Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Alex Sever da Pexels
Lasciamelo dire, i luoghi affollati sono i peggiori. I luoghi di vacanza affollati, in cui c'è tanta gente che corre, ride e si diverte, il peggio del peggio. Ma non scelgo io dove finisce una vita, non detto io le regole.
Eh sì, succede anche qui, in un parco acquatico, fra scivoli colorati, gonfiabili galleggianti e fontane che spruzzano getti d'acqua tiepida sulle teste dei ragazzini urlanti. È una bella giornata, rovente a giudicare dalla qualità della luce, io il calore non lo sento più da un pezzo. Se vorrei mollare tutto, ignorare il richiamo che mi ha condotto fin qui e andare a divertirmi? Qualche anno fa, ti avrei detto di sì. Ma anche quello è passato da un pezzo.
Non sono qui in cerca di una normalità e di una vita che non mi appartiene più. Sono qui per il bambino. È sotto da un bel po' ormai, e il bagnino che dovrebbe sorvegliare questa zona si è allontanato per riportare un marmocchio che si è smarrito dai suoi genitori. C'è un altro addetto alle piscine in zona, ma è troppo impegnato ad approcciare con sapide avances una ragazza allungata su una sdraio. Gli amichetti del bambino probabilmente pensano che stia scherzando, o ignorano il pericolo. Nessuno degli adulti si è accorto di niente.
Gli resto solo io, e sento quanto la sua anima mi chiami, quanto ormai sia vicina al limite. Gli lascio ancora qualche istante, un'ultima speranza che qualcuno intervenga, ma la catena di coincidenze che ha portato a questo momento non si spezza, e allora avanzo. So che cosa potresti dire. Che sono crudele, a prendere un bambino. Credimi se ti dico che l'alternativa sarebbe peggio.
Prova a ricordare il dolore più intenso che tu abbia mai sentito nella tua vita, moltiplicalo per mille poiché il ricordo di un dolore è invariabilmente sbiadito rispetto all'originale, e immagina che non abbia fine. Ecco, questa è l'alternativa.
Comunque, ora è tempo, vado dal bambino. I luoghi affollati come questa piscina mi costringono a una danza di schivate e a tenere bene in alto sopra le teste altrui la mia falce, poiché la lama è molto affilata e basta un semplice tocco, e io non ho voglia di prendermi anche qualche extra come mi capitava all'inizio, quand'ero un tristo mietitore inesperto e recalcitrante. A bordo piscina valuto la situazione, il bambino è ancora sotto, un altro ragazzino tuffa la testa sott'acqua ma ha i braccioli, impossibile immergersi. In lontananza, in un'altra piscina, un bagnino fischia e poi redarguisce dei monelli per chissà quale comportamento pericoloso. Io trovo un varco tra i corpi dei giovani bagnanti e mi tuffo, e lascio che l'acqua odorosa di cloro mi avvolga senza bagnarmi.
Avrei potuto semplicemente apparire sul fondo della piscina, ma anche in situazioni come queste a volte provo ancora piacere a muovermi come l'essere umano che ero, anche se il mio corpo attuale è totalmente diverso. Non ho bisogno di respirare, né di battere le palpebre. Però posso nuotare.
Raggiungo il bambino e lo abbraccio. Sembra così piccolo, con la schiena contro il mio petto. Ha smesso di dibattersi e ora giace inerte tra le mie braccia. Il suo cuore batte ancora, debole e rallentato, ancora per poco.
Guardo verso l'alto, le ombre degli altri bambini che si agitano in superficie, sembra quasi un altro mondo, un mondo lontanissimo, da cui persino i suoni, le loro grida di gioia, lo scroscio dell'acqua, i rapidi passi nelle ciabatte di plastica a bordo piscina giungono attutiti e distanti. L'unica cosa che conta adesso è questa eco che mi vibra nella schiena, in qualunque cosa io abbia al posto della spina dorsale, e che mi sprona con la pressione di un'agonia a prendere il bambino.
No, non c'è davvero più tempo. E allora appoggio la punta della falce al suo petto nudo, un piccolo graffio, ed è fatta. Il suo corpo mi pare farsi più leggero, la falce più pesante. Lo lascio, e mi allontano di un paio di bracciate.
All'improvviso l'acqua della piscina si anima, io mi faccio più indietro, in un gorgoglio di bolle due uomini afferrano il corpo del bambino e lo tirano su.
Uno dei due ha la divisa da bagnino, l'altro no, ma non ha importanza. Ci proveranno, ma non c'è più niente da rianimare nel piccolo affogato. Il mio lavoro qui è compiuto.
Lascio la piscina con i suoi scivoli colorati, i suoi gonfiabili e i suoi giochi d'acqua che soffiano imperterriti allegri spruzzi, nonostante la gioia sia ormai mutata in sgomento lassù, oltre i riverberi del sole sull'acqua, e a allo sgomento seguirà la disperazione, e come sempre accade in questi casi verranno distribuite colpe a chi non ha vegliato. Ma non è cosa che mi riguardi.
C'è un'altra piscina che aspetta l'anima che ho preso, nella sala delle memorie ribelli.
Nessun commento:
Posta un commento