lunedì 6 giugno 2022

Abitudini alimentari


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Alexy Almond da Pexels


Non avevo più avvertito la fame da quando avevo mutato la mia natura. Percepivo il bisogno di nutrirmi in maniera diversa, come una sorta di debolezza che m'invadeva le membra, e che mi avvertiva che il mio tempo era pericolosamente vicino alla scadenza, che avevo bisogno di nuova forza vitale, di altro tempo sottratto a una creatura viva.
Non era stato difficile come pensavo adattarmi alla mia nuova dieta. E per la bambina, che era stata troppo piccola per ricordarsi di essere mai stata qualcosa di diverso da una mutaforma, era stato più semplice ancora.
Ci spostavamo spesso, noi tre. Non potevamo correre il rischio di attirare l'attenzione, e d'altra parte non c'era nulla che ci trattenesse in un luogo, nessun legame e nessun obbligo. In particolare, nei primi mesi di vita della bambina, ci tenemmo lontani dai centri abitati, al sicuro dalla curiosità degli esseri umani. Come colui che aveva cambiato le nostre vite, io ero in grado di mantenere la mia forma stabile se mi accorgevo che un estraneo mi stava fissando, ma la bambina non aveva alcun concetto di prudenza, né capiva la necessità di mantenere la nostra natura segreta agli occhi degli esseri umani.
Non ce n'era bisogno con gli animali, perciò vivemmo inizialmente nella prateria selvaggia, ai margini della civiltà. Il profumo dei prati in fiore divenne a poco a poco sinonimo di "casa", tanto più che potevo percepirlo con altri nasi, con olfatti più sviluppati di quello umano e distinguerne ogni sfumatura. Ci spostavamo seguendo i ruscelli gorgoglianti, poiché l'acqua attirava sempre nuove vite, nuove prede per noi. A volte nuotavamo nei ruscelli, mutati tutti e tre in banchi di pesci che si univano e si mescolavano, e catturavamo in quella forma gli insetti imprudenti. Altre volte percorrevamo la prateria nei panni di una famiglia di linci, di volpi o di lupi.
La bambina amava tramutarsi in uno stormo di uccelli, volare assieme ad altri della stessa specie, scambiando cinguettii e trilli canori, e una volta a terra diventare un felino, balzare su uno dei compagni e inghiottirlo intero. Limitato da anni di moralità umana, io non sarei mai riuscito a fraternizzare con una preda, ma lei la considerava una pratica normale.
– Il cibo canterino è con me adesso – mi disse una volta che passeggiavamo in forma umana, quando le chiesi perché volasse assieme agli uccelli prima di mangiarli. – Posso cantare io le sue canzoni. Me le ricordo. È un po' come con le nostre storie. Me ne racconti una?
Avevo iniziato fin da subito a raccontarle delle storie per abituarla ai suoni di una lingua umana e al modo complicato che avevano gli esseri della mia precedente specie di elaborare concetti astratti e associarli a suoni arbitrari. Alcune erano storie inventate, da bambini, metafore della nostra condizione attraverso le metamorfosi nel mondo animale. Altre, invece, riguardavano la nostra vita, il modo in cui eravamo diventati quel che eravamo, e perché tutte le altre creature su questo pianeta, compresi gli esseri umani, erano diversi da noi.
Speravo di prepararla all'incontro con gli esseri umani, al pericolo che rappresentavano per la nostra esistenza, che doveva rimanere segreta, ma non potevo immaginare che quell'incontro sarebbe avvenuto prima di quanto immaginassi.
Il nostro viaggio ci aveva portati forse troppo vicini alle terre abitate, e così mentre noi catturavamo lucertole e le ingoiavamo vive sulla riva del ruscello, inebriati dall'estasi del legame con ogni forma di vita che ci circondava, non ci accorgemmo che la bambina si era allontanata da noi e aveva trovato un gruppo di escursionisti che avevano allestito su di una tovaglia piatti e vassoi di cibo umano.
– No, non lo mangiare quello, è carne morta, poi starai male! – la sentii gridare, mentre accorrevo spronato dal suono della sua voce allarmata. Erano le stesse parole che le avevamo rivolto mesi prima io e il nostro compagno, mentre toglievamo dalla sua bocca di iguana il cadavere di un toporagno che aveva scovato all'ombra di un gruppo di pietre. – Sputalo! Buttalo fuori! Dai... se lo mangi muori!
– Lascia fare a me – mormorai al nostro compagno, innervosito dalla situazione rischiosa in cui la bambina ci aveva messi. Mi avvicinai in fretta alla piccola e la agguantai da dietro con fare giocoso, poi la sollevai in braccio.
– Ehi! Andiamo, non dare fastidio ai signori.
– Non ci dà fastidio – replicò in fretta una donna, mentre l'oggetto del suo rimprovero, un ragazzo con un tramezzino al prosciutto mezzo smangiucchiato, inghiottiva in fretta il boccone sotto lo sguardo atterrito della bambina.
– Devi aiutarlo... – piagnucolò la bambina, nascondendo il volto contro la mia spalla. – Devi aiutarlo o morirà...
– Siamo vegani – mi affrettai a dire, spiegazione che fu accolta con un coro di "ah" e qualche sguardo critico. Sentii alle mie spalle, qualche metro più indietro, la risata del nostro compagno. Non potevo inventare una bugia più lontana dalla verità di quella.
– Abbiamo dei biscotti senza uova e senza latte, se la piccola ne vuole qualcuno – proseguì la donna, tendendoci una confezione di biscotti, probabilmente per consolare la bambina. – A proposito, come si chiama? Abbiamo provato a chiederglielo, ma non vuole dircelo.
Ignorai la domanda, poiché sarebbe stato impossibile rivelarle che sia io che lei avevamo rinunciato ai nostri nomi umani, senza poi dirle che lo avevamo fatto per essere liberi di diventare qualcos'altro. – Grazie, ma non può mangiare glutine – replicai, e nel notare che qualcuno adocchiava delle ciotoline di macedonia, aggiunsi: – Ed è allergica alle fragole... e ad altre cose... è stato un piacere conoscervi, ma ora dobbiamo andare.
Tagliai corto, poiché avevo notato che la bambina aveva allungato una mano verso una farfalla che mi volteggiava attorno alla testa, e avevo il terrore che la creatura si posasse sulle sue dita e lei se la ficcasse lesta in bocca come le avevo già visto fare tante altre volte. Adorava le farfalle, così come io preferivo tra tutte le forme di vita le lucertole, forse perché erano quelle che avevano innescato la nostra metamorfosi, il nostro primo pasto. Ma era di fondamentale importanza non rivelare agli escursionisti le nostre abitudini alimentari, perciò diedi loro le spalle e ci allontanammo in fretta, tutti e tre.
Ci assicurammo di essere fuori dalla portata della loro vista prima di metterci addosso una pelliccia e ficcare i nasi tra l'erba della prateria alla ricerca di pietanze viventi per il nostro personale pic-nic.

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