lunedì 3 giugno 2024

Merce illegale


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Nina zeynep güler 🦕 zz da Pexels


Vovos era grosso, grigio, e si muoveva con la stessa grazia di un telumu a terra o, come avrebbe detto una persona che avevo conosciuto su un pianeta periferico, di un "elefante in un negozio di cristalli". Sarebbe parso minaccioso, ed era il motivo per cui gli avevo chiesto di accompagnarmi in quella missione, se non si fosse scusato ogni volta che urtava qualcuno mentre ci spostavamo da una bancarella all'altra nel vociare della folla, un mare di gente indaffarata che Vovos superava con tutta la testa e le spalle, nonostante se ne stesse ingobbito com'era solita fare la sua gente quando aveva a che fare con razze aliene più basse di loro, ovvero praticamente sempre. La cacofonia di voci che si esprimevano in lingue diverse, il sentore speziato di cibi che non conoscevo, il contatto fugace con la pelle ruvida di un estraneo o la mano umida di una creatura anfibia scatenava lampi di luce colorata al limite del mio campo visivo, un gusto ora dolce ora amaro in bocca e un sibilo musicale che andava e veniva, perciò ero un po' distratto da tutta la confusione che mi circondava e che mandava in corto circuito i miei sensi, abituati a un altro sole e a un altro mondo. Per questo la voce di Vovos mi sembrò giungere da molto lontano, e in un primo momento non capii la sua domanda.
– Scusa, che hai detto? – gli feci, distogliendo lo sguardo dalla mercanzia che stavo esaminando, una serie di barattoli trasparenti contenenti esemplari morti di insetti alieni.
Vovos grugnì prima di ripetere: – Dicevo, quando troviamo quello che cerchi, che intendi fare? Non abbiamo l'autorità per arrestare nessuno, non siamo quel genere di guardiani, noi... risolviamo conflitti, tutto qui.
Con decisioni che possono contraddire qualunque legge, se necessario, pensai, ma non lo dissi. Vovos sapeva come agiva l'Ena Catera e quale autonomia ci era concessa, lui vi apparteneva da molto prima di me. – Non è il venditore che mi interessa – ribattei, mentre lo precedevo verso la bancarella successiva. Era talmente affollata che feci fatica a vedere la merce in vendita, ma una volta appurato che conteneva solo vecchia tecnologia per animi nostalgici, la superai senza degnarla di una seconda occhiata. Attesi che Vovos mi raggiungesse prima di mormorargli: – Quello che mi è stato chiesto è di andare alla fonte del problema.
– I... cacciatori? – bofonchiò il massiccio alieno grigio.
– Esatto, i cacciatori.
Avevo dovuto spiegarglielo perché non erano in tanti a sapere quello che accadeva, ancora adesso, sul mio pianeta natale. A tanti nemmeno interessava, ma quando avevo ricevuto l'incarico di andare nell'emisfero "non civilizzato" del pianeta per rispondere a una richiesta d'aiuto, quale unico nativo di quel mondo che era entrato a far parte dell'Ena Catera, ero stato ben felice di accettare quella missione.
– Sempre che troviamo quello che cerchi – precisò Vovos. – Qual è questo, il settimo mercato non autorizzato sul quinto pianeta che visitiamo... o il decimo sul sesto? Ho perso il conto. In ogni caso è tanta strada per dei semplici tatuaggi, anche viaggiando col tuo metodo, che per inciso mi lascia sempre lo stomaco sottosopra.
Prima di raggiungere un banchetto defilato, che con il suo contenuto mi sembrava più promettente degli altri, mi voltai e lo fulminai con lo sguardo. – Non sono semplici tatuaggi.
Un gorgoglio di gola da parte del mio collega precedette la sua solita ampollosa formula di scuse, a cui seguì una domanda in tono abbattuto: – Ma sono disegni sulla pelle, no? Disegni indelebili, quindi sono tatuaggi.
– No, Vovos – cercai di spiegargli in tono paziente, ignorando la folla che ci sciamava attorno, e i richiami acuti dei venditori. – La parola con cui li definiamo si traduce più o meno come "fioritura". E tu sai cosa sono i fiori per gli alberi, vero?
– Certo – replicò Vovos svelto. – Sono... uuuhh! – Vovos gemette e non proseguì, ma si curvò di più su sé stesso e portò le grosse mani a coppa al centro del ventre, in corrispondenza della piega adiposa sotto la divisa dell'Ena Catera e l'anonimo mantello da viaggiatore che la nascondeva, una mia idea, dato che pensavo che avremmo ottenuto di più come semplici acquirenti che non in veste ufficiale.
