lunedì 30 aprile 2018

Addosso!

(racconto ispirato dall'esercizio Le differenze contano)

Per questo esercizio ho deciso di espandere un po' un vecchio brano, il cui punto di vista aveva già due differenze rispetto a me: l'età, e il genere.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


La prima volta che vidi mia cugina se ne stava aggrappata alla gonna di sua madre, quasi completamente nascosta se non per una manica rosa e metà del volto. Un occhio verde mi fissava spalancato e i suoi ricci neri, spettinati, la facevano sembrare ancor più pallida e spaurita. Avevo appena il doppio della sua età, ma l’essere nato a Terrana, non troppo distante dalla capitale dell’Impero, mi faceva sentire un uomo di mondo. Portai il braccio destro al busto e mi piegai in un goffo inchino. Dietro di me mio fratello ridacchiava, scimmiottandomi.
– Principessa – mormorai, nel mio pessimo dialetto orientale. Mi rispose un gridolino eccitato mentre lei correva ad appendersi al mio collo.
– Ehi, piano, sei pesante! – protestai.
– Non è vero. Sono leggerissimissima – rispose lei, con una pronuncia assai migliore della mia.
– Va bene, va bene. Hai ragione tu – concessi, mentre mi abbassavo per farle toccare terra con la punta dei piedi. Mi sforzai di guardare indietro, sopra la spalla destra. Mio fratello  rideva ancora, sguaiatamente. – Non fare lo stupido e vieni qui a darmi una mano! – gli ingiunsi nell'imperiale di Terrana, che in quel momento aveva due vantaggi: era la mia lingua madre, perciò non avevo problemi a parlarla, ed ero certo che mia cugina non ne comprendesse neanche una parola.
Mio fratello smise di ridere. Sbuffò, si stiracchiò, venne avanti e si sedette sui talloni. Fissando la piccola, mormorò nel dialetto orientale: – Mio fratello dice che se non ti stacchi subito dal suo collo, ti prenderà e ti darà a Shaul Tsokhàr.
Mi sorprese sentirlo parlare quella lingua meglio di me. E mi ci volle un po' per riconoscere il nome dello spaventoso dio della notte delle terre d'oriente ma, intanto, su mia cugina quel nome aveva già sortito il suo effetto. La bambina sgranò gli occhi, si lasciò scivolare giù e con un urletto di terrore corse ad aggrapparsi alle gambe di sua madre. La zia smise di parlare con nostra madre e ci gettò un'occhiata torva.
– Ma che hai fatto? – sibilai a mio fratello.
Lui scrollò le spalle e si alzò. – Ha funzionato, no? Mi hai chiesto di aiutarti, e io l'ho...
Non lo lasciai finire. Mi raddrizzai e gli diedi un pugno sulla spalla. – Sei una carogna!
Mio fratello ricominciò a ridere e mi saltò sulla schiena. Si aggrappò a me con un braccio che afferrai all'istante, e mentre provavo ad allentare la presa, abbassò il pugno sinistro per cercare di colpirmi al fianco.
Da lì sarebbe iniziata un'altra delle nostre mitiche zuffe, se in quel momento un'ombra non fosse calata su di noi.
Alzammo gli occhi e vedemmo il volto severo di nostro padre. Le palpebre strette e la mascella contratta nascondevano a stento la rabbia. Era una situazione che si verificava così spesso che non aveva nemmeno bisogno di parlare.
Ci separammo. Ma le nostre reciproche occhiate dicevano che la baruffa era solo rimandata.

sabato 28 aprile 2018

Pupillo

Al femminile fa venire in mente quella che sta nell'occhio, ma al maschile ha un che di buffo... il che probabilmente spiega perché la prima frase a cui ho pensato è il classicissimo, forse anche un po' ironico: "ah, è il pupillo della maestra!".

Pupillo [pu-pìl-lo] s.m. (f. -la) 1. dir. Minorenne soggetto a tutela perché orfano o perché i genitori sono stati privati della patria potestà. 2. fig. Beniamino, favorito.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Non sapevo della prima definizione. Ma conosco da tempo questa parola per la seconda, ed è con questo significato in mente che ho pensato al brano in cui inserirla. Il resto lo ha fatto la foto.


L'idea di sottrarre ai Protettori la loro pupilla era troppo allettante per lasciarmela scappare. Era così che era iniziato: come un antipasto per la mia vendetta. Ero consapevole di star conducendo un gioco pericoloso. Bastava una sua parola a condannarmi. Jolanda era troppo giovane e ingenua per capire con chi aveva a che fare, ma non potevo dire lo stesso dell'altra sua mentore, la discendente dei Protettori con cui condividevo la sua educazione.
– Le brave bambine mantengono sempre le promesse, vero? – le chiesi, quando espresse l'ennesimo dubbio sul segreto che l'avevo costretta a mantenere.
Jolanda annuì.
– E tu mi hai fatto una promessa, la prima volta che ci siamo viste.
Jolanda annuì ancora, poi tenne gli occhi bassi. Allungai una mano e, toccandola sotto il mento, la indussi a rialzare il volto.
– E allora non essere triste, mia cara Viola. – Le avevo dato un altro nome, un nome diverso da quello del suo battesimo. Un nome che la rendesse mia. – Stai mantenendo la promessa. Stai facendo la cosa giusta. Per questo, ti meriti un premio.
Mi girai e afferrai il cestino dietro il tronco caduto. Sollevai il tovagliolo che lo copriva, e un profumo inebriante si liberò nell'aria da numerosi steli fioriti dentro al cesto. Lo porsi a Jolanda.
– Sono fiori di lillà. Piantali nel tuo giardino: ti proteggeranno.
Jolanda fissò dubbiosa il cestino. – Hai... hai fatto una magia sui fiori?
– Una magia buona –  le assicurai. Le afferrai una mano e le chiusi le dita attorno al manico del cestino.
– La nonna dice che non esiste una magia buona.
– E la nonna ha sempre avuto ragione, Viola? Non si è mai sbagliata?
Jolanda fece una smorfia, scosse la testa e afferrò più saldamente il cestino.
Era facile approfittare di un singolo, clamoroso errore. Per indurne uno di ancora più grave.
Presto i miei fiori avrebbero stordito tutti, nella casa, permettendomi di entrare indisturbata. La pupilla dei Protettori stava per passare da un allettante gioco, alla chiave per compiere la mia vendetta.

giovedì 26 aprile 2018

Differenze, non stereotipi

Lunedì, con il post dal titolo Le differenze contano, ti ho proposto come esercizio quello di ideare un personaggio che si discosti da te per qualcosa di diverso, qualcosa che fosse una parte fondamentale della sua identità e non un dettaglio trascurabile. Ebbene, in quell’esercizio, fin dal suo titolo… credo di averti un po’ ingannato. Almeno per quello che è il mio modo di ragionare e di scrivere, le differenze non contano così tanto.

