giovedì 29 febbraio 2024

Audioracconto - Le tre sorelle


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Snapwire da Pexels


E se Biancaneve, Cenerentola e Pelle d'asino fossero sorelle?

Le tre sorelle
(racconto breve adatto ai bambini e perché no, anche agli adulti!)


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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/09/le-tre-sorelle.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musica: Renaissance di Audionautix (http://audionautix.com)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=pNIU0shf05c);
Tema di Biancaneve:
Poison Apple di Quincas Moreira (https://soundcloud.com/holfix)
dal canale No Copyright Music (https://www.youtube.com/watch?v=p2iKWuob11Q);
Tema di Pelle d'asino:
Achaidh Cheide di Kevin MacLeod (http://incompetech.com)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=lminZsjzrWwhttps://www.youtube.com/watch?v=jwdnryXD8mQ);
Tema di Cenerentola:
Relent di Kevin MacLeod (http://incompetech.com)
dal canale Kevin MacLeod Archive (https://www.youtube.com/watch?v=1v8FZmBjhvk);
Tema dei principi:
Renaissance Castle di Doug Maxwell & Media Right Productions
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=vv1CB2KesCA).

Immagini di: Snapwire (https://www.pexels.com/it-it/foto/baviera-castello-castello-di-neuschwanstein-germania-7004/), JJ Jordan (https://www.pexels.com/it-it/foto/foto-di-donna-che-guarda-mentre-si-tiene-un-bastone-di-legno-3095593/), ンゴア 竜 (https://www.pexels.com/it-it/foto/principessa-12793883/), Vika Glitter (https://www.pexels.com/it-it/foto/moda-donna-fiori-giardino-8631703/), Zayceva Tatiana (https://www.pexels.com/it-it/foto/donna-blu-azzurro-castello-12721401/), Melike Benli (https://www.pexels.com/it-it/foto/moda-scarpe-nozze-sposa-8633318/), Leah Newhouse (https://www.pexels.com/it-it/foto/mani-donna-apple-tenendo-9675763/), Clem Onojeghuo (https://www.pexels.com/it-it/foto/cappotto-di-pelliccia-marrone-221443/), da Pexels, distribuite ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).
Foto di Adina Voicu (https://pixabay.com/it/photos/bianco-come-la-neve-principe-mela-1478804/), Kateřina Hartlová (https://pixabay.com/it/photos/medievale-cavaliere-monarch-3947822/), FotoRC (https://pixabay.com/it/photos/cavaliere-moschettiere-attraente-2117725/), da Pixabay, distribuito ad uso gratuito (https://pixabay.com/it/service/license-summary/).

lunedì 26 febbraio 2024

Ologrammi, arance blu e vecchi libri


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Foto di Ali Pazani da Pexels


