lunedì 22 luglio 2024

L'ultimo colpo


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Alina Rossoshanska da Pexels


Lo so che nessuno, vedendomi adesso, lo crederebbe possibile, ma fino a non molto tempo fa io ero il più abile e inafferrabile ladro di gioielli che sia mai esistito nella nostra nazione, e forse, probabilmente, in tutto il mondo.
Non mi hanno mai preso, mai nemmeno una volta hanno sospettato che dietro tutti quei gioielli scomparsi direttamente dalle gole e dalle braccia e dalle dita e dalle orecchie dei legittimi proprietari ci fossi dietro proprio io, non vale forse questo già da solo come conferma?
Una sola persona, solo una, mi ha scoperto, ma non credo che tradirà mai il mio segreto. Avrebbe troppo da perdere, altrimenti.
Il mio terreno di caccia prediletto erano gli ascensori. Stretti cubicoli in cui nessuno si guarda negli occhi e nei quali la vicinanza con un estraneo che invade il tuo spazio fin quasi a sfiorarti è tollerata.
Ormai lo avevo fatto così tante volte da avere una tecnica ben collaudata. Facevo così: laddove era in funzione più di un ascensore, li bloccavo tutti tranne uno al piano interrato, lì dove i visitatori del palazzo raramente si recavano. Poi mi assicuravo di essere il primo a salire, in modo da restare dietro tutti gli altri, e premevo il pulsante per il piano più alto. Man mano che la gente entrava in ascensore memorizzavo il piano di destinazione di ciascuno di loro, e una volta individuata un rampollo dell'alta società con polsini ornati da gemelli o una facoltosa signora che sfoggiava collane, bracciali, anelli o orecchini d'oro e pietre preziose, calcolavo il momento in cui mi sarei trovato esattamente dietro di lui o di lei, senza nessuno sguardo puntato addosso dato che tutti fissavano l'uscita, e un attimo prima che raggiungesse il suo piano e uscisse dall'ascensore, zac! con la mia mano lesta sollevavo la persona in questione dal suo prezioso carico. Ho sempre trovato ironico che la sottrazione avvenisse dentro quello che in inglese si chiama "elevator".
Ho un tocco delicato, o per meglio dire, avevo un tocco delicato, che era il mio strumento di lavoro e il mio orgoglio. Nessuno sentiva mai la carezza delle mie dita, e quando le mie prede si accorgevano per caso di non avere più addosso i loro gioielli, ormai l'ascensore era passato oltre, e in ogni caso chi poteva dire di aver perso i preziosi proprio lì e non prima?
Al ritorno scendevo per le scale, per maggior sicurezza. Quasi nessuno fa caso agli estranei con cui condivide l'ascensore, e non saprebbe riconoscerli in un confronto all'americana, ma appunto io non potevo fidarmi di un quasi. Qualche volta avevo fatto anche il contrario, specie all'inizio della mia carriera o in rari casi in cui le scale erano impraticabili, prendendo l'ascensore dall'ultimo piano in direzione del piano terra. Avevo scoperto presto però che questa soluzione anche se sembrava più facile non avendo il ritorno da fare a piedi giù per le scale, risultava più rischiosa e meno remunerativa. Primo, perché quasi tutti andando in giù scendono al piano terra, e non potevo certo sgraffignare i gioielli di una preda che poi sarebbe scesa al mio stesso piano. Secondo, perché generalmente nei palazzi signorili e nei grattacieli brulicanti di uffici frequentati dalle signore facoltose e dai ricchi manager a cui io miravo, i piani più alti erano riservati agli appartamenti e ai luoghi di lavoro più esclusivi, il che mi consentiva di effettuare una scrematura e lasciar scendere scomodi testimoni che avrebbero reso la mia missione più pericolosa, prima di sottrarre i gioielli che avevo adocchiato.
Un ascensore pieno fino all'inverosimile di ricchi e poveri stipati assieme in attesa di sciamare fuori al piano terra era quanto di più lontano dal mio ambiente di lavoro ideale.
Frequentavo così tanto gli ascensori che il loro ronzio sommesso, quel senso di accelerazione, il lieve sobbalzo in fermata e il tono musicale che annunciava l'apertura delle porte mi erano diventati familiari, e ancora adesso riuscirei a distinguere a occhi chiusi l'ascensore di un Hilton da quello di un grattacielo del distretto finanziario, o l'ascensore del palazzo dove hanno la loro sede i club per ricchi gentiluomini dal quello della torre residenziale super lusso che svetta in centro città. E un po', a dire la verità, quei suoni e quelle sensazioni che consideravo parte del mio mondo mi mancano, ma non oso farmi vedere da quelle parti. Nemmeno mi farebbero entrare, conciato come sono ora.
