettile di un arturiano. Qualcuno con l'olfatto più sviluppato del mio si sarebbe spostato quando scelse di appoggiarsi al bancone proprio accanto a me. Io mi limitai a sorseggiare il mio liquido insapore e a valutarli con un'occhiata.
Era ovvio che non avevano di che pagare, nessun credito, niente che valesse la pena rubare.
Perfino la barista arricciò un po' il naso nel chiedere in tono annoiato, con il suo accento nexiano dalle vocali larghe: – Che cosa vi mesco, gente?
– Solo un po' d'acqua – rispose la donna, che gli altri due chiamavano "capitano". – Possiamo usare i servizi?
Era colpa loro se l'agente corrotto non si era presentato, ma io lo seppi solo molte lune dopo, e da quel giorno, quel trio sgangherato divenne la mia nemesi.

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