Per dimostrarti cosa intendo, prenderò in considerazione la più semplice delle differenze, quella di genere maschile/femminile.

Consigli


Da qualche tempo a questa parte ho iniziato a seguire articoli, blog e video con suggerimenti di vario tipo che riguardano la scrittura creativa, da come evitare di correggere subito ogni parola della prima stesura di una storia, a come scrivere una sinossi e presentarsi agli editori. Come sarà capitato a te, alcuni li ho trovati utili, altri mi sembravano scontati o troppo rigidi per inserirli nel mio metodo di scrittura, e in una minoranza di casi, per una incredibile coincidenza fortunata, sono incappata in consigli talmente illuminanti da cambiare il mio modo di approcciarmi alla pagina bianca.

Questa però non è la storia di una di quelle rivelazioni. È la storia di un genere di articoli che mi ha sempre lasciato un po’ perplessa: il tipo che si intitola “come scrivere un punto di vista maschile se sei una donna” e “come scrivere un punto di vista femminile se sei un uomo”. Non so tu, ma io penso di non averli mai del tutto capiti.

Individui


Sarà che io non ho mai pensato di una mia creatura: va bene, questo è un personaggio maschile, deve pensare come un uomo. Piuttosto, l’ho considerato prima di tutto come un individuo, qualcuno con un passato e un’esperienza che sì, è influenzata anche dal suo genere, ma non solo.

Per Patrizio Boscoscuro, giusto per prenderne uno che è comparso di recente su queste pagine, ho riflettuto su come dev'essere vivere tra continui dejà vu di eventi a cui non si ha partecipato, riconoscendo luoghi in cui non si è mai stati prima. Forse ti dà più sicurezza, ma annulla la gioia della sorpresa? Che sensazione fa provare non avere quasi una prima volta perché qualcun altro prima di te lo ha già vissuto, e che influenza ha tutto questo “sapere” sul carattere?

Il fatto che Patrizio fosse un uomo si è intrecciato ai ricordi che immaginavo della sua vita in modo naturale, allo stesso modo del fatto che fosse figlio unico, o dell’essere cresciuto in un condominio in una grande città, o di tanti altri dettagli. Nessuna di quelle differenze rispetto al mio vissuto era predominante, nessuna era fondamentale al punto di prenderla in considerazione e costringermi ad analizzare il suo punto di vista attraverso quell’unica lente. Anche perché, tra gli esponenti di ogni sottogruppo del genere umano (che siano divisi per sesso, età, nazionalità, o chissà che altro) penso che esistano tante somiglianze quante sono le differenze. Che ogni uomo sia uomo a modo suo, che ogni donna sia donna a modo suo.

Perciò quegli articoli mi hanno sempre reso un po’ perplessa. Come si fa ad applicare a ogni individuo la stessa serie di consigli per rendere il suo un punto di vista credibile?

Informazioni


Al di là del modo di pensare, che può essere estremamente diverso da individuo a individuo, esistono alcuni dettagli specifici ed esperienze comuni alla categoria che a te potrebbero mancare.

Riprendo l’esempio del mio personaggio, Patrizio Boscoscuro: di lui ho scritto che preferisce tenere il volto rasato. Non è entrato a far parte dei racconti che ho scritto finora, ma se avessi dovuto ambientare una scena di mattina, mentre si prepara e si veste, o accennare a quanto spesso si fa la barba per mantenere il suo aspetto com'è, avrei dovuto chiedere a un uomo. Allo stesso modo in cui avrei dovuto informarmi su un abito tradizionale di una cultura che non mi è familiare, o su come mi sono documentata su esperienze di viaggi in luoghi esotici, o sui casi di donne vittime di violenza familiare per alcuni racconti che ho scritto. Chiedere, se possibile, a qualcuno che possa risponderti; o, se non è possibile, documentarti per mezzo di articoli, libri, e internet (con un occhio alle fonti!).

Rispetto


Avevo scritto, più sopra, che questa non è la storia di uno di quei consigli illuminanti che hanno ribaltato il mio modo riflettere e di scrivere. Anche in questo ti ho ingannato, o almeno, l'ho fatto in parte. Perché il consiglio che ho trovato più azzeccato e più utile per scrivere di un personaggio diverso da me senza renderlo una caricatura, è stato un suggerimento di una semplicità disarmante.

Chiunque sia l'individuo che si muove tra le tue pagine, qualunque differenza lo separi da te, avvicinati a lui con rispetto. Impara a guardare il mondo attraverso il filtro della sua cultura, della sua età o del suo genere senza cadere nei pregiudizi. Sii curioso, impara tutto quello che c'è da sapere. Poi lascia che siano lui, lei o loro a guidarti.

lunedì 23 aprile 2018

Le differenze contano

Benvenuto,

se stai leggendo queste righe, ho una notizia per te: tu sei un individuo unico, la tua forma, la data e il luogo della tua nascita, la somma delle tue memorie hanno fatto di te ciò che sei oggi. E ciò che sei oggi, è leggermente diverso da ciò che sarai domani.

"Capirai", potresti dirmi. "Hai scoperto l'acqua calda". Ma c'è un motivo se sto scrivendo qualcosa di così ovvio. Perché questa è la missione che voglio affidarti questo lunedì: trovare una differenza che renda il tuo personaggio ciò che è. Qui sotto trovi tutti i dettagli:

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
 
Inventa un personaggio che sia diverso da te in almeno una caratteristica fondamentale (sesso, età, luogo o anno di nascita distante da qui e ora...).

Decidi tu quale. Se vuoi, puoi aumentare la difficoltà e scegliere più di una caratteristica. E non fermarti solo alle più ovvie ma, per esempio, provare a immaginare come dev'essere trovarsi nei panni di un atleta paralimpico, di un criminale sociopatico, o di un genio della matematica, se per te la matematica è un mistero. L'importante è che la differenza non consista solo nel colore dei capelli o nel gusto di gelato preferito.

Scrivi una scena dal punto di vista di questo personaggio. Se non hai idee, un suggerimento: mettilo in una situazione che per te è familiare.

