giovedì 9 gennaio 2020

Al di là del cielo


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Michel Berube da Pexels


Ero elettrizzata. Un po' come a dicembre, quando man mano che si avvicina il Natale l'agitazione cresce, cresce fino a trasformarsi in una frenesia gioiosa nel giorno della vigilia e tu sei talmente felice e sveglio, tanto sveglio che stai nel letto a occhi sbarrati, e non pensi che riuscirai mai a dormire, proprio no, ma dopo ti svegli ed è Natale e in qualche modo, chissà quando, ti devi essere addormentato, solo che non te lo ricordi e neanche t'importa, perché è Natale, ti alzi di corsa e sotto l'albero ci sono i regali.
Così mi sentivo quella mattina d'aprile. Tiravo mio padre tenendolo per la mano, diretta alla mongolfiera. Eravamo i primi, e l'uomo nel cesto stava ancora gonfiando il pallone sbilenco con lunghe lingue di fiamma dal bruciatore. Avevo saltato tutte le bancarelle della fiera per essere lì di buonora, e abbandonato mia madre e l'albicocca che aveva tentato di offrirmi. Nessun frutto poteva essere più dolce del sogno che già pregustavo.
Volare.
Volare sopra le nuvole, al di là del cielo, sentire il mio corpo che si librava leggero, come un uccello, come un angelo.
Saltellai impaziente da un piede all'altro finché l'uomo nel cesto non ci disse che era pronto e potevamo salire.
Mio padre pagò i biglietti e l'uomo ci accolse all'interno del cesto. Mi aggrappai al bordo e mi sollevai in punta dei piedi. Facevo fatica a guardare fuori, alto com'era: mi arrivava a malapena al naso. Mio padre provò a sollevarmi, ma subito l'uomo scosse la testa e urlò sopra al sibilo assordante del bruciatore "È vietato tenere in braccio i bambini!", così mio padre dovette rimettermi giù.
Il soffio intermittente, come un respiro di drago, mi fischiava nelle orecchie mentre dondolavamo e ondeggiavamo in quel fragile rifugio. Vidi gli alberi lontani e l'orizzonte sparire, e gli occhi mi si riempirono di cielo, ma con mio grande disappunto scoprii che non provavo affatto la sensazione di librarmi verso l'alto. Sentivo i miei piedi ancorati a un suolo, per quanto sottile e instabile, non tanto diverso dal pontile di un molo. Sentivo il mio corpo ancora stretto nell'odiosa morsa della gravità.
No, non stavo volando.
Nei miei sogni notturni, quelli in cui mi staccavo da terra e mi sollevavo sopra i tetti delle case, la sensazione era stata molto più vivida e reale di quella pallida imitazione, di quella giostra lenta, accompagnata dal calore e dal rombo fastidioso della fiamma. Non c'era libertà dentro al cesto, né l'emozione che mi ero aspettata da quando papà mi aveva annunciato quella gita.
Avevo cercato le ali di un falco, e mi ero ritrovata incatenata al trespolo come un pappagallo addomesticato. Ma non mi accorsi di quant'era vera quella metafora finché il cesto non si fermò e restammo lì, appesi in aria, senza più muoverci.
– Più in alto, più in alto! Voglio salire più in alto! – urlai. Nutrivo ancora la speranza che, se fossimo saliti sopra le nuvole, se fossimo andati al di là del cielo, avrei ritrovato la sensazione di galleggiare felice, senza peso, che animava i miei sogni.
– No no, signorina, non si può più di così – replicò l'uomo del cesto, rallentando il ritmo dei soffi infuocati. – Adesso si scende, lascia provare anche agli altri.
Mi accigliai. Di nascosto dall'uomo, mio padre mi sollevò quel tanto che bastava per farmi vedere le corde che tenevano la mongolfiera sospesa al suo posto, al di sopra del prato. Mi sentii ingannata: il mio volo non era mai stato libero.
L'atterraggio fu una goffa sequenza di saltelli che mi parvero l'ennesima beffa, sballottata com'ero all'interno del cesto, con la solida terra che mi reclamava più e più volte, finché gli aiutanti dell'uomo nel cesto non giunsero a trattenerci.
Io e mio padre scendemmo.
I prossimi della lunga fila che si era formata mentre eravamo in aria presero il nostro posto.
Mi allontanai dalla mongolfiera a testa bassa, ignorando mio padre che commentava con entusiasmo l'esperienza. A un bambino che saltellava da un piede all'altro come se fosse stato in fila per il bagno, sussurrai contrariata: – Tanto non è bello. Non sembra neanche di volare.
Lo vidi rivolgermi un'occhiata perplessa, ma quando mi girai indietro, scoprii di non essere riuscita a spegnere il suo entusiasmo. Stava ancora saltellando.
Avrebbe smesso, ne ero certa, una volta provato quel noioso andar su e giù della mongolfiera. Ma, per il momento, lo lasciai ad attendere il suo agognato Natale.

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