Dovevo ancora abituarmi alla mia nuova vita. Certe volte mi svegliavo pensando di essere a casa, nel mio tempo, di essere ancora un essere umano, poi sentivo che c'era qualcosa che non andava nel mio corpo, che le gambe erano troppo magre e spigolose, o nel toccarmi la faccia sentivo le guance incavate e mi chiedevo dove diavolo fosse finito il mio naso, e quando aprivo gli occhi eccomi lì, l'Aberrazione più strana che si fosse mai vista nella Riserva. Un incrocio tra un pezzo di carbone e una mummia.
Kàli era paziente con me, e tutti alla Riserva erano stati gentili, ma io faticavo ad adattarmi a quel cambiamento. Era andata un po' meglio da quando avevo scoperto, in maniera del tutto casuale, di essere in grado di trasformarmi nelle varianti umane delle altre Aberrazioni quando le toccavo, anche se non riuscivo a mantenere il loro aspetto per più di qualche ora, e di sicuro non ci riuscivo quando dormivo. Kàli mi prestava spesso le sembianze della sua variante umana, che chiamavano Acquatica, e io le ero grato perché tra tutti gli abitanti della Riserva lei sembrava quella più umana. Dovevo solo sopportare il fastidio di avere le branchie e un po' di squame, non dappertutto per fortuna, ma a parte quello e la voglia irresistibile di tuffarmi nel lago della Riserva, mi sembrava di essere tornato il vecchio me.
Una mattina, qualche giorno dopo la scoperta della mia natura camaleontica che aveva reso un po' più tollerabile la mia nuova vita, Kàli mi svegliò di buonora.
– Mettiti questo – mi disse, presentandomi un ampio mantello scuro con un cappuccio. – Andiamo al mercato e tu vieni con noi.
Non osai chiederle se non si fidasse a lasciarmi nella Riserva mentre lei e un paio degli altri residenti erano fuori casa. Quello era un diversivo gradito anche per me, sebbene mi rendesse anche molto nervoso. L'ultima volta che ero stato a Metronas, ero ancora un essere umano.
Finsi di ascoltare le raccomandazioni di Kàli mentre mangiucchiavo la colazione che lei mi aveva costretto a portarmi dietro, da quanta fretta aveva di partire, e nella mia mente giravano gli scenari orribili di tutto quello che poteva andare storto mentre mi trovavo in mezzo a una folla di estranei.
Così, quando l'antiquato furgoncino con cui l'altra volta avevamo raggiunto la megalopoli futuristica si fermò nel parcheggio semivuoto di fronte a un immenso capannone nel bel mezzo del nulla, io ero l'unico sorpreso di trovarmi lì.
– Benvenuto nel Grande Mercato Olografico Occidentale! – annunciò Kàli, dandomi la mano mentre scendevo per innescare la mia metamorfosi.
In quei primi giorni, ancora non ne avevo il controllo.
– Olografico? – le chiesi, e Kàli annuì.
– Ti ho già spiegato come funziona – mi disse, spiegazione che io mi ero perso mentre pensavo i fatti miei durante il viaggio. – E ora andiamo, e vedi di non farti notare.
Sollevai il cappuccio sulla testa e tenni le mani ai miei fianchi, sotto la stoffa, mentre mi avvicinavo all'ingresso accanto a Kàli. Una precauzione, questo almeno lo avevo capito, nel caso non fossi riuscito a mantenere la forma Acquatica, e per evitare il contatto con altre varianti umane tra la folla che si aggirava nel mercato. Che, nonostante la scarsità di mezzi di trasporto nel parcheggio, era davvero strapieno.
Non appena varcammo la soglia, fortunatamente nonostante fossi intabarrato nel mantello senza suscitare una sola reazione da parte dei due energumeni di guardia - Troll, mi aveva detto Kàli - la testa mi girò per il brusio continuo di centinaia di voci. Non avevo più visto così tante persone di tutte le forme tutte assieme, da quando mi avevano portato a fare un giretto in città.
– Non ti preoccupare, non sono tutte qui – si affrettò a rivelarmi Kàli. – Ma tu stammi vicino, non voglio perderti. Da questa parte.
Kàli camminò svelta, aggirando banchi con ceste di frutta dai colori bizzarri, tavolate intere di lunghe stoffe che cambiavano disegno e si avvolgevano in rotoli da sole, banchetti strapieni di componenti elettronici tra i quali identificai con sgomento almeno un occhio e una gamba bionici, una tenda in cui intravidi una zingara con quattro braccia e la pelle verde che leggeva immagini che si formavano a mezz'aria, e una schiera di gabbie con dentro incroci bizzarri, un gatto uccello e una volpe farfalla e pesci con le zampe e chissà quali altri ibridi. Dovunque i clienti valutavano la merce o trattavano con i mercanti. Vidi tra gli uni e gli altri persone dal collo lungo come giraffe, con ali di insetto o uccello o pipistrello, creature bellissime dalle orecchie a punta o ingobbite e deformi, enormi uomini che parevano scolpiti nella pietra come i due all'ingresso, e perfino una donna con addosso una maschera antigas e fiamme che le danzavano sulle dita, che doveva essere una Salamandra come quella che avevo visto a Metronas. Io mi stringevo nel mantello per cercare di non toccare nessuno di loro, e solo quando Kàli si fermò di fronte a un banchetto che vendeva vecchie statuine, mobili antichi, tovaglie tarmate e altre anticaglie che parevano provenire dal mio secolo, e che mi diedero una fitta di nostalgia per il mio passato perduto per sempre, io mi permisi di far sporgere una mano per tastare una delle arance blu del banco accanto.
– Sicura che tutta questa roba sia olografica? A me sembra reale.
Afferrai l'arancia e la lanciai in aria un paio di volte. In altre circostanze il venditore avrebbe borbottato e mi avrebbe tenuto d'occhio per evitare che la intascassi, ma quello non mi badò nemmeno.
– Sì, te l'ho detto, tutta la merce esposta è olografica e puramente dimostrativa. Scegli quello che vuoi, paghi, e ti viene recapitato direttamente a casa. – mormorò Kàali, lievemente scocciata. Per lei forse erano cose ovvie, ma non lo erano affatto per me. – Per questo anche buona parte dei clienti preferisce visitare il mercato sotto forma di proiezione olografica. Quelli che hanno un impianto neurale con la funzione "presenza da remoto", perlomeno.
Il che spiegava anche perché noi eravamo lì in persona. Quasi nessuno alla Riserva era stato tecnologicamente modificato, e nessuno comunque aveva impianti di quel tipo.
– Sì, però io la sento proprio in mano. Insomma, sento il peso, e sento la buccia, e sembra in tutto e per tutto una vera arancia, colore a parte. Mi dà l'impressione che potrei anche sbucciarla e mangiarla.
Kàlì indicò il soffitto del capannone, senza alzare lo sguardo. Io lo alzai e vidi solo lunghe file di fari in corrispondenza dei banchi del mercato. – Proiettori di campi di forza. Potresti sbucciarla, sì, e vedere com'è fatta dentro, e potresti persino mettere uno spicchio sulla lingua, ma quei cosi lassù non proiettano il sapore, e lo spicchio sparirebbe non appena chiudi la bocca.
Annuii e misi giù l'arancia "puramente dimostrativa". Avrei voluto chiedere tante altre cose a Kàli, ma sarei passato per ingenuo e ignorante nel domandarle come funzionasse la "macedonia istantanea spray" o perché qualcuno sentisse l'esigenza di tenere in casa uno scoiattolo-ragno con mimetismo incorporato.
– Questo è interessante – mugolò Kàli. Mi avvicinai e la vidi sfogliare un comunissimo libro. Non ne avevo più visti, persino alla Riserva si leggevano giornali e romanzi solo su lastre trasparenti e ipertecnologiche.
Quando Kàli sfogliava le pagine di quel librone, però, le parole comparivano quasi per magia, e tornavano bianche non appena passava alle pagine successive.
– Ah, "Storia del Giorno delle Urla e classificazione dei sopravvissuti" – declamò il mercante. – Una copia, naturalmente, ma ha buon occhio, signorina, si tratta di un volume antico e molto raro.
– Quanto è fedele all'originale? – chiese Kàli.
– I miei testi hanno tutti una percentuale di fedeltà superiore al 97%, ma questo in particolare è valutato come identico al 99,1%. Un vero affare.
Kàli si fermò a leggere il contenuto di una pagina, e io trattenni il fiato. Sotto il titolo "Changeling" a grandi lettere era raffigurata una creatura al 99,1% identica a quello che ero diventato io dopo la mia dolorosa prima metamorfosi.
– I Changeling! – esclamò il mercante, nel notare la pagina che aveva attratto l'interesse di una possibile futura cliente. – Una forma di Aberrazione estinta  Erano già molto rari nei primi anni, cagionevoli di salute, e inoltre... chi mai vorrebbe avere a che fare con una mostruosità del genere?
Il mercante scoppiò a ridere. Avrei tanto voluto dirgli qualcosa, fargli rimangiare le sue parole, ma strinsi i pugni sotto il mantello e mi trattenni. Ero un Acquatico come Kàli, per il mercante, e tale dovevo restare.
– Interessante. Sono sempre stata appassionata di storia, e questo volume mi manca. Lo prendo.
Kàli chiuse il libro, pagò il suo prezzo e ci allontanammo alla svelta dalla bancarella, in cerca delle altre cose nella lista di Kàli prima di riunirci ai due abitanti della Riserva che erano andati a far compere per conto loro. Avremmo avuto tutto il tempo di leggere il resto di ciò che mi riguardava una volta che il libro fosse arrivato alla Riserva. Secondo Kàli, la spedizione era tanto rapida che probabilmente lo avremmo trovato già a casa al nostro rientro.
Io cercavo di non pensarci, ma quel poco che già avevamo scoperto continuava a ronzarmi in mente.
Ero un'Aberrazione estinta. Per forza che nessuno alla Riserva aveva saputo identificarmi.
– Insomma, non bastava che fossi una cariatide di trecento anni fa – mugugnai rivolto a Kàli, mentre ci aggiravamo tra i banchi di merce olografica del mercato. – Ora mi tocca scoprire che sono addirittura un dinosauro?
Kàli, con mio sommo dispiacere, non capì la battuta.