Prova a immaginare come ragiona e come agisce il tuo personaggio, quali problemi dovrà affrontare, su quali esperienze e conoscenze può contare. Massima libertà sul tipo di scena da scrivere se ti basta schioccare le dita per farti venire un'idea; ma se non sai da dove cominciare, immagina un luogo e una situazione che ti è familiare, metti al tuo posto il tuo personaggio, e sta' a vedere come se la cava.


Questa missione si autodistruggerà tra una settimana e mezza, perciò affrettati a completarla e inviare la tua scena nei commenti... ok, ok, scherzavo. Potrai tornare a usare questo esercizio come punto di partenza e ispirazione per ciò che scrivi, ma solo se posterai la tua scena entro il mercoledì della settimana prossima potresti essere scelto per presentare te stesso e le tue opere su queste pagine.

E se sei troppo timido o ancora non ti senti pronto a mostrare pubblicamente ciò che scrivi, ma l'esercizio ti è stato di una qualche utilità, fammelo sapere nei commenti. Basta anche solo qualche parola per sapere cosa ne pensi, o per dirmi che cosa vorresti vedere di più su La Piuma Tramante.

sabato 21 aprile 2018

Ottundere

Sono stata indecisa tra due verbi dal significato simile, ma dall'etimologia diversa: obnubilare e ottundere. Alla fine, sebbene obnubilare mi sembrasse più particolare, per le sue sfumature ho preferito il secondo. Ma non è detto che, prima o poi, non faccia la sua comparsa anche l'altro.

Ottundere [ot-tùn-de-re] v.tr. Privare qualcosa di intensità, di vivacità, intorpidire, offuscare.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Non è stato difficile trovare un personaggio a cui affidare questa parola. Il problema è stato arrivare al dunque. Ma quanto scrivo! Alla fine, taglia taglia, penso di essere riuscita a rendere l'atmosfera senza dilungarmi troppo.


L'infermiera si affacciò dalla soglia. Era troppo buio per vedere qualcosa. Trovò al tatto un interruttore e lo fece scattare, ma al clic non seguì alcuna luce. Aggrottò la fronte e lo premette di nuovo, più volte, come se davvero si aspettasse un risultato diverso. Infine prese lo smartphone e usò il chiarore dello schermo come guida nel buio.
Una lampadina pendeva dal soffitto assieme a una cordicella che terminava in un piccolo cappio. La donna la raggiunse, tirò la cordicella e la lampadina si accese.
Lo scantinato era in gran parte vuoto, ma quel poco che c'era le mise i brividi. A sinistra un letto con lenzuola macchiate e due paia di grosse catene assicurate alle pareti in corrispondenza dei piedi e della testiera. L'intonaco era graffiato da solchi profondi.
Sulla parete di fondo un laboratorio casalingo, con alambicchi, provette, pestelli, e decine di medicinali e ingredienti.
Quella stanza, e ciò che lui aveva detto, le ricordò in maniera inquietante la storia del Dottor Jekyll e Mister Hyde. Scrollò le spalle: era soltanto una storia. Sul banco del laboratorio, un diario dalla copertina nera. Non era ciò per cui era venuta, ma pensò che avrebbe potuto fare luce sui deliri paranoici dell'uomo che aveva soccorso.
"...la mistura mi ottunde i sensi. Riesco a stare sveglio, a mantenere il controllo, ma ho perso interesse per il mondo. Tutto è vuoto. Inutile. Non è ciò che volevo, ma sono vicino..."
"...un'emicrania lancinante, un dolore insopportabile, non mi lascia dormire. Il sumatriptan è l'unico che mi fa effetto. Ma non basta. Aumento la dose a 200 mg..."
"...bizzarro effetto collaterale. Il mio sangue..."
L'infermiera chiuse il diario. Lo aveva visto, il suo sangue: un fluido nero-verdastro che aveva spaventato tutti. Tutti, tranne lei.
– C'è una spiegazione scientifica per ogni cosa – si disse, ricordando un caso analogo con lo stesso farmaco. Poi, prima che quel luogo ottundesse anche i suoi sensi, recuperò le pillole che lui le aveva chiesto e se ne andò.

giovedì 19 aprile 2018

Malcolm, folletto goloso

(scheda personaggio dall'esercizio Dettagli segreti)

Oggi invece la scheda personaggio è dedicata a Malcolm Millipedegutter. Ma prima, il racconto che ho scritto su di lui.

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Malcolm Millipedegutter non esiste. Se lo era inventato mio fratello, quando eravamo bambini.
Era il suo amico immaginario e la sua scusa quando mangiava di nascosto i biscotti e voleva addossare a qualcun altro la colpa.
– Non sono stato io! – diceva. – È stato Malcolm Millipedegutter, lo giuro!
Poi correva ad appoggiare l'orecchio al muro. – È ancora qui, lo sento masticare. Venite a sentirlo, venite, è vero!
Io una volta ci avevo provato, ad ascoltare. Gli avevo dato retta. Com'era prevedibile, però, non c'era niente, nessun rumore, e mi ero sentita una stupida con l'orecchio incollato alla parete.
Mio fratello, col dito sulle labbra, aveva già la scusa pronta. – Ssshhh! Ha capito che lo stiamo ascoltando. Dobbiamo fare piano piano, aspettare un po', così ricomincia a mangiare...
Ma io a quel punto mi ero già stufata.
Mio fratello non faceva che parlare di Malcolm Millipedegutter, così nel tempo avevo imparato tutto su di lui. Avevo imparato che viveva nelle pareti di casa nostra. Che era vecchissimo, con la pelle marrone come quella degli alberi e tante rughe. Che sapeva parlare con i topolini e con le lucertole. Che non gli piacevano i gatti. Che aveva un cappello verde a punta, pantaloni di muschio e un gilet color giallo sporco. Che preferiva i biscotti con le gocce di cioccolato.
Alla fine avevo imparato a evitare mio fratello quando cominciava con la sua tiritera.
Lo evitavo anche quando lo scoprivo a bussare sulle pareti e parlare fitto fitto con il nulla. Era il suo momento di follia privata.
Lui ci credeva davvero. Ma credeva ancora a tante cose a quell'età: anche a Babbo Natale e alla Fatina dei Denti. Io, che avevo quattro anni di vantaggio su di lui, sapevo come stavano davvero le cose. E ne so ancora di più ora che sono adulta.
Malcolm Millipedegutter non esiste.
E allora che cos'è questa creaturina bruna che mi fissa con occhi neri e tondi come capocchie di spilli sotto un cappello verde a punta, si toglie dalle labbra il pezzetto di biscotto con gocce di cioccolato, lo indica con l'altra mano dalle dita lunghe, sottili e nodose come ramoscelli e mi chiede, con una vocina gracchiante: – Di questi, ne hai ancora?