È cambiato tutto in una singola corsa d'ascensore, l'ultima della mia vita in cui sono riuscito a mettere a segno un colpo. Avevo adocchiato una signora con una parure d'oro piuttosto voluminosa salita al piano terra, e già attendevo con trepidazione la sua discesa al piano 56, quando al tredicesimo piano entrò in ascensore una giovanissima ragazza con addosso il collier più bello che avessi mai visto. Doveva valere una fortuna, tutto incastonato di pietre preziose e antico d'aspetto, probabilmente ereditato da una nonna di nobili origini o donato da uno spasimante folle d'amore ed estremamente ricco.
Forse la giovinetta in questione nemmeno sapeva della fortuna che si portava addosso perché lo sfoggiava così, senza badarci, come si indossa un pezzo di bigiotteria. Ed era così sbadata che entrando in ascensore era finita addosso a un tizio in giacca e cravatta, e c'era mancato poco che mentre si scusava la porta dell'ascensore si chiudesse sulla sua gonna. Oh sì, sarebbe stato facile sottrarle la collana, valutai, e notai subito il piano a cui era diretta: 73, il penultimo, il che mi lasciava tre piani di tempo da solo con lei, se nessuno fosse salito. Era un rischio, con solo un piano di scale poi a dividerci, ma quello che lei si portava addosso era un premio troppo allettante per farmelo scappare.
Così lasciai scendere la signora con la parure d'oro al suo cinquantaseiesimo piano e mi preparai al colpo della mia vita. Non avevo mai, in tutta la mia carriera, puntato a un singolo gioiello così prezioso. Fu facile. Troppo, potrei dire con il senno di poi.
Quando le sfilai da collana dalla gola udii nel ronzio dell'ascensore il lieve sospiro della ragazza. Pensai di essere stato scoperto, ma lei non fece una piega, non almeno finché le porte non si aprirono al settantatreesimo piano. Allora, prima di scendere, lei si voltò e mi disse: – Grazie, e... goditi il tuo bel Talismano della Sfortuna finché non riuscirai a trovare un ladro abbastanza tonto da impossessarsene.
Quindi la ragazza uscì dall'ascensore e sparì dalla mia vista senza inciampare una sola volta, anzi, addirittura a passo di danza. Ma fui io che a quel punto faticavo a stare in piedi. Inciampai sulla soglia dell'ascensore uscendo all'ultimo piano, e rotolai giù dalle scale più di una volta, finché non mi decisi a riprendere l'ascensore per scendere al piano terra. Pensai che le mie sventure fossero finite quando rividi la signora con la parure d'oro, ma quando tentai di sottrarle un orecchino quella subito si girò e mi disse: – Ma che fa, tocca?
Ero rovinato. Cercare di vendere la collana a un ricettatore fu inutile, ogni volta che ci provavo me la ritrovavo misteriosamente in tasca o addosso, e l'accusa che stessi tentando di fregarli mi induceva a scappare a gambe levate prima che per me si mettesse male. Ho anche pesato di costituirmi, ragionando che se la ragazza ancora non aveva parlato era perché se la polizia mi avesse sottratto la collana per restituirgliela la sfortuna poi mi avrebbe lasciato e sarebbe tornata a tormentare lei. Qualche anno dentro valeva la pena pur di liberarsi di quella condanna, non fosse che avevo preso di mira con i miei colpi anche mogli di uomini poco raccomandabili, con agganci tra i criminali, che avrebbero probabilmente preferito la vendetta alla giustizia, se avessero scoperto la mia identità. Inoltre, non ero certo che con la collana sarebbe andata come immaginavo.
No, meglio non rischiare, avevo già abbastanza sfortuna così senza andare a provocarmela da me. Ho tentato in tutti i modi di farmi rubare la collana, ho passeggiato per le strade più malfamate muovendomi con tutta la goffaggine provocata da quel maledetto porta iella che ostentavo al collo, nemmeno avevo bisogno di fingermi il più pollo dei polli, eppure anche così non ho mai trovato qualcuno che provasse ad approfittarsene. Regalarla ha lo stesso effetto che tentare di venderla, non funziona, questo maledetto coso torna sempre nelle mie mani.
Tutta la fortuna che avevo accumulato nei miei anni migliori, quelli che ora rimpiango amaramente, se n'è andata ormai da un pezzo. È così che sono finito a parlare con i barboni, con un bel pezzo di gioielleria addosso che non posso nemmeno impegnare per comprarmi un tozzo di pane.
Ma dimmi, amico mio: non è che conosci qualche ladro interessato a un colpo facile facile?

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