sabato 24 febbraio 2024

Proditorio

Proditorio [pro-di-tò-rio] agg. (pl.m. -ri) Commesso a tradimento.

Etimologia: dal latino proditorius, derivato da proditor, "traditore", da proditus, participio passato di prodere "svelare, denunciare, tradire"; è composto dalla particella pro, "avanti", e da una forma alterata del verbo dare, "dare, consegnare".


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di cottonbro studio da Pexels


Non sono caduto in molte trappole in vita mia. Ma quella che ricordo meno volentieri fu l'inganno di Gloria.
Ero un giovane Bollatore a quel tempo, lavoravo quasi sempre da solo ed ero in ricognizione nella zona in cui si diceva che fosse stato visto il mio obiettivo, senza alcuna insegna che mi identificasse, quando incrociai Gloria. Era chiaramente fuori posto nello sperduto paesino di montagna, troppo elegante e signorile, troppo provocante rispetto alle timide fanciulle del luogo.
Se qualcuno sapeva qualcosa sul criminale che ero stato incaricato di catturare, era lei.
Finsi di stare al suo gioco, di cedere al suo fascino proditorio.
L'ultima cosa che ricordo è che stavamo andando a cena, poi mi risvegliai a letto in una stanza d'albergo con lei che mezza svestita frugava nella mia sacca da viaggio dandomi la schiena. Non so per quanto tempo ero rimasto privo di sensi alla sua mercé, soggiogato in modo proditorio da chissà quale droga, ma era certamente meno di quanto lei si aspettasse, perché ancora non mi aveva ancora perquisito.
Mi mossi furtivo e quando le fui abbastanza vicino, le puntai contro la schiena la canna di una pistola a compressione. Non l'avrebbe uccisa, ma le avrebbe fatto parecchio male.
– Alza le mani, e voltati lentamente – le ordinai.
Gloria si lasciò sfuggire un sospiro sibilante. – Un Bollatore – mormorò. Fu abbastanza intelligente da obbedirmi, mentre mi parlava. – Non lo avevo considerato. Nessun altro ha la vostra resistenza ai veleni e ad altre... sostanze interessanti.
– Che cosa mi hai fatto? – le domandai, tenendola sotto tiro.
Lei rispose ridendo.
– Rilassati campione, non siamo andati fino in fondo. Hai ceduto prima alle note di fondo soporifere del mio profumo. Una mia invenzione, ti è piaciuto? – Gloria mi fissò con un lieve sogghigno. – Il primo respiro è afrodisiaco, poi ti rende suggestionabile, e alla fine... buonanotte!
Avrei dovuto capire che c'era qualcosa di innaturale nel modo in cui mi aveva attratto da subito.

giovedì 22 febbraio 2024

Audioracconto - Illusione di vita


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Foto di cottonbro studio da Pexels


Un gruppo di ragazzi, una prova di coraggio, un vecchio cimitero abbandonato... ma non tutto è come sembra.

