lunedì 15 luglio 2024

Irrazionale


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Markus Spiske da Pexels


L'istante in cui i cancelli si aprivano e potevamo uscire nel cortile comune all'aria aperta era il migliore della giornata. Il suono stridente e prolungato della sirena che lo annunciava era la musica più bella del mondo. Potevo persino tollerare la presenza delle guardie armate che ci sorvegliavano dalle torrette, o i sorveglianti meccanici che ronzavano sopra le nostre teste.
In quel momento, io ero libero.
Ogni volta che potevo uscire dalle baracche, io ignoravo gli altri disperati che erano richiusi come me lontano dalla società civile, mi avvicinavo al centro del cortile e guardavo in su, guardavo il cielo, con un braccio a schermarmi gli occhi dal sole.
Attorno a me il cortile brulicava di voci, di contrattazioni, di scambi, dei rimbalzi secchi delle sfere lasciate a disposizione per sgranchirsi le gambe e le braccia in futili giochi senza vincitori né vinti. Avevo imparato a conoscerli, i miei compagni di prigionia, ed erano gente semplice, per nulla attratta dalla bellezza effimera delle nuvole, dall'indescrivibile senso di meraviglia dell'essere vivi. Io non ero come loro.
Il mio nome è Leeryan, e sono in grado di pronunciarlo quanto di scriverlo. Conosco l'alfabeto del mio mondo, e l'alfabeto del linguaggio interstellare, e posso scrivere con entrambi tutte le parole che so come pronunciare. Se sono finito nelle baracche degli Irrazionali non è perché non ho imparato a scrivere nell'età giusta, prima che quella finestra di tempo si chiudesse per sempre, impedendomi di proseguire nello sviluppo di una mente razionale. Se sono finito qui è perché la mia mente funziona nel modo sbagliato, e non sono stato in grado di passare l'esame finale.
Penso troppo spesso a cose non quantificabili, imprecise, inafferrabili. Cose come la forma delle nuvole, o il piacere che mi dà il calore del sole sulla pelle. So che un membro funzionale della società osserverebbe il moto delle nuvole per calcolare la velocità del vento, o userebbe uno strumento per rilevare la temperatura dell'aria invece di crogiolarsi in quel calore, ma io non posso farci niente.
Sono un Irrazionale, anche se non per lo stesso motivo che ha reso tali gli altri con cui condivido questo spazio.
All'inizio, quando ci incontravamo nel cortile, ho provato a insegnare a qualcuno degli altri a scrivere. Prendevo da parte uno di quelli con lo sguardo più vispo e la parlantina più sciolta, tracciavo le lettere nella sabbia del cortile e gli dicevo a quale suono corrispondevano, ma nessuno di quelli a cui ho provato a spiegarlo lo ha mai capito. Non si capacitavano di come le mie linee nella sabbia fossero equivalenti alle parole che venivano dalla loro bocca. Così, dopo molti tentativi, avevo rinunciato e accettato che quello che dicevano degli Irrazionali analfabeti era vero: la loro mente aveva perduto la plasticità necessaria per imparare, e non sarebbero mai potuti diventare membri produttivi della società. Tutto ciò che si poteva razionalmente fare per loro era rinchiuderli qui, nelle baracche, lontano dalla società civile.
Qui dove non avrebbero potuto far danni a sé stessi o ad altri, qui dove il resto del mondo si sarebbe potuto scordare della loro esistenza.
C'era persino di che essere grati che questa fosse la soluzione più razionale che fosse stata trovata da chi governava il nostro mondo. Che mantenere in vita e in salute così tante persone sostanzialmente inutili fosse stata ritenuta l'alternativa più sensata e intelligente tra le varie possibili. Io che almeno un po' ragionavo, sebbene il mio pensiero fosse viziato da quelle affascinanti idee prive di logica che di tanto in tanto mi occupano la mente, riuscivo a immaginare almeno tre o quattro alternative assai meno piacevoli.
Ma proprio come insegnare ai miei compagni a scrivere, quello di immaginare la realtà come non era e non sarebbe mai stata era un esercizio futile. Soprattutto quando mi metteva addosso un'irrazionale paura.
I miei compagni di prigionia non avevano paura di un'ipotesi. Nemmeno sapevano cosa fosse un'ipotesi. Aggirandomi per il cortile come un fantasma, io ascoltavo le loro chiacchiere mentre si scambiavano pettegolezzi o si passavano una delle sfere per gioco. Una volta, però, li scoprii spaventati davvero.
Fu quando misero tra di noi lo straniero. Veniva da un altro mondo, dicevano, ed era diverso. Chi lo aveva visto sosteneva che la sua bocca fosse strana, piena di denti appuntiti che potevano scattare per morderti in qualunque momento. Aveva lunghi fili che gli spuntavano dalla testa, e pelle di un colore cupo, e occhi troppo grandi. Era tanto magro da sembrare non reggersi in piedi, eppure era stato così forte da spezzare la porta di una baracca, e ci era mancato poco che uccidesse una delle guardie. Lo avevano dovuto legare, si diceva in giro, perché era feroce come un animale selvatico, e aggrediva chiunque lo avvicinasse, e lo mordeva con quella sua bocca irta di zanne affilate.