Come lavoro su un personaggio? Se come me trovi difficile decidere ogni dettaglio in anticipo, il mio metodo ti può essere d'aiuto. Di solito, a ispirarmi è un concetto chiave, che quasi mai subisce modifiche nel corso della stesura e della revisione. Nel personaggio di lunedì, Patrizio Boscoscuro, era un organismo simbiotico diverso dal tipo più usato nei racconti di fantascienza (niente personalità doppia, quindi). In questo caso, una creatura fantastica ritenuta immaginaria finché non si palesa.
Attorno all'idea principale, mi costruisco delle ipotesi. Ipotesi sul suo aspetto, sul suo carattere, su eventi del suo passato. Queste sono più fluide rispetto al "nucleo del personaggio", e possono venir smentite o confermate durante la stesura del racconto.
Poi inizio a scrivere, e qualunque cosa mi salti in mente, la aggiungo. Il nuovo particolare contraddice una di quelle ipotesi che avevo immaginato a priori? Non importa, va bene lo stesso. Una volta finito, cerco i dettagli che stonano col resto, li elimino o cerco di capire se possono essere giustificati da qualcos'altro, qualcosa di non detto, e vedo se quel qualcosa può restare tale o deve essere rivelato. Cerco di rendere il tutto il più coerente possibile, e come un detective, deduco collegamenti o aspetti del personaggio che non avevo deciso a priori ("Ah, ecco perché fa così, perché quella volta gli è capitato questo...").
Come lunedì, in corsivo i dettagli che non ho rivelato nel racconto. Sono tutte ipotesi a priori che hanno influenzato il comportamento del personaggio e sono quindi rimaste vere, oppure dettagli che ho estrapolato dopo da ciò che mi è venuto da scrivere.


Volto


Nome: Malcolm Millipedegutter. O almeno, questo è il nome dice di avere agli esseri umani di cui si fida. Il suo vero nome è impossibile da pronunciare per una voce umana.
È un folletto arboreo, e per questo il suo aspetto ricorda molto quello di un albero. Ha la pelle bruna come la corteccia degli alberi, occhi neri e tondi come capocchie di spilli, dita lunghe, sottili e nodose come ramoscelli, tante rughe. La sua voce è gracchiante, i suoi anni si contano nell'ordine delle centinaia, ma è da circa ottanta che vive tra gli esseri umani, e anche se non ne ha bisogno, durante quel periodo ha iniziato a indossare abiti che ricordano quelli dei suoi "ospiti" umani: un cappello verde a punta, pantaloni di muschio e un gilet color giallo sporco.
Tra le sue capacità c'è quella di diventare invisibile.

Mente


Goloso, curioso, molto intelligente, tanto da non aver problemi a "decifrare" qualunque lingua, umana e no. Amante del divertimento e degli scherzi, è dispettoso e spesso mostra un atteggiamento infantile. Non sempre dice la verità, anzi, a volte, come proprio come i bambini, "inventa" qualcosa solo per gioco, senza secondi fini. Preferisce rivelarsi ai bambini, ma qualche volta, per seguire la gola o un impulso del momento, capita che si faccia vedere anche da un adulto.

Cuore


Malcolm si è ormai adattato a vivere tra gli esseri umani, e non cerca più di ritornare da dove è venuto. I suoi desideri sono: avere sempre un biscotto da sgranocchiare, meglio se con gocce di cioccolato, e fare piccoli dispetti agli ospiti umani che non gli piacciono (solitamente si tratta di quelli arroganti, o i saputelli scettici come la protagonista del racconto).

Anima


Malcolm Millipedegutter è nato e vissuto in una foresta di larici, finché l'albero che aveva eletto a sua dimora non è stato tagliato e il suo legno usato, tra le altre cose, per fare un tavolo. Malcolm lo ha seguito e ha "infestato" la casa in cui il tavolo è stato sistemato, per convincere gli esseri umani a riportare il legno, e quindi anche lui, nel luogo da dove proviene.
Grazie al suo dono di rendersi invisibile, è stato creduto uno spettro, e i padroni della casa hanno interpellato una medium, che Malcolm è però riuscito a far scappare.
Durante gli anni della sua "infestazione" ha cominciato a far sparire vari cibi e oggetti, tra cui i biscotti per i quali ha sviluppato una vera e propria ossessione.
L'unico che è stato quasi riuscito a farlo scappare dalla casa è stato un gatto, che gli ha dato la caccia finché Malcolm non si è alleato con le altre sue "vittime", topi e lucertole, e ha ribaltato la situazione, convincendo il gatto a cambiare aria. Da allora, Malcolm non sopporta i gatti.
Ora vive nelle intercapedini del muro della casa.
Il gilet giallo è un regalo di una delle bambine che ha abitato assieme a lui.

lunedì 16 aprile 2018

Lui ha un segreto

(scheda personaggio dall'esercizio Dettagli segreti)