Illusione di vita
(racconto breve adatto ai bambini e perché no, anche agli adulti!)


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A te non costa niente
ma per me fa un'ENORME differenza.

Grazie.

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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2022/01/illusione-di-vita.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musica: Ghost Processional di Kevin MacLeod (http://incompetech.com)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=vnm9YVMHOQg);
Death Awaits di HolFix (https://soundcloud.com/holfix)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=2uZ2kICczjc);
Doll Dancing di Puddle of Infinity
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=jwdnryXD8mQ).

Immagini di: cottonbro studio (https://www.pexels.com/it-it/foto/uomo-persone-donna-astratto-6491960/), Suzy Hazelwood (https://www.pexels.com/it-it/foto/bianco-e-nero-scuro-vintage-croce-4562286/), Ellie Burgin (https://www.pexels.com/it-it/foto/uccelli-neri-sulle-pietre-tombali-3498985/), KoolShooters (https://www.pexels.com/it-it/foto/alba-parete-nebbia-nebbioso-6494925/), Skitterphoto (https://www.pexels.com/it-it/foto/862115/), Sergio lorenzo (https://www.pexels.com/it-it/foto/natura-uccello-parete-nero-18709103/), Douglas Henrique Marin dos Santos (https://www.pexels.com/it-it/foto/luce-natura-uccello-scuro-7165139/), James Wheeler (https://www.pexels.com/it-it/foto/silhouette-di-persona-in-piedi-sul-ponte-414523/), Foto di Pedro Figueras (https://www.pexels.com/it-it/foto/persona-dietro-la-copertura-bianca-626164/), Sebastiaan Stam (https://www.pexels.com/it-it/foto/fotografia-di-sagoma-di-fumo-dietro-la-persona-1480689/), Lucas Pezeta (https://www.pexels.com/it-it/foto/camicia-girocollo-bianca-da-donna-3067811/), Vladislav Nahorny (https://www.pexels.com/it-it/foto/vedere-13256711/), Khoa Võ (https://www.pexels.com/it-it/foto/cielo-donna-notte-nuvoloso-5724012/), da Pexels, distribuite ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

Effetti sonori da FreeSounds (https://freesound.org/) sotto licenza Creative Commons 0 (https://creativecommons.org/publicdomain/zero/1.0/).

lunedì 19 febbraio 2024

Viaggio senza destinazione


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Foto di Keira Burton da Pexels


