sabato 22 giugno 2024

Xerobio

Xerobio [xe-rò-bio] agg., s. (pl.m. -bi) 1. agg. biol. Di organismo vegetale o animale in grado di vivere in ambienti aridi. 2. s.m. Ambiente naturale caratterizzato da clima molto asciutto e dalla grande scarsità o assoluta mancanza di acqua.

Etimologia: deriva dal greco, composto da xeros, "secco, arido", e da bios, "vita".



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Non avevo bisogno di voltarmi per capire che era là.
La creatura mi spiava ormai da giorni, sempre alla stessa distanza. Si avvicinava sottovento, con cautela. Passi lievi, respiro trattenuto. Ma nonostante tutte le sue precauzioni, la sua presenza non era un mistero per me.
Quel giorno, però, c’era qualcosa di diverso. Quel giorno la creatura era più vicina.
Continuai a scavare la buca. Avrei potuto lasciare che se ne occupasse un’unità automatica, ma c’era qualcosa nei lavori manuali, nell’usare il mio corpo, che mi elettrizzava quasi quanto il riflettere su teorie e astrazioni.
Posai la pala e sollevai la pianta aliena. Volevo che la creatura la vedesse: foglie carnose dalla forma sagittata, di un rossiccio marrone, e un lungo groviglio di radici arruffato dal vento. La abbassai nella buca e adattai la mia voce per parlare alla creatura a una frequenza che il suo orecchio fosse in grado di udire: – La riconosci? Viene dal vostro deserto, a nord di qui. Ha radici profonde, ma il vento era riuscito a strapparla dalla terra, e col tempo l’avrebbe sepolta. Si può dire che l’ho salvata. Sai come si chiama?
Rimasi in ascolto mentre spingevo con le mani la terra sabbiosa nella buca, a ricoprire le radici. Non sapevo quanto il dialetto di quella zona selvaggia del pianeta fosse diverso dalla lingua ufficiale. Avevo bisogno di sentire la creatura parlare, per capirlo. Ma lei, o lui, non emetteva alcun suono, a parte i lievi fruscii che mi permettevano di individuare la sua posizione, sempre più vicina, alle mie spalle. Sganciai dalla cintura il cilindro dell’acqua, sfiorai il pulsante per aprirlo, sollevai una foglia e versai qualche goccia.
– La ammiro, sai? È una creatura resistente. Xerobia. Non le serve molto, ma ogni tanto ha sete anche lei. Ne ho portata più del necessario, tu vuoi dell’acqua? – Tesi indietro il braccio, senza guardare. Lasciai il cilindro quando avvertii un’altra mano afferrarlo. Ah, il linguaggio dell’offerta di nutrimento o di ristoro, simbolo universale di amicizia!
Solo allora osai voltarmi a guardarla con tutti e quattro i miei occhi. La creatura stringeva il cilindro tra le mani palmate, di un colore appena più chiaro di quello delle foglie. Mormorò qualcosa che non somigliava affatto alla lingua ufficiale che avevo appreso. Ma io ho una memoria perfetta di qualunque suono abbia mai udito, e non mi fu difficile confrontare il suo bisbiglio con le parole che già conoscevo, provando ad alterare mentalmente vocali, consonati e accenti fino a giungere a una frase di senso compiuto.
Provai a riformulare quella frase con altre parole, modificate nella pronuncia secondo ciò che avevo appreso del suo dialetto: – È male inghiottire un liquido da soli?
– Sì – replicò la creatura, tendendomi il cilindro. – Prima tu.

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