Prima di rivelarti i suoi segreti con una scheda personaggio, ti ripropongo il racconto con cui Patrizio Boscoscuro ha esordito su questo blog.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Quando cominciai a lavorare al Carpe Diem Café, Patrizio Boscoscuro lo frequentava già da molto tempo. Questo, ovviamente, lo seppi solo più avanti. Nei miei primi giorni come cameriera sapevo solo che era un individuo sgradevole, diverso dal resto dei nostri clienti. Erano quasi tutti studenti universitari, ciarlieri e allegri, o impiegati che si fermavano per un caffè e sparivano in fretta.
Lui no, non era così.
Sedeva sempre allo stesso tavolo vicino alla finestra. Veniva da solo, ordinava qualcosa (di solito, niente che contenesse caffeina o alcool, e anche questo era bizzarro per uno dei nostri clienti) e restava lì anche una mezza giornata, con la sola compagnia del suo smartphone e di un blocchetto per gli appunti dalla copertina nera. Era più vecchio degli studenti che passavano da noi il tempo tra una lezione e l'altra. Mi sembrò sulla trentina, perciò all'inizio pensai che fosse un qualche tipo di professionista, uno di quelli dal nome inglese e complicato. Pensai che stesse lavorando.
Ma quando sbirciai il blocchetto, nel portargli un tè al ginseng, scoprii che aveva diviso la pagina in due colonne, "vecchio" e "nuovo". La prima colonna era quasi piena, nella seconda aveva scritto a malapena due righe.
Non riuscii a leggere il contenuto delle colonne, perché lui alzò gli occhi dallo smartphone, chiuse il blocchetto e mi liquidò con un affettato: – Puoi andare.
Quella fu la prima volta che mi diede sui nervi. Ma non fu l'unica.
Ogni tanto lo sorprendevo a fissarmi. Patrizio ha occhi scuri, di una sfumatura troppo fredda per essere definita marrone. Sono quasi più sul grigio, in realtà. Questo, unito al suo modo di fissare così intenso, senza quasi battere ciglio, come se ti stesse valutando, rendeva la cosa estremamente inquietante.
Lo riferii a una delle cameriere che lavoravano al café da più tempo, chiedendole se dovevo preoccuparmi, se per caso non si trattasse di un maniaco o qualcosa del genere.
– Sei proprio sicura che stia guardando te? Forse ti sei sbagliata, io non l'ho mai visto alzare gli occhi dal cellulare. Ad ogni modo, stai tranquilla, è del tutto innocuo.
Non mi fidai della sua rassicurazione. Parlando con le altre, venni a sapere il suo nome e pensai che fosse appropriato. Aveva proprio l'aria da Patrizio, quel fare snob, da nobile che il suo nome suggeriva. Era biondo, sempre perfettamente rasato, e indossava spesso un completo da uomo d'affari, camicia bianca, giacca e cravatta. Qualche volta, molto raramente, passava da noi con un paio di jeans e un maglione color crema, ma anche vestito così l'impressione era la stessa di sempre: un'eleganza altezzosa che traspariva da ogni gesto, da ogni occhiata, e dalle poche frasi che gli occorrevano per ordinare qualcosa con un tono di voce sgarbato, con un leggero rotacismo.
Continuai a sorprenderlo a fissarmi. Non sapevo perché lo facesse, che cosa volesse da me o quali pensieri sul mio conto nascondesse dietro i suoi occhi grigi.
Un giorno presi coraggio, mi sedetti di fronte a lui e sbottai: – Ora basta. Si può sapere che cavolo hai da fissare?
Lui mi rivolse lo sguardo indagatore di sempre e mi chiese, con un candore che giudicai fasullo: – Lo hai notato?
– L'ho notato sì, l'ho notato! E sarebbe meglio se tu la smettessi...
Patrizio scoppiò a ridere. Lo scrutai a occhi socchiusi, sentendo montare la rabbia. Quello che disse dopo mi sorprese.
– Scusa, non mi capita spesso. Questa è una novità. Gli altri non vedono mai quando li guardo.
Quello fu il giorno in cui capii che la mia prima impressione su di lui era completamente errata. Che la sua facciata di arroganza era solo questo: una facciata. Che conoscendolo meglio, il suo nome sembrava non descriverlo affatto. Scoprii il suo senso dell'umorismo, e compresi che, come la sua freddezza, aveva dovuto svilupparlo per affrontare il mondo sapendo quello che lui sapeva.
Patrizio e io parlammo a lungo, sia in quell'occasione, che in altre. Mi spiegò il senso delle due colonne, e il perché della prima quasi piena. Faticò a convincermi che non stava mentendo, che le assurdità che mi diceva erano vere. Mi spiegò da dove gli veniva la sensazione che tutto fosse già stato visto, fatto, vissuto.
Patrizio Boscoscuro ha un segreto. Ma sarei pazza a rivelartelo. E, tanto, se te lo dicessi, non mi crederesti.


Puoi trovare qui il secondo racconto, Perdersi a Natale.


Ognuno ha il suo metodo, e non sono tanti i dettagli che decido a priori. Il segreto di Patrizio Boscoscuro, ad esempio, mi era chiaro fin dall'inizio. Come quel dettaglio influenzasse la sua personalità, l'ho scoperto scrivendo. Qui sotto riassumo quello che so di lui (in corsivo i dettagli che non ho rivelato, ma che influenzano Patrizio Boscoscuro nei due racconti).


Volto


Nome: Patrizio Boscoscuro.
Ha 27 anni, ma dà l'impressione di essere più maturo rispetto ai suoi coetanei.
Ha occhi scuri, di un colore freddo, tendente al grigio. Capelli biondi, mantiene il volto curato e senza barba. Soffre di un leggero rotacismo.
Abiti: è solito indossare un completo elegante, camicia bianca, giacca e pantaloni scuri, cravatta sobria. Più raramente, jeans e maglione color crema. Può permettersi di acquistare abiti su misura in una sartoria.
Ha una cicatrice che nasconde sotto gli abiti (alla base della gola o sullo stomaco? Questo non lo so ancora).

Mente


Tende ad allontanare le altre persone, non si fa problemi ad apparire sgarbato, freddo o asociale. È un solitario e un osservatore, tanto da aver sviluppato l'abitudine di fissare gli altri quando non lo guardano. Grazie alle sue "vite precedenti" è in grado di notare schemi di comportamento e anticipare le mosse degli altri, e generalmente nulla lo sorprende; ma nel raro caso in cui accade, è una sorpresa piacevole, perché spezza la noia del sapere sempre tutto. Sapere quanto il passato si ripete lo ha portato a sviluppare una certa dose di umorismo, che però non emerge spesso: solo quando si lascia andare ed è a suo agio con chi ha di fronte.
Ha imparato a essere previdente, e a non sprecare tutte le "novità" in un colpo solo, ma a centellinarle poco per volta, riservandole alle occasioni speciali.

Cuore


Il suo obiettivo è vivere una vita non prevedibile, sperimentare cose nuove, ma senza essere troppo ingordo: Patrizio intende lasciare qualcosa anche a quelli che verranno dopo di lui. Da quando ha rivelato il suo segreto alla ragazza del Carpe Diem Café inoltre, gli interessa scoprire se può funzionare una relazione con qualcuno che lo conosca così a fondo.

