lunedì 10 febbraio 2020

L'ombrello d'autunno


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Sento trillare i campanellini di Evangeline prima ancora di vederla. Mi rassegno: già so che non riuscirò ad allontanarla, come non sono riuscito a farla smettere di parlare in treno, o indurla a scegliere un altro posto in classe quando è venuta a sedersi proprio al mio fianco.
Mi raggiunge e aggancia il suo braccio al mio con una confidenza disarmante, come se mi conoscesse da sempre. Nonostante l'assoluta mancanza di pioggia, Evangeline se ne sta al riparo di un ombrello color grafite, uno strano contrasto con le tinte sempre solari dei suoi abiti. Inizia a parlare e a farmi domande come al solito, a un ritmo talmente serrato da non lasciarmi il tempo di rispondere. Non che io intenda farlo, nemmeno se lei si fermasse a riprendere fiato di tanto in tanto, ma forse Evangeline già l'ha compreso al nostro incontro sul treno ed è per questo che ad alcune di quelle domande risponde lei stessa.
Non passa molto prima che ci raggiunga un altro dei ragazzi che frequenta la nostra classe.
– Evalina! – l'apostrofa, mettendole un braccio sopra le spalle, appena l'affianca dall'altro lato. – Ancora con questo ombrello d'autunno? Allora è proprio vero che non sei cambiata per niente!
Lei gli rivolge una linguaccia, poi scoppiano a ridere assieme. Ho origliato quanto basta dei loro bisbigli durante le lezioni da capire che i due erano compagni di banco e amici durante le elementari, che si sono persi di vista per i tre anni delle medie e si sono ritrovati oggi, al loro primo giorno in una nuova scuola.
Un ragazzo normale avrebbe invidiato il rapporto tra loro. Io volevo solo essere lasciato in pace.
– Ma lui non sorride mai? – chiede il ragazzo, Claudio, sporgendosi verso di me.
Evangeline scuote la testa. – Finora no, ma prima della fine dell'anno sicuro che ci riesco, a farlo sorridere.
Un'altra risata. Sospiro e guardo avanti.
– Diglielo anche tu, a Evalina qua, che può chiudere l'ombrello.
– Nooo! – replica Evangeline, stringendo di più il manico con la mano libera.
– Sì! – esclama lui, e da lì ha inizio una serie di no e di sì tra loro che pare non aver fine, finché Claudio non spezza il ciclo dicendo: – Ma non piove!
– Sì che piove! – è la replica di Evangeline. – Piovono foglie!
Scuote appena l'ombrello, facendone cadere due o tre foglie gialle che nel frattempo hanno macchiato la cupezza del telo grigio.
– Fifona. Per un po' di foglie, cosa vuoi che sia...
– Ma ci sono gli insetti! – sbotta Evangeline in tono lamentoso. – Ci sono i bruchi e i ragni e le cimici e tutte quelle altre bestioline schifose sulle foglie. Tu non lo sai, ma loro lo fanno apposta. Si mettono apposta sulle foglie che stanno per cadere, così poi se finiscono addosso alle persone loro ci camminano sopra, sui capelli e sui vestiti e dappertutto...
Al limite del mio campo visivo, scorgo Evangeline rabbrividire.
– Ma dai! – Il ragazzo scoppia a ridere. – C'è una cospirazione degli insetti e l'umanità non ne sa nulla? Chiamate i giornalisti! Meglio, la polizia! Meglio, l'esercito! Sterminiamo i malvagi insetti che vogliono camminarci addosso!
Mentre Claudio la punzecchia, Evangeline mette il broncio e gonfia le guance, ma all'ultima frase lui fa scivolare giù il braccio dalle sue spalle e usa entrambe le mani per farle il solletico.
Evangeline è costretta a sciogliere il braccio dal mio per difendersi. Indietreggia e mi urta con la schiena, e per fortuna nessuno dei due presta troppa attenzione a me, perché sono certo di aver perso in quel momento almeno un po' il controllo della mia maschera impassibile. Approfitto del fatto che sono libero e di un cancelletto aperto a pochi passi da me per uscire di scena.
– Sono arrivato – mormoro, e già mi avvio verso quel portone sconosciuto, senza attendere che i due amici d'infanzia ritrovati si ricompongano e mi salutino. Il loro commiato è comunque una serie di "ciao" distratti. Non mi rivolgono più di un'occhiata prima di correre via, Evangeline tintinnante di campanellini in fuga con l'ombrello e Claudio all'inseguimento.
Mi apparto tra la casa e la siepe, al riparo degli sguardi dalle finestre e dalla strada, prima di prendere il cellulare e telefonare a casa dei parenti di zia Clara, dove sono ospitato. Al primo che risponde, ho intenzione di chiedere di pronunciare il mio nome ad alta voce, come se mi stesse chiamando dalla stanza vicina. Rispondere a un'evocazione e apparire lì dove sono richiesto è sempre stato facile, per me.
Lo so che dovrei prendere l'autobus come una persona normale, ma oggi non ne ho proprio voglia.

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