giovedì 9 giugno 2022

Nata dal dolore


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Bianca Salgado da Pexels


Non ci sono parole per descrivere il dolore di una vita spezzata. Tutto ciò che sarebbe potuta diventare, tutti i legami che aveva stretto, tutti i sogni, le speranze, i desideri, annientati in un singolo istante. Lady Nightingale di Shamyan era morta in quel gelido antro, di fronte agli occhi indifferenti di creature bestiali che nessuno aveva mai visto prima, ma che tutti veneravano come dei. Il suo nome non sarebbe nemmeno dovuto uscire dalle labbra dei sacerdoti: il conte li corrompeva da sempre, per tenere al sicuro le sue figlie. Ma qualcuno lo aveva tradito, e loro avevano indicato lei come la prescelta. Il conte non aveva potuto opporsi.
Così lady Nightingale era stata sacrificata sull'altare, nel cerchio di pietre. Lei era morta quella notte, e al suo posto ero nata io.
L'oscurità della notte, uno spazio vuoto, con una missione.

I miei ricordi sono frammentari. Ma cercherò di scriverli, finché posso. Qui accanto al fuoco, mentre pianifico la mia prossima mossa. Quelle creature mi stanno cercando, lo sento, ma per il momento, almeno per il momento, non sono vicine.
Sarei dovuta morire sull'altare di pietra, così credevo, ma non è in questo modo che funziona. Al mattino le vittime erano sempre sparite, nessuna traccia di loro era mai stata ritrovata, segno che avevamo sempre interpretato come l'ascesa al cielo delle prescelte, per dimorare accanto agli dei.
Inutile dire che ci sbagliavamo.
Nella notte arrivarono loro. Non ricordo con chiarezza, e in questo caso, non perché ho perduto la memoria di quell'evento. Mi ricordo la vista annebbiata, il rumore dei miei rantoli, il graffio delle corde, la stanchezza, la straziante agonia lì dove il sacerdote aveva affondato la sua lama. Continuavo a svenire e a riprendermi, perciò ricordo solo lampi di quel pellegrinaggio nella notte. L'odore del mio sangue mescolato al lezzo della creatura pelosa che mi sosteneva malamente, ferendomi con i suoi artigli. Ormai non sentivo nemmeno più il dolore, ma solo torpore.
All'ennesimo risveglio, le stelle erano state sostituite da un soffitto di pietra, irto di spuntoni acuminati. I miei piedi non strisciavano più sulla morbida terra, ma su rocce e sassi. Un'alito gelido e umido m'investiva soffiando nella galleria, e un ululato inquietante riecheggiava dagli ingressi ad altri antri che superavamo lungo il cammino. Il ruzzolare di un sasso, moltiplicato dall'eco tra le pareti di roccia, s'ingigantiva fino a farsi il rombo di una valanga di pietre. Ero già terrorizzata a sufficienza, ma il peggio doveva ancora arrivare.
Mi lasciarono cadere di fronte a una bestia enorme, spaventosa, seduta su un trono di roccia, di cui le creature che avevo visto non erano che una versione minuscola e distorta, come lo sono le marionette rispetto a un uomo. Il paragone era molto più azzeccato di quanto avessi previsto.
Era quella bestia a muovere i fili di tutte le altre. Lo seppi quando alzai la testa e lo fissai negli occhi, così come venni a sapere di molte altre cose, che preferisco non scrivere. Non sono ricordi che dimenticherò, questo è certo. Perché quelli non sono i miei ricordi, sono i loro.
Fu come una pressione che cresceva sempre di più nella mia testa e sulla mia pelle. Non mi resi conto all'inizio di quello che mi stavano facendo, ma poi lo compresi. Quei nuovi ricordi stavano scacciando via i vecchi, spingendoli contro le pareti del mio cranio, schiacciandoli, sminuzzandoli. Allora opposi resistenza, e fu lì che cominciò a fare male davvero. Come coltelli piantati nella mia testa, chiodi, colpi di martello. Ero sotto attacco di una forza invisibile, e non avrei potuto scacciarla nemmeno se avessi avuto le mani libere.
Tuttavia resistevo, piegata in due, preda di conati di vomito, aggrappata a tutto ciò che ricordavo di me stessa, poiché sapevo quello che sarei diventata se avessi ceduto.
Un'altra di quelle marionette. Non più umana. Non più libera, mai più.
Al limite del mio campo visivo scorsi lampi di luce, vampate di fuoco, e percepii schianti di rocce spezzate. Quelle creature stavano usando il loro potere sugli elementi, un potere che non avrei saputo nemmeno immaginare prima che la mia mente fosse invasa dalle loro conoscenze. E lo stavano usando per attaccare qualcuno.
Non so descrivere la battaglia, poiché io stessa ero impegnata nella mia lotta. Ricordo che mi ritrovai accanto un uomo, uno sconosciuto che tagliò le corde che ancora mi stringevano i polsi e le caviglie, e mi aiutò a rimettermi in piedi. Solo allora riconobbi in lui Moray, il mio maestro di spada.
Quando era stato fatto il mio nome, lui era stato l'unico che aveva osato protestare. Doveva aver seguito quelle creature quando mi avevano preso. Era entrato nelle caverne per me, era venuto a salvarmi.
Un tentativo futile, sciocco. Eravamo in due contro un intero alveare di bestie. Mi aveva portato le mie spade, ma non sarebbero state sufficienti, e non sapeva in che condizioni mi avrebbe trovato.
Temeva di trovarmi moribonda, e invece io ero più forte di quando ero arrivata lì. Ed ero diversa, anche se esternamente non ne portavo i segni.
Usai il fuoco. Usai la terra, l'aria, qualunque cosa pur di respingerli da noi, anticipavo le loro mosse, e loro le mie, combattevo quei demoni con il loro stesso potere, ignorando quella pressione nella mia testa ogni volta che lo facevo, ignorando che più lo sfruttavo, e più perdevo brandelli di me stessa.
Mentre fuggivamo, Moray fu sopraffatto, e non lo vidi mai più. Non so nemmeno se quelle che udii furono le sue ultime parole, o solo frutto della mia immaginazione.
– Addio, mia allieva. Fate buon uso di ciò che vi ho insegnato...
Qualunque cosa fossero, mi spronarono a fuggire, da codarda. Ho avuto molto tempo, da allora, per pentirmene. So che cosa gli hanno fatto, che cos'è diventato.
E so che cosa sto diventando io, giorno dopo giorno, quando loro mi trovano e sono costretta ad affrontarli. È una morte lenta quella che mi aspetta, con la consapevolezza che nel mio domani c'è solo una mente sempre più vuota, e una volontà sempre più debole. Ma resisto. Finché ne avrò la forza.
Io sono Night, e ho una missione. Rivelare il culto degli dei per quello che è, una farsa, e impedire che altre vittime innocenti vadano a ingrossare le schiere di quelle bestie immonde. In una parola, devo fermarli.
Lo devo a una fanciulla sciocca che pensava che il suo rango l'avrebbe tenuta al sicuro e non si preoccupava affatto delle figlie degli altri.
Lo devo a Moray, che ha perduto sé stesso per salvarla, e invece ha trovato me. La notte, uno spazio vuoto, con una missione.
Un giorno lo ritroverò e lo libererò nell'unico modo possibile.

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