Anima


(Qui è dove le cose si fanno davvero strane...) L'idea di fondo che avevo per il personaggio era quella di rivisitare il classico "simbionte" da fantascienza in modo che il legame tra le due creature non generasse due personalità distinte che possono dialogare o alternarsi nel controllo del corpo, bensì un'unica entità che condivide i ricordi delle vite precedenti sotto forma di sensazioni di déjà vu e di conoscenze implicite. Perciò ho immaginato un simbionte che provenisse da un periodo antecedente alla parola, estremamente longevo o presumibilmente immortale. Ha accumulato ricordi attraverso innumerevoli vite, passando da un ospite all'altro attraverso tutta la storia umana.
Quanto a Patrizio Boscoscuro, era un bambino come gli altri, che viveva in un condominio con i genitori di fronte a un eccentrico dirimpettaio, un signore molto strano con uno bizzarro gusto nel vestiario ma sufficientemente gentile e innocuo da affidargli il ragazzino in caso di necessità.
Patrizio aveva dodici anni quando il vicino, in punto di morte, gli ha passato il simbionte e il resto del suo patrimonio. Da un giorno all'altro Patrizio ha iniziato a capire meglio gli adulti, ma anche a trovare tante cose "da bambini" molto meno divertenti. Si è fatto serio, più maturo dei suoi anni, ma anche perennemente frustrato dalla sensazione di noia.
Un paio di anni dopo ha cominciato ad affrontare la sua situazione in maniera più "scientifica", a tenere appunti in un blocchetto, classificando le esperienze che gli sembrava di aver già vissuto e quelle che gli parevano sconosciute. Si è allontanato dalla famiglia di origine, e ha approfittato degli anni dell'università per viaggiare e trovare una sua indipendenza. Non gli piace restare a lungo in un posto e si è trasferito più volte.
Da quando è arrivato in città frequenta il Carpe Diem Café nei giorni feriali, dove siede sempre allo stesso tavolo, non ordina caffè né alcolici, bensì le novità e le bevande più inconsuete del menù. Passa il suo tempo lì non soltanto a osservare i clienti e a compilare le liste del suo blocchetto: sfrutta la sua conoscenza degli schemi e del comportamento umano anche per giocare in borsa e scommettere, o lavorare come consulente, in modo da poter conservare del denaro da poter consegnare al suo successore. Nei giorni festivi si concede un "cambiamento di programma" e sceglie un altro tra i locali della città, mentre festeggia il Natale in modo non tradizionale, scegliendo una località sconosciuta in cui perdersi.
Quando pensa al simbionte, lo sente come una parte di sé, come un arto, o un polmone, o il cuore, e in questo modo lo ha spiegato alla ragazza del Carpe Diem Café. Non lo descrive in termini di io/lui più di quanto una persona normale non potrebbe parlare così di un proprio organo. Per quanto riguarda i precedenti ospiti umani del simbionte, Patrizio li percepisce come sue "vite precedenti", "altri sé", di cui però non ha che vaghe reminiscenze. Pensa anche, ogni tanto, ai suoi "sé futuri", verso cui sente il dovere di lasciare buoni ricordi e tante esperienze da vivere per la prima volta, sapendo che almeno una parte di lui sopravvivrà nel simbionte.

sabato 14 aprile 2018

Neghittoso

Con le belle giornate di primavera e il fine settimana in corso, questa mi sembrava proprio la parola adatta! L'avevi mai sentita?

Neghittoso [ne-ghit-tó-so] agg. Che si lascia negligentemente sopraffare dalla svogliatezza. Accidioso, indolente.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Ho provato a pensare a quale dei miei personaggi fosse particolarmente neghittoso e... mi è venuta in mente lei. Solo che la foto scelta a questo punto non c'entrava per niente, e mi aveva già suggerito un'immagine. Quindi ho provato a inventare una storia alternativa per questo personaggio, a scrivere che cosa avrebbe potuto combinare se non fosse accaduto quello che ha dato inizio alle sue avventure.


– Tia? Tia!
Era già un'ora che chiamavo e cercavo, e di lei nessuna traccia. – Ma dove sarà andata a cacciarsi, stavolta... – borbottai. Alzavo gli occhi a ogni albero che passavo, sperando di scorgere la sua treccia rossa. Era sempre stata un maschiaccio, sempre ad arrampicarsi o azzuffarsi coi ragazzini, ed era un miracolo se riuscivo a tenerla qualche minuto in casa per aiutarmi o acconciarle i capelli.
– Stai cercando quella disgraziata di tua figlia? – mi chiese Ahrim, protendendosi oltre lo steccato. – L'ho vista andare assieme a Corben, ad aiutarlo sui campi.
Quelle parole mi suonavano strane, riferite a Tia. Possibile che si fosse decisa finalmente a lavorare? Mi sarebbe andato bene. Anche se avesse preferito la vita da contadina alle pratiche da erborista della mia famiglia.
Seguii le indicazioni di Ahrim e la trovai sdraiata tra l'erba, in un felice abbandono, a metri di distanza dagli altri.
– Che cosa stai facendo? – le chiesi, protendendomi sopra di lei.
Tia aprì gli occhi. – Non si vede? Sto aiutando le piante a crescere.
Eccola, la mia neghittosa figlia. Chissà cosa mi ero aspettata di trovare.
– Non ci crederai sul serio, spero. Avanti, alzati, c'è così tanto da fare se vuoi davvero dare una mano.
Tia scosse la testa. – Io sono la Figlia della Terra, la Promessa di Primavera. Non insinuare che io non sappia quello che sto facendo, o che il mio lavoro non sia importante.
Incrociai le braccia. Quando s'impuntava era difficile farle cambiare idea. Era testarda come un mulo. Maschiaccio, svogliata e testarda. Tutto il contrario di me.
Ma le volevo bene. Non avevo mai smesso di amarla, come non avevo smesso di amare suo padre, anche se ci era stata concessa una notte soltanto.
Guardai il prato dove l'avevo immaginata bella, felice e neghittosa, e mentre gli occhi mi s'inumidivano mi chiesi se lei fosse diventata davvero così. Erano passati anni da quando l'avevo persa di vista al mercato, ma io non mi rassegnavo a lasciarla andare.
Non avrei mai smesso di cercarla.

giovedì 12 aprile 2018

Sperimentare

Se scrivi da un po' di tempo, avrai sicuramente sviluppato un tuo metodo ormai consolidato. O meglio, una serie di metodi. Avrai quindi le tue preferenze su come e a cosa ispirarti per sviluppare un'idea, creare un personaggio, fare ricerca e pianificare la trama della storia (o non pianificarla affatto e lasciare che sia il narratore a mostrarti cosa accade). E avrai il tuo particolare modo di scovare i problemi durante fase di revisione e correggerli. Se funzionano per te, se il risultato finale è apprezzato da qualcuno di diverso da te stesso, dalla tua cerchia di conoscenze più strette o da un estraneo che cela un interesse dietro alle sue lodi, non permettere a nessuno di dire che lo stai facendo nel modo sbagliato. Fossi anche uno di quei rari individui che ha bisogno di cominciare dall'ultima parola e tornare indietro, lavorando sul testo alla rovescia.