L'unica cosa che lo straniero aveva in comune con gli Irrazionali era che non sapeva leggere o scrivere, e per questo lo avevano portato qui da noi.
Più ne sentivo parlare, e più ero curioso di vedere lo straniero. Non fu difficile trovarlo. Se ne stava da solo in un angolo del cortile, a godersi il sole quasi completamente nudo.
Non sapevo se quello che si diceva su di lui era vero, ma almeno sapevo che gli piaceva sentire il tepore della luce sulla pelle almeno quanto piaceva a me. Era qualcosa che avevamo in comune.
Andai a sedermi sul pavimento sabbioso del cortile a distanza di sicurezza dalle sue lunghe braccia.
– Mi chiamo Leeryan – gli dissi nel linguaggio interstellare. Non sapevo se poteva capirmi, ma era una deduzione sensata pensare che conoscesse quell'idioma, piuttosto che la lingua parlata sul mio pianeta.
Lo straniero si girò e così vidi i suoi occhi. Era vero quello che si diceva, erano occhi grandi, selvaggi, ma anche intelligenti, molto più degli sguardi stolidi che mi rivolgevano gli analfabeti mentre mi aggiravo nel cortile.
– Kaad Ntroem – rispose lo straniero, e subito chiese, scoprendo le labbra sui denti a ogni parola: – Non hai paura di me?
Sbuffai in segno di dissenso. Almeno ora sapevo per certo che conosceva il linguaggio interstellare, e che sapesse o no la nostra lingua, era ovvio che avesse capito che opinione si erano fatti gli altri su di lui. Non li biasimavo: i suoi denti erano davvero spaventosi. Grossi pungiglioni che formavano una corona di spine appena dietro le labbra, sembrava quasi un miracolo che non si fosse ancora morso da solo nel parlare. Non mi avrebbe stupito scoprire che quelle zanne erano pure velenose. Ma non lo chiesi.
– Io non sono come gli altri – dissi, e abbassai le dita sulla sabbia. Non avevo mai sentito un nome come il suo, ma provai a trascriverne i suoni con le forme geometriche dell'alfabeto che accompagnava la lingua che stavamo parlando.
– Sai scrivere? – chiese lo straniero, e anche se non traspariva nel suo tono di voce, immaginai che fosse sorpreso. Probabilmente gli avevano detto che solo gli Irrazionali analfabeti finivano qui, nelle baracche. Era una semplificazione necessaria, ma pur sempre una semplificazione. Gli Irrazionali emotivi come me erano rari, ma ce n'erano stati altri nel corso della storia.
Sapevo che il mio tipo di irrazionalità era tollerata negli stranieri che visitavano o si stabilivano sul pianeta. Ogni tanto qualcuno dei miei conterranei si assumeva volontariamente il compito di rieducare questi estranei incapaci di controllo o raziocinio, ma finché quel modo di pensare illogico non induceva lo straniero a compiere azioni illecite, non poteva essere sanzionato.
L'incapacità di leggere e scrivere una volta superata una certa età era tuttavia di per sé illegale, e conduceva direttamente qui chiunque l'avesse esibita, non importava di che specie fosse l'individuo in questione. Per quel difetto non c'era possibilità alcuna di rieducazione, come avevo scoperto con i miei compagni di prigionia.
Invece di rispondere alla sua domanda, ripetei il suo nome, e per ogni suono tracciai man mano la lettera corrispondente. Lo straniero seguì ogni mia mossa poi portò una mano strana, dalle dita che sembravano unite da veli di pelle, alla sabbia e ripeté come meglio riusciva i simboli che aveva di fronte agli occhi. Erano lettere dai tratti incerti, imprecisi, e dal suo punto di vista, a rovescio, ma nessuno degli altri era mai arrivato a tanto.
– Tu puoi imparare! – esultai, incredulo. Qualcosa di bellissimo era appena avvenuto, qualcosa di non razionalmente quantificabile, ma non di meno, ne ero sicuro, bellissimo. – Si sono sbagliati su di te, tu puoi imparare!
Non sapevo se chi lo aveva esaminato avesse calcolato in modo errato la sua età nell'equipararla alla nostra, errore che dubitavo avrebbe potuto compiere un essere totalmente razionale, o se la mente della sua specie fosse diversa dalla nostra, se per loro quella finestra non si sarebbe mai chiusa, permettendogli di sviluppare scrittura e pensiero razionale a qualunque età, o per chissà che altro motivo. Quello che contava era che lo straniero non aveva ragione di stare lì con noi, e me lo dimostrò definitivamente quando tracciai nella sabbia di fronte a lui altre parole senza dirgli come si pronunciavano, e lui riuscì a compararle al suo nome e a identificare le lettere in comune, e a chiedermi come leggere le altre.
Sì, lo straniero era in grado di capire come funzionava un alfabeto.
Peccato che nessuno avrebbe dato retta a me, un Irrazionale emotivo. Se avessi provato a spiegarlo alle guardie, avrebbero semplicemente risposto che me lo ero immaginato, e che non avevo alcun mezzo per quantificare in modo razionale la capacità di apprendimento di chicchessia. Quella era la prerogativa di un esaminatore, e lo straniero era già stato esaminato da qualcuno certamente più competente di me nel valutarlo.
Insomma, la mia voce non contava.
Almeno, non finché non giunse l'Ena Catera per occuparsi del caso dello straniero, e finalmente qualcuno si degnò di ascoltarmi.

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