Dicono che se vuoi conoscere il mondo, devi andare in una stazione. E non solo perché è da lì che partono tutti i treni, quelli diretti in oriente e quelli diretti in occidente, i treni verso il settentrione e i treni verso il meridione, e per qualunque altra destinazione possa venirti in mente; ma anche, e soprattutto, perché ogni giorno il mondo si riversa fuori da quei binari e da lì sciama nelle viscere della città.
Io volevo conoscere il mondo, ma non avevo i fondi necessari per un biglietto; prendere dimora nella stazione fu quindi un passo naturale. Divenni uno del popolo dei cartoni, così chiamati per il materiale di cui erano fatti i nostri letti.
E fu così che scoprii la dura verità: il mondo non aveva tempo per me.
All'inizio, quando ero un giovane di belle speranze, avevo provato ad avvicinare i passeggeri che scendevano dal treno per chiedere loro chi erano, da dove venivano, per domandare una storia dal loro paese o la condivisione di un ricordo. I più mi avevano ignorato, come se non fossi stato lì, come se fossi stato invisibile. Qualcuno si allontanava con fastidio, o peggio ancora, richiamava l'attenzione di uno dei guardiani della legge, anche se io non avevo fatto nulla di male, non avevo rubato, non avevo nemmeno chiesto denaro, avevo solo commesso l'errore di rivolgere loro la parola. E cos' fuggivo, andavo a rifugiarmi nel mio angolo, andavo in un posto dove non avrei causato fastidio.
Con l'andare del tempo, avevo smesso di domandare, e avevo iniziato ad ascoltare.
Ero diventato uno spettatore di vite di passaggio.
Funzionava così: all'ora di punta, io mi sedevo su una panchina, fingendo di essere un viaggiatore in attesa del suo treno, fissavo il tabellone degli orari, pure, e aprivo bene le orecchie.
Tra il tamburellare di innumerevoli scarpe, tra il cigolio delle valigie con le ruote trascinate dai loro proprietari, tra il brusio incessante delle voci, se ero fortunato, talvolta riuscivo a cogliere spizzichi di conversazione. Era così che ero venuto a sapere di quanto fossero belle le scogliere di ghiacci di Istain, su nel lontano settentrione, dove la gente aveva i capelli azzurro gelo e di notte faceva così freddo che uno straniero impreparato poteva congelarsi in pochi istanti, o che avevo scoperto il segreto delle donne dipinte di Lapali, nel cuore dell'oriente, e che avevo imparato a distinguere un fiore di Osch da un'erba Gruba, anche se non avevo mai visto nessuno dei due perché crescevano molto più a sud della stazione in cui vivevo, anche se il mio ricordo preferito era quando avevo assistito a un tradizionale scambio di doni da parte di una famiglia originaria di Macaras, una delle capitali dell'ovest, che si riuniva per la prima volta dopo anni passati lontano l'uno dall'altro.
Io me ne stavo seduto sulla panchina, guardavo, e ascoltavo. Non riuscivo a cogliere tutte le voci, smorzate dagli echi amplificati dalla volta del soffitto altissimo, e talvolta sormontate dall'annuncio dell'arrivo di un treno da parte di una potente voce metallica, ma ero grato anche soltanto delle briciole con cui riuscivo a nutrire la mia anima che anelava sempre al viaggio, al desiderio di andare altrove, di conoscere il mondo. Tutti quelli che passavano davanti alla mia panchina avevano una meta, e tenta fretta di raggiungerla, mentre io, anche avendone l'opportunità, non avrei saputo dove andare. Ma mi andava bene così, e pensavo che avrei continuato così fino alla fine dei miei giorni, finché non accadde qualcosa di inaspettato.
Prima ancora che lei arrivasse, avevo udito il ritmo rullante dei suoi tacchi, ma non ci avevo fatto troppo caso. Era soltanto un altro dei passeggeri che mi passavano davanti, uno di quelli meno interessanti perché lei non stava parlando. Che fossero in compagnia di amici o impegnati al telefono, erano i passeggeri che parlavano che mi interessavano di più, quelli da cui potevo imparare molto di più di ciò che scoprivo dalla semplice osservazione.
Smisi di fare caso ai suoi passi, ed è per questo che non mi resi conto che si stavano avvicinando, né li sentii cessare di botto. Me ne accorsi solo quando la donna si sedette sulla mia panchina.
Era insolito. Nessuno si sedeva mai sulla mia panchina.
Solitamente ce n'erano a sufficienza di libere da non ritrovarsi costretti a condividere la seduta con un estraneo, in particolare un estraneo come me, che chiaramente non era un viaggiatore e che aveva visto tempi migliori. Eppure lei si era seduta e mi aveva parlato.
– Dove stai andando? – era stata la sua prima domanda.
Io l'avevo fissata inebetito, cercando di capire chi avevo di fronte. Sembrava una donna di città, una di quelle donne d'affari che nell'abbigliamento, nel taglio di capelli e nell'atteggiamento imitano il modo di fare maschile. Era difficile indicarne la provenienza, non avendo nulla di esotico o di particolare in sé.
La donna mi fissava in attesa di una risposta.
– Da nessuna parte – risposi, facendo spallucce.
– Eppure te ne stai qui, come in attesa di partire – mi incalzò la donna. – Dov'è che vorresti andare?
La mia mente vagliò tutte le destinazioni che passavano sul tabellone, senza soffermarsi su alcuna. Infine risposi: – Ovunque.
La donna rise. Era bello sentirla ridere, non avevo mai sentito una risata così, era calda e gioiosa, e allo stesso tempo... era inquietante, e terribile, e fredda.
Se un serpente potesse ridere, pensai, riderebbe esattamente così.
– Che cosa diresti, se potessi far avverare il tuo desiderio? – chiese la donna al termine della risata.
Rabbrividii. Era troppo bello per essere vero, per cui divenni diffidente. – Ti chiederei che cosa vuoi in cambio.
– Nulla. – replicò la donna, adagiandosi pigramente contro lo schienale. – Sul serio. Non voglio niente.
Poi trasse di tasca un biglietto e me lo porse. Ne avevo visti troppi, gettati nei cestini al termine della loro breve vita, nelle tasche semiaperte degli zaini, consegnati dal bigliettaio ai viaggiatori in fila o usati come improvvisati ventagli d'estate, per non riconoscerlo.
Era un biglietto del treno.
– Ne ho uno in più, e non posso usarlo. Un impegno dell'ultimo istante – si giustificò la donna. – Ma è un peccato sprecarlo, e tu sembri avere così bisogno di partire per un viaggio.
Afferrai il biglietto. Era strano. C'era il binario, il giorno e l'ora della partenza, ma mancava...
– Non c'è scritto la destinazione – le dissi.
Lei fece spallucce. – Tu non l'hai scelta.
Volevo dirle che non era così che funzionavano i biglietti dei treni, ma lei me lo lasciò in mano e si alzò.
– Un'ultima cosa – disse, mentre già mi dava la schiena, pronta ad andarsene verso il suo impegno dell'ultimo istante. – C'è un luogo dove l'oriente incontra l'occidente, dove nord e sud sono la stessa cosa. Puoi trovarlo, o puoi continuare a viaggiare per sempre. La scelta è tua.
Non feci in tempo a chiederle che cosa intendeva. La donna già si stava allontanando dalla mia panchina, e in breve tempo sparì tra la folla.

