lunedì 1 luglio 2024

I segreti del Castello di Arundia


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Ilo Frey da Pexels


Nel cortile interno dell'antico castello, appartenuto un tempo remoto ai principi di Arundia, si affollava un viavai di comitive chiassose al seguito di ombrellini rossi e pompon gialli tenuti ben alti sopra le teste per essere visibili a distanza anche dai dispersi che si attardavano a contemplare il leggendario pozzo senza fondo al centro del cortile o a farsi un selfie davanti alla statua di Arcimberto il Conquistatore. Un'unica guida se ne stava invisibile al centro di un cerchio più nutrito di persone, composto oltre che dai suoi anche da qualcuno che s'era staccato da un'altra comitiva ed era rimasto incantato ad ascoltare gli aneddoti del bizzarro cicerone.
– Al centro del cortile, il pozzo che fu dichiarato "senza fondo" deve questa sua nomea a un errore che perdura tuttora fin dal lontano 1458, quando il principe Osvaldo il Senzorecchio dopo aver ascoltato attentamente per svariate ore disse che non c'era stato tonfo del sasso che vi aveva lasciato cadere, e che pertanto non c'era fine alla profondità del pozzo, e nessuno dei cortigiani presenti osò contraddirlo – gracchiava un pappagallo giallo e blu al centro dell'assembramento. Poi indicò con l'ala la più grande delle statue che ornavano il cortile. – Alla vostra sinistra, ammirate l'effigie di Arcimberto il Conquistatore, che nonostante si sia fatto immortalare con l'elmo e l'armatura e un nemico morente ai suoi piedi, il campo di battaglia in realtà non l'ha visto mai. Era più noto come frequentatore di letti di fanciulle, e a questa sua pratica è dovuto il suo nome, almeno finché non gli toccò di prendersi in moglie una delle figlie del rivale Ducato di Sigismondia, e allora cercò di salvarsi la faccia... così, con questa statua. Ma tutti ad Arundia sapevano della fama del Conquistatore, e quando lo venne a sapere anche la sua novella sposa, gli intimò di dare un taglio a queste sue pratiche, o il taglio lo avrebbe dato lei, non so se mi spiego...
E così, di aneddoto in aneddoto, il pappagallo andava avanti a svelare i più reconditi e imbarazzanti segreti di tutta la dinastia di Arundia, storie che non si trovavano nei libri di storia, ricche di dettagli che solo in parte gli studiosi avevano decifrato da antiche cronache dell'epoca. E la gente che lo ascoltava andava dicendo "ma che bravo questo pappagallo ammaestrato, sa ripetere un discorso così lungo senza sbagliare una sola sillaba", oppure "è come sentire qualcuno che era lì centinaia di anni fa, ti fa proprio rivivere la storia!", e alla fine del tour dell'antico castello di Arundia se ne andavano soddisfatti, pronti a consigliare ad amici e parenti di farci un giro, sì, ma "solo se capitate con la guida pappagallo, che ne sa più di tutte le altre messe assieme!"
Le sue spiegazioni erano così coinvolgenti e ricche di particolari su ogni singolo principe o principessa che aveva abitato il castello, che raramente qualcuno si accorgeva che due delle statue più piccole ed erose dal tempo, un uomo e una donna a grandezza naturale avvolti da lunghi mantelli e con bizzarri cappelli in testa, non ricevevano alcuna attenzione da parte del pennuto. E se qualcuno chiedeva di raccontare loro chi fossero, il pappagallo rispondeva: – Quelli? Oh, quelli non sono nessuno, due presi a caso dalla strada giusto per riempire un po' di spazio vuoto.
E conduceva altrove la comitiva prima che potessero leggere i nomi sul piedistallo delle statue: Benvogius Strambus e Maliarda Strambus, fratello e sorella, maghi di corte.
Alla sera, quando le voci dei turisti si smorzavano in lontananza e i loro passi si dirigevano verso i migliori ristoranti della zona, due sole figure sostavano nel cortile interno del castello appartenuto un tempo remoto ai principi di Arundia, preso ora d'assalto ogni giorno da orde su orde di turisti che avrebbero fatto rivoltare i suddetti principi nelle cripte avite, se solo avessero saputo: un pappagallo che non era ammaestrato affatto, e una donna del tutto identica a una delle statue del cortile.
– Benvogius – diceva sempre la donna, nell'avvicinarsi al pappagallo.
– Maliarda – rispondeva quest'ultimo, sospirando. – Sorella mia, non ti sembra giunta l'ora di lasciar perdere questo piccolo screzio tra noi e togliere la tua maledizione? Quanti anni sono passati, ormai... quattrocento?
– Quattrocentododici anni, tre mesi e diciotto giorni – rispose la donna quella sera – Uno più di ieri e uno meno di domani.
– Appunto. Un periodo molto lungo per portar ancora rancore, sorella mia – le faceva sempre notare il pappagallo. – Sii ragionevole, Maliarda...
– Ti sei deciso a chiedermi scusa, fratello? – suggeriva la donna quella sera, come ogni altra sera. – Due semplici parole, mi dispiace, avevi ragione, dovevo darti retta...
– Sono più di due parole – s'impuntava il pappagallo, con la sua voce gracchiante, mentre la notte calava riempiendo di ombre il cortile. – Inoltre, non vedo perché devo scusarmi, avevo ragione io e tu torto!
– Goditi la tua maledizione, Benvogius – tagliava corto la donna nel girargli le spalle. – Ci vediamo domani, o magari chissà, fra un secolo. Forse per allora avrai riflettuto abbastanza su quello che hai combinato, signor Pappagallo Strambus.
Al povero Benvogius, ex mago di corte e precettore di svariate generazioni di principi di Arundia, riciclato nelle sue nuove vesti in qualità di guida turistica, non restava che scrollare spalle, ops, le ali e andare a cercarsi un trespolo per la notte.

Nessun commento:

Posta un commento