La scrittura è un mezzo espressivo così flessibile e variegato, che esistono un'infinità di modi per arrivare al risultato finale, e ciascuno di essi è valido, purché ti permetta di arrivarci. Come si suol dire, il fine giustifica i mezzi. Ma prova a ricordare quanti tentativi hai fatto prima di costruire il tuo set di "strumenti del mestiere". Quanti ne stai facendo, se non sei ancora arrivato al punto di non dovere, o volere, più cercare altro. Quante strade hai percorso e poi scartato, quali metodi che ti sembravano buoni all'inizio hai poi superato, quanti non hai nemmeno voluto provare perché "non facevano per me".

Sei un pianificatore? Qualcuno che ha bisogno di avere tutto sotto controllo, di compilare schede dei personaggi, stilare una scaletta dettagliata, fare schemi e tenere cartelline intere di ricerca? Il metodo di Andrea D'Angelo che ho condiviso con l'esercizio di lunedì, Dettagli segreti, potrebbe fare per te, con la sua attenzione ai vari aspetti del personaggio come il volto e il fisico, la psicologia, i desideri e gli obiettivi e infine la storia passata, il cosiddetto background. Con la sua insistenza nell'essere consapevole di ogni dettaglio, anche di quelli che poi non entreranno a far parte della storia, già prima di iniziare, potrebbe entrare di diritto tra la tua documentazione precedente alla scrittura vera e propria del romanzo o del racconto.

Ma se sei un improvvisatore, mi dirai: che cosa me ne faccio di uno strumento del genere? Io che vado dove mi porta la storia, io che inizio lasciando carta bianca ai personaggi e che preferisco scoprirli man mano che vado avanti, come posso impiegarlo?

Ti dirò... ti capisco. Ho iniziato molto tardi a fare scalette delle mie storie, che uso, più che come una serie di punti prefissati da rispettare, come strumento mnemonico se sono costretta a mettere da parte un'idea. Le mie scalette sono sempre flessibili, ma almeno, se non mi ricordo più cosa volevo farne di quel personaggio e di quel mondo, ho un punto di partenza da buttare all'aria. Le mie schede dei personaggi sono... sparse un po' dappertutto, tra le pagine della storia e alcune scene che ho scritto in preparazione, magari su episodi chiave del loro passato (vedi? Ecco il quarto punto dello schema di Andrea D'Angelo, il vissuto del personaggio, misto un po' agli altri tre). Le mie ricerche sono in buona parte nella mia testa. E quello che non mi ricordo, so dove trovarlo. Forse. Insomma, più che improvvisatrice, sono caotica.

Ma quando si tratta di scrivere, non disdegno di provare qualcosa di nuovo. Anche qualcosa di difficile, così, come fosse una sfida. Anche qualcosa che di primo acchito mi fa dire: non riuscirò mai a fare qualcosa di buono con questo. Perché non si sa mai, e quello strano esercizio proposto in un corso potrebbe diventare il mio nuovo metodo preferito. O almeno, trovare il suo posto nella mia cassetta di attrezzi del mestiere (sì, sto citando On Writing di Stephen King, e non smetterò mai di consigliarlo).

Perciò sperimenta. Apri i tuoi orizzonti. Non ti fossilizzare su un singolo percorso. Quello che già fai non è sbagliato, ma chi ti dice che non lo sia anche quello che non fai?
Riflettici. E scrivi. Non è un ordine, ma un invito.

Come è un invito quello di cominciare a delineare un personaggio con l'esercizio Dettagli segreti e di scriverlo nei commenti, o almeno di farmi sapere com'è andata.

lunedì 9 aprile 2018

Dettagli segreti

Buon lunedì! Pronto per un nuovo esercizio?

Finora abbiamo esplorato assieme varie sfaccettature dei nostri eroi di carta: il nome, l'aspetto fisico, i tic e i segni particolari, la psicologia, il passato, la professione, il modo di parlare, gli obiettivi, le paure...

Oggi è tempo di mettere insieme il tutto. Di ricomporre il tuo personaggio. Di osservarlo in ogni sua sfaccettatura. E di conoscerne anche i segreti che terrai per te. Questa è la missione che ti affido.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
 

Descrivi questi tratti del tuo personaggio: l'aspetto fisico, la psicologia, gli obiettivi e il vissuto.

Come ho imparato da Andrea D'Angelo (trovi qui i suoi articoli): volto, mente, cuore e anima dei personaggi. Sono questi i dettagli fondamentali che li renderanno vivi e credibili agli occhi di chi legge. Conoscere il loro aspetto fisico (abbigliamento compreso), il loro modo di pensare, ciò che desiderano ottenere e il passato che hanno alle spalle è ciò che sta alla base per poter scrivere di loro. Anche se non è detto che debba arrivare tutto subito, e soprattutto, che tutto ciò che hai immaginato debba entrare nella storia. Anzi, a questo proposito...

Inserisci almeno dieci dettagli da non rivelare nella storia, ma abbastanza importanti da influenzare azioni e pensiero del personaggio.

Non forzare tutto ciò che hai immaginato a rientrare nel tuo racconto o romanzo. Solo perché hai impiegato del tempo a idearlo, non significa che sia necessario raccontarlo. Anzi, un pizzico di mistero non potrà che fare bene: lascia a chi legge qualcosa da immaginare e da intuire, a partire da ciò che il personaggio fa o dice. Quelle che ti chiedono di scoprirle a poco a poco sono le storie più interessanti!


Ora lascio la parola a te. Mostrami il volto dei tuoi personaggi, permettimi di leggere la loro mente, fammi ascoltare il battito del loro cuore e rivelami la loro anima. In poche parole, scrivimi un commento! Anche se non te la senti di mettere a nudo un tuo personaggio, fammi sapere se questo esercizio ti è stato utile o ti ha ispirato a scrivere nella privacy della tua stanza.

Per finire, ti ricordo che giovedì della settimana prossima a un personaggio e al suo autore (con una breve biografia e collegamento a blog e pagine personali/altre opere edite, per chi lo desidera) sarà offerto uno spazio all'ombra della Piuma.

sabato 7 aprile 2018

Mucido

Questa parola dal suono buffo rappresenta bene il suo significato, con la sua assonanza con, per esempio, parole come muco e mucillagine. Mi dà proprio l'idea di qualcosa di umido e quasi appiccicoso... a te no?