Binario zero, c'era scritto sul biglietto.
Abitavo nella stazione da tanto tempo che mi sembrava quasi di viverci da sempre, eppure non avevo mai saputo che nella esistesse un binario zero.
Sarà prima dell'uno, pensai, anche se avevo già fatto il giro due volte, senza trovarlo.
Sai quando cerchi qualcosa che hai smarrito, e hai pensato ormai di averlo cercato dappertutto senza trovarlo, e alla fine era proprio lì in piena vista, davanti ai tuoi occhi, ma tu non lo avevi notato?
Potresti giurare che sia comparso dal nulla, o che qualcuno ti abbia giocato uno scherzo, perché andiamo, se era lì, com'è possibile che tu non lo hai visto?
Così mi sentii quando trovai quel benedetto binario zero. Che, come da logica, era quello prima del binario uno.
Ero il solo ad attendere il treno sulla banchina. Quando arrivò, fui il solo a salire.
Era uno di quei treni moderni, iperveloci, con il corridoio ampio e i sedili blu in fila due per due.
Quasi tutti occupati.
Passando, vidi una ragazza nordica che leggeva un libro, i capelli blu acconciati in una treccia. Era talmente concentrata che non si accorse che le caddi quasi addosso alla partenza del treno, e non rispose alle mie scuse. I passeggeri che aveva di fronte, una coppia di uomini d'affari provenienti da qualche capitale occidentale, non alzarono gli occhi dai portatili su cui stavano digitando, nel concludere chissà quale contratto importante. L'altro lato del corridoio era in gran parte occupato da una scolaresca in gita da qualche isola del sud, erano inconfondibili i disegni a onde degli zaini e gli abiti coloratissimi. Ciascuno di loro fissava lo schermo del proprio cellulare. Più avanti, una coppia di donne dipinte in visita dall'oriente sembrava indossare una maschera tanto profonda era la loro imperturbabilità, il bianco della loro pelle in netto contrasto con il carminio delle labbra. Ammirai per un istante i loro abiti caratteristici, di cui sapevo quasi tutto ormai, prima salutarle e passare oltre. Non mi risposero. Non dissero una parola, né loro, né nessun altro.
Provai a chiedere: – Sapete dove va questo treno?
Cercai lo sguardo di uomini d'affari, di ragazzi, di donne, ripetendo più volte la domanda, ma nessuno rispose, nessuno si diede neanche la pena di guardarmi.
Mi ignoravano, come avevano sempre fatto.
E che diamine, ero diventato uno di loro, ero un viaggiatore anch'io, avevo obliterato il mio biglietto, eppure ancora nessuno si degnava di considerarmi?
Guardai fuori dal finestrino, e fui preso da un senso di vertigine. Non avevo mai immaginato che un un treno potesse correre così. Il paesaggio scorreva veloce, troppo veloce per riuscire a distinguere i contorni di qualcosa, e nei miei occhi si perdeva in un anonimo candore. Sembrava di viaggiare nella nebbia, di viaggiare sospesi nel nulla.
Non avrei trovato una risposta alla mia domanda fuori dal finestrino.
Proseguii avanti, sempre più avanti, alla ricerca di un controllore. Lui forse avrebbe potuto darmi una risposta, ed ero certo che, pur essendo uno dei guardiani della legge dai quali ero sempre fuggito, non mi avrebbe cacciato dal treno, né costretto a nascondermi in un angolo: io avevo un biglietto.
Cambiai vagone. Sembrava uguale al precedente: stessi sedili blu, stessa fila di luci in alto, stesso corridoio lucido. Persino le persone immerse nei loro pensieri sembravano le stesse. Stessi uomini d'affari che lavoravano in viaggio, stesse lettrici cullate dal ronzio e dal ritmo ipnotico delle ruote sui binari, stessi studenti in gita, stesse donne dipinte.
Beh, almeno per quanto riguardava loro, con quel trucco pesante che spianava i lineamenti, era difficile distinguerle l'una dall'altra.
Mi convinsi, man mano che passavo un vagone dopo l'altro, che le quelle persone mi sembravano tutte uguali perché non le conoscevo, e che se avessi scambiato due parole con una di loro, subito avrei notato quant'era diversa da tutte le altre che venivano dallo stesso luogo. Ma per quanto ci provassi, non ricevevo mai una risposta, e inoltre, c'era dell'altro.
La donna che leggeva non voltava mai la pagina.
Gli uomini d'affari continuavano a scrivere le stesse frasi.
Gli studenti scorrevano incessantemente sui loro cellulari senza mai fermarsi a leggere.
Alla fine non potei più negarlo. La gente che avevo incontrato non si somigliava soltanto, era proprio la stessa, e sembrava smarrita in un eterno loop senza scopo.
Che cosa aveva detto la donna che mi aveva dato il biglietto?
– Non hai scelto una destinazione – ricordai. – E se non trovi un certo luogo... un luogo impossibile... puoi continuare a viaggiare per sempre?
Dannazione.
Non sapevo quale fosse il suo scopo, perché mai mi voleva lì, ma quella donna mi aveva teso una trappola.
Quel treno non aveva alcuna destinazione, ed era costituito da un solo vagone.
E, a meno che non avessi risolto il suo enigma, non sarei mai riuscito a fuggire da lì.
Mi lasciai cadere sul più vicino sedile libero e mi misi a fissare il mio biglietto senza meta, la mente svuotata da ogni pensiero.
Fuori dal finestrino, ogni traccia residua di paesaggio si annullò in un candore accecante.

sabato 17 febbraio 2024

Nequizia

Nequizia [ne-quì-zia] s.f. (pl. -zie) 1. lett. Perversità d'animo, malvagità. 2. ant. Atto malvagio, azione perversa. 3. ant. Sdegno, ira.

Etimologia: dal latino nequitia, che deriva da nequam, "da nulla", passato poi a significare "dissoluto, briccone". È composto da ne, particella negativa, e quam, che secondo alcuni significa "quale" (ovvero la parola composta equivale a "non quale dovrebbe essere"), mentre per altri ha la stessa derivazione di quire, "potere", quindi dal latino ne-queo, "non posso", e dunque "fannullone".