– D'improvviso ho immaginato come mi sentirei se qualcuno provasse a tagliarmi il mio puru-puru – Si giustificò Vovos, raddrizzandosi un poco, ma senza togliere le mani a protezione del punto sensibile. – Brutta sensazione. Bruttissima. E adesso che so che cosa sono questi vostri tatuaggi, non capisco perché qualcuno che non sia il loro proprietario ci tenga ad averli.
Mi voltai e feci cenno a Vovos di seguirmi verso il banchetto che avevo adocchiato. Vasi di materia ignota essiccata, barattoli di polveri, boccette con etichette scritte a mano mi dicevano che forse quello era il posto giusto. – C'è chi li considera dei portentosi medicamenti – sussurrai a Vovos, nell'esaminare la merce esposta sotto gli occhi rapaci del venditore. – Pura superstizione, naturalmente. E la parte peggiore, è che chi ci crede ritiene che per essere efficaci devono essere raccolti prima della maturazione, e dato che è un punto molto irrorato da vasi di linfa, la probabilità di sopravvivenza è...
Trattenni il fiato nello spostare una serie di bottigliette colorate. Dietro ad esse, dentro scatoline dal coperchio trasparente, vidi lembi di pelle bruna con aloni che andavano dal verde acceso all'azzurro, e segni più scuri che tratteggiavano forme di animali che mi erano noti, o il disegno di una foglia, un albero-ombrello, o paesaggi appena accennati come un lago o la sagoma di due montagne alla cui vista il mio sguardo si velò di azzurro e avvertii una fitta in fondo alla gola. Portai la mano al braccio, lì dove avevo la mia fioritura, in un gesto di protezione simile a quello fatto poco prima da Vovos, anche se sapevo che ormai non era più di alcun interesse per chi praticava quel commercio. Passai di nuovo in rassegna i lembi di pelle strappati alle carni dei miei simili. Alcuni erano vecchi, altri più freschi, ma quelli che ero venuto a cercare non c'erano.
– Ooooh, quanti sono! – mormorò il mio collega, che si guardava bene dal provare a toccare le scatoline. E non solo perché con tutte le bottiglie attorno poteva rischiare di causare dei danni, ma perché adesso sapeva che cos'erano quei "tatuaggi".
Evitai di usare l'Ilnova, il linguaggio comune interplanetario, e preferii esprimermi in un'altra delle lingue che conoscevo e che sapevo essere nota anche a Vovos, nel dirgli: – E ognuno è la vita di un ragazzo o di un bambino. Ora capisci perché tutto questo deve finire?
La caccia ai figli dei clan e il commercio delle fioriture era diventato illegale da quando metà del mio pianeta si era unito al Kathrà, il sodalizio del mondi, ma questo non aveva scoraggiato i cacciatori. Non tutti, almeno. Le incursioni erano diventate più rare, ma non si erano fermate. E sapevo che non sarei stato io quello che aveva il potere di porre fine per sempre alla caccia, ma potevo almeno accogliere la richiesta d'aiuto degli anziani di un clan che aveva perso i suoi membri più giovani, riconsegnare le fioriture per farli tornare integri nell'altra vita, e assicurare alla giustizia almeno i colpevoli di questo crimine.
Era mio dovere ascoltare anche le motivazioni e le richieste della controparte, i cacciatori, poiché così agiva l'Ena Catera, e per me era una fortuna perché altrimenti a questo punto della mia vita sarei ancora in una prigione per analfabeti in un pianeta su cui non intendo fare ritorno.
Avevo scelto Vovos per accompagnarmi anche perché in questa faccenda sarebbe stato in grado di rimanere più neutrale del sottoscritto, ma dubitavo fortemente che la questione si sarebbe conclusa in un altro modo.
Levai gli occhi dalla merce al venditore e, come se fossi stato interessato all'acquisto, gli dissi: – Non hai niente di più fresco?
Il venditore fece schioccare le labbra a forma di becco. – Oh, un intenditore! Sì, giusto da poco ho ricevuto un raccolto davvero freschissimo, di prima qualità.
E mentre lo diceva, tirò fuori da sotto il banco un'altra serie di scatoline, e al loro interno tutte quante le fioriture recavano il disegno di un fiume sinuoso. Lo avevo già visto sulle braccia dei membri del clan che avevano chiesto il mio aiuto.
Finalmente. Dopo tanti tentativi a vuoto, dopo tanti vicoli ciechi, avevamo la prima vera pista da seguire per rintracciare i cacciatori. Non erano tutte nelle sue mani, compresi da un rapido conto delle scatoline, però erano già molte di quelle vite spezzate.
– Vovos, ci siamo – mormorai all'energumeno che mi accompagnava, che subito si mosse per tagliare ogni via di fuga al mercante, mentre io scostavo il mantello per rivelare con la mia riconoscibilissima divisa dell'Ena Catera la mia identità e il motivo che aveva condotto in cerca della sua merce illegale.

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