Mucido [mù-ci-do] agg., s. non com. 1. agg. Di cosa che è ammuffita. Stantio. 2. s.m. (solo sing.) Sapore, odore di muffa.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Per illustrare questa parola ho riesumato un vecchio racconto e i suoi protagonisti. Non volendo riscrivere la scena, ho scelto di raccontarla in una sorta di epilogo.


– Raccontami quella storia! – esclamò la bambina. – Per favore...
Distolsi gli occhi dalla lucertola, le sorrisi e la presi un po' in giro. – Quale storia? Quella del bruco che divenne farfalla, o quella del ranocchio, o...
– Lo sai quale storia. – La bambina sbuffò, si adagiò tra l'erba e incrociò le braccia sotto al mento. Mi guardò dal basso. – La tua storia.
Risi e non mi feci più pregare. L'avevo raccontata tante volte dal giorno in cui lei era entrata nella mia vita, ma non ci stancava mai. – Ascoltami bene, perché sto per dirti come l'uomo cattivo mi prese e mi portò nel suo castello dove tutto era in rovina, le pareti mucide, il letto dal baldacchino tarmato, perfino il suo volto... sembrava si stesse sciogliendo!
Alzai le mani fingendo di ghermirla. Lei si coprì gli occhi e le sfuggì un gridolino.
Lo so, stavo un po' esagerando. A ripensarci ora, la mia disavventura non mi pare così terribile. Ma quando la si racconta, una storia va raccontata bene.
– E il muco verde! –  mi esortò la bambina, togliendo le mani dagli occhi.
Storsi la bocca. – E il liquido verde nella brocca d'argento, sì, quello che ti fa cambiare. Anche quello sapeva di mucido, era disgustoso. Tu non te lo ricordi perché eri troppo piccola.
– Piccola come una sola farfalla? – La bambina strinse le dita e mi guardò da quella fessura.
– Non così piccola! – replicai ridendo. – Puzzava, era torbido, e di un bruttissimo verde muco. Non lo volevo bere. Ma l'uomo cattivo me lo fece bere mentre dormivo, e dopo...
– Ma lui non era davvero cattivo – mi anticipò la bambina. Allungò la mano.
Gliela strinsi. – No. Non era davvero cattivo. Era soltanto... solo.
Perso nei suoi occhi fiduciosi, non mi accorsi del ghepardo che le balzava addosso da dietro la schiena. Lei sì, e fu svelta a disperdersi in uno sciame di farfalle per poi ricomporsi in piedi, accanto a noi.
– Ancora quella storia? – mi chiese colui che ci aveva scelti come compagni, nel riprendere la forma umana.
Li strinsi entrambi. – Sempre quella storia.

giovedì 5 aprile 2018

Irma la farfalla

(scheda personaggio dall'esercizio Equilibrio)

Stavolta proverò a creare un personaggio partendo da zero, senza appoggiarmi a un'idea precedente o a un brano già scritto.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


La signorina Irma
(Progetto di personaggio per un racconto di fantasia)


Caratteristiche negative:
- 3 è assolutamente convinta di poter diventare una farfalla, se solo lo desidera intensamente. E non esita a parlare ad altri di questa convinzione (->amici e parenti la credono un po' matta, qualcuno la evita)
- 3 tende a pensare ad alta voce (-> qualcuno potrebbe sfruttare questa sua "trasparenza")
- 3 ingenua e fiduciosa (->come sopra, la rende vittima di individui poco onesti)
- 5 bella, tanto da attirare attenzioni indesiderate (->a rischio soprattutto verso la fine del racconto)
- 5 fisicamente non molto forte, in particolare verso la fine del racconto (->ferita?)
- 7 distratta, con la testa tra le nuvole, non ascolta un avvertimento e non guarda dove mette i piedi (->pericolo di vita)


Caratteristiche positive:
+ 1 gentile (->qualcuno ricambia?)
+ 3 fantasiosa, riesce a ideare soluzioni creative ai suoi problemi
+ 5 estroversa, fa amicizia facilmente (->incontra qualcuno che può aiutarla)
+ 5 si intende di entomologia per hobby (utile quando si hanno le dimensioni di un insetto)
+ 5 una voglia dalla forma caratteristica su una spalla, che mantiene anche "dopo" (-> qualcuno può riconoscerla)
+ 7 quella sua convinzione di poter diventare una farfalla? Alla fine, quando un paio di ali le farebbero comodo, si scopre che aveva ragione (->le salva la vita)


Ecco qui il mio personaggio. Dalle caratteristiche che le ho dato, riesci a immaginare la trama del racconto di cui potrebbe essere protagonista? Prova a scrivere il riassunto nei commenti.

L'appuntamento è per il prossimo lunedì con un altro esercizio, nel frattempo ti auguro buona scrittura e tante avventure per i tuoi personaggi.

lunedì 2 aprile 2018

Mikor

(scheda personaggio dall'esercizio Equilibrio)

Come primo esempio volevo mostrarti la scheda di un personaggio che ho creato anni fa quasi per caso, provando per conto mio un gdr descritto in un fascicolo scaricato online (non ho più il link originale, ma se ti incuriosisce puoi cercare "Ways of Chaos" di Lord Raphael von Matsch). Già mentre lo compilavo ho cominciato a immaginare scene ed eventi che la riguardavano, perciò ho salvato la scheda, poi ho disegnato un continente, poi ho trascritto appunti sull'ambientazione... e prima di rendermene conto, avevo una marea di personaggi, un mondo con una sua geografia e storia, e una trama... e tutto perché un giorno ho compilato una scheda, solo per prova, senza neanche l'intenzione di usarla per giocare.

Scheda personaggio del sistema di gioco "Ways of Chaos" di Lord Raphael von Matsch.

Se sei iscritto al gruppo Non solo scrittura - Le storie della Piuma Tramante (https://www.facebook.com/groups/525191217825250/) potresti riconoscere Mikor come "quella delle risposte strane". Tanto per darti un esempio:

Domanda: "Chi è la persona che non avresti mai voluto incontrare?"
Mikor: "Io no sa chi. Galkna dice che tutti insegna qualcosa. Anche chi fa male insegna. Galkna imparato tanto da umani."

Questa scheda è stato il punto di partenza, naturalmente da allora il personaggio si è sviluppato per conto suo, e alcune cose sono cambiate, mentre per altre ho trovato una spiegazione in aspetti del suo background che non avevo considerato mentre la scrivevo. Ma è iniziato tutto da qui.


Ora tocca a te, ti va di provare a ideare il tuo personaggio?
Se lo hai creato scrivimi un commento, potresti diventare (assieme a lui o lei) il protagonista del post di giovedì!