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Andres Cadena da Pexels


Ho ancora un diario, ma non sempre scrivo tutto quello che mi accade. Non ne ho più bisogno, non ho più alcun vuoto di memoria da quando ho ritrovato consapevolezza di chi sono e, d'altra parte, la maggioranza delle mie azioni e dei miei pensieri sarebbero troppo compromettenti per lasciarne una traccia per iscritto.
Sono lontani i giorni in cui rifuggivo la nequizia che è parte del mio essere.
Ora vi indulgo con tanta frequenza quanta ne pretende la mia brama. Non significa che io sia diventato imprudente, però, al contrario. Se prima non potevo controllarmi quando la frenesia della mia natura da Incubo prendeva il sopravvento, e sfogavo la violenza su chiunque mi capitasse a tiro, ora scelgo accuratamente le mie vittime.
Le pesco tra la feccia della città, persone che sono già immerse nel sangue, perpetratori di nequizia, lupi tra gli agnelli, predatori che sono appena un pallido riflesso di quel che sono io. Li studio dall'alto dei tetti prima di calare su di loro come un angelo della morte. Una morte lunga, dolorosa, atroce, di cui assaporo ogni attimo.
Nel segreto della mia mente potrei anche vantarmi, dire che sono un eroe, un male necessario che libera vite di ignari innocenti dal male quotidiano che le insidia, ma in fondo, chissenefrega. Non lo faccio certo perché è l'unico modo vagamente etico di nutrire la mia natura di Incubo, di tenermi soddisfatto e quieto, oltre al sesso indemoniato che faccio con Maria.
No, io scelgo quelli che già conoscono la violenza, perché sono gli unici con un minimo di spirito combattivo, loro sono quelli che reagiscono, che mi offrono un reale divertimento, e quelli che, alla fine, nessuno verrà mai a cercare.

giovedì 15 febbraio 2024

Audioracconto - Senza via d'uscita


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Foto di Alex Azabache da Pexels


La tana di un drago rosso può essere un luogo pericoloso... anche per il padrone di casa!

Senza via d'uscita
(racconto breve adatto ai bambini e perché no, anche agli adulti!)


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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2022/02/senza-via-duscita.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musica: Moonrise di Savfk (https://soundcloud.com/savfk)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=Wi40e__8DFI).

Immagini di: Alex Azabache (https://www.pexels.com/it-it/foto/formazione-rocciosa-marrone-durante-la-notte-5117913/), Normunds Ispwich (https://www.pexels.com/it-it/foto/rocce-pila-pietre-mucchio-10131574/), mohamed abdelghaffar (https://www.pexels.com/it-it/foto/splendente-dorato-piccolo-pezzi-5594992/), bt3gl ♡ (https://www.pexels.com/it-it/foto/siluetta-del-dinosauro-sul-cielo-notturno-3689634/), Tom Swinnen (https://www.pexels.com/it-it/foto/fotografico-legno-bruciare-su-fuoco-pit-752538/), Francesco Ungaro (https://www.pexels.com/it-it/foto/luce-natura-grotta-caverna-13240250/), Gayoung Yu (https://www.pexels.com/it-it/foto/arte-scuro-sporco-trama-16219051/), Mauro Torres V (https://www.pexels.com/it-it/foto/paesaggio-natura-lago-grotta-14112105/), Anastasia Shuraeva (https://www.pexels.com/it-it/foto/legno-moda-ragazza-carino-7671340/), Arian Fdez (https://www.pexels.com/it-it/foto/arte-ritratto-scultura-decorazione-16225272/), da Pexels, distribuite ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

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lunedì 12 febbraio 2024

April


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di lil artsy da Pexels


Seduta sulla panchina in mezzo agli altri viaggiatori in attesa, April chinò la testa e finse di leggere per l'ennesima volta il suo biglietto.
Sono solo una ragazza qualunque. Non sono interessante, pensava nel frattempo, concentrata al massimo nel cercare di proiettare quell'aura di banalità che avrebbe reso guardarla estremamente noioso per chiunque. Era sempre stata capace di fare cose simili, indovinare e talvolta anche influenzare le emozioni delle persone accanto a lei, e non aveva mai pensato che fosse qualcosa di speciale, almeno fino al discorso della presidente Crown, la prima donna a ricoprire quella carica negli Stati Uniti, la prima candidata indipendente a essere eletta.
E, da quanto aveva rivelato un paio di settimane fa, il primo presidente degli Stati Uniti con ascendenze aliene.
Da quel momento la caccia all'alieno era diventata lo sport nazionale. Tutti si chiedevano se il proprio vicino, il proprio collega, o addirittura il proprio coniuge, non avessero in segreto un po' di sangue alieno in corpo. Se lo stava chiedendo anche la donna in trench e tacchi alti che camminava svelta verso un autobus diretto a nord, senza dubbio nel tentativo di sfuggire agli orribili rettiliani a sangue freddo andando là dove gli inverni erano più rigidi. Se lo chiedeva il vecchio con la barba lurida che aveva pagato il suo biglietto con monetine elemosinate, ed era diretto a casa di una figlia che non vedeva da anni per salvarla da un marito che, lui lo aveva sempre sospettato, non era del tutto umano. E se lo chiedeva anche l'autista dell'autobus in partenza verso sud, destinazione Atlanta, che scrutava pensoso ogni passeggero che saliva la scaletta foderata di moquette.
Questo, April non era stata in grado di farlo fino a pochi giorni prima. Le era capitato, sì, di tanto in tanto, di sapere quello che la gente pensava, ma non lo aveva mai sentito così nitidamente nella sua testa, era stato più come un'intuizione, aiutata dal fatto che spesso sapeva con certezza che cosa provavano. Capiva il senso generale di quel che pensavano, più che le parole esatte.
Poi, qualche giorno dopo l'inquietante discorso della presidente Crown, era scattato qualcosa dentro di lei, e all'improvviso sentiva tutto. Tutto quanto, senza barriere e senza censure, pensieri che a volte la disgustavano e altre la facevano inorridire, e lei doveva far finta di niente, fare la faccia da poker, o qualcuno prima o poi avrebbe capito che in lei c'era qualcosa che non andava, che lei era una di quegli alieni. Come lo aveva capito, per prima, sua nonna materna, prima ancora che ci arrivasse April stessa.
Erano i suoi pensieri quelli che April aveva avvertito in principio, come per una specie di meccanismo di difesa, perché quei pensieri erano pericolosi.
L'avete voluta adottare, invece di avere una figlia vostra, era il discorsetto che la nonna si ripeteva in testa, con l'intenzione di pronunciarlo davanti ai genitori di April, chissà da dove viene, io ve l'ho sempre detto che è una ragazzina strana, e poi April, ma che razza di nome è, chi mai darebbe il nome di un mese a una bambina vera? Dobbiamo fare una prova, essere sicuri, dobbiamo bruciarle un dito, vedere se sotto la pelle ha delle squame da rettile.
E così April era scappata di casa, prima che la vecchia malevola potesse convincere mamma e papà a sottoporla a un giudizio da inquisizione spagnola. Era finita alla stazione degli autobus, in attesa della sua corsa, di un mezzo che la portasse lontano da lì, seduta fra tanti estranei dalla mente bisbigliante, nella cui testa si affacciava di tanto in tanto lo stesso pensiero.
Chi è alieno, chi è umano?
April alzò gli occhi quando l'autobus per Atlanta partì con un rombo sordo del motore, lasciando libera la visuale su un cartellone che ritraeva una donna in abiti discinti, sulle cui grazie qualche puritano aveva applicato striscioni bianchi per coprirne le vergogne. Quasi scoppiò a ridere per quell'antiquata forma di censura che ormai non interessava più a nessuno. Sulle strisce bianche, però, qualcuno aveva scritto con la vernice rossa "Aliena", e quello era un dettaglio molto meno innocente.
April ricordò come fin dai primi giorni dopo il discorso della presidente Crown, una volta che si era attenuato lo shock e lo scetticismo iniziale, le chiacchiere si erano diffuse a macchia d'olio e chi era troppo bello, troppo ricco, troppo talentuoso o troppo in vista era stato accusato a torto o a ragione di essere un alieno. Tutte le celebrità del passato e del presente erano state passate in rassegna.
Elvis? Alieno.
David Bowie? Alieno.
Tom Cruise? Alieno.
Mark Zuckerberg? Decisamente alieno.
Era quella la censura che la gente non era più in grado di sopportare. In molti pretendevano che fossero resi pubblici i nomi e gli indirizzi degli alieni che vivevano in segreto in mezzo a loro da anni, se non da secoli. Erano spuntati diversi cartelloni in tutta la città che pretendevano che la verità fosse rivelata. Ed era una proposta presa così seriamente in considerazione che anche il Congresso ne stava discutendo proprio in quel momento.
Per April non sarebbe cambiato un granché, qualunque fosse stata la decisione dei politici. Lei ormai non aveva altro modo di salvarsi che scappare di casa. Ignorare il brusio dei pensieri altrui, se non quei pochi che potevano rappresentare una minaccia, e proiettare quell'aura di anonimato, e fingere di non essere il mostro che era, il mostro che tutti avrebbero visto se avessero saputo cos'era in grado di fare.
Quando l'autobus arrivò, April lo raggiunse senza fretta, a testa bassa, portandosi dietro lo zainetto con tutto ciò che le era rimasto, soldi in contanti e qualcosa da mangiare e qualche vestito di cambio, e l'accendino con cui la vecchia che non osava più chiamare nonna avrebbe voluto darle fuoco.
E, in fondo, era esattamente quel che appariva, una ragazzina come tante, scappata di casa per andare chissà dove.

April non riuscì a prendere sonno in autobus. Non tanto per il rombo del motore sotto di lei o per i sobbalzi che a tratti scuotevano il mezzo piuttosto datato, né per la sensazione di doversi continuamente guardare le spalle, ma per i pensieri della gente. In uno spazio tanto ristretto, April non riusciva a evitare di cogliere i monologhi ripetitivi degli altri passeggeri. C'era chi passava in rassegna cose da fare e appuntamenti, chi ripeteva fino allo stremo la stessa conversazione terminata con una figuraccia, chiedendosi inutilmente che cosa avrebbe potuto fare di diverso per uscirne in modo migliore, chi canticchiava tra sé il tormentone del momento, più e più volte, fissando il paesaggio fuori dal finestrino, chi leggeva a mente, scorrendoli, i post sui social di conoscenti mai incontrati, che per la maggior parte in quei giorni vertevano sugli alieni e sui metodi più o meno assurdi per riconoscerli, dall'esposizione al sale, al ghiaccio o a un particolare tipo di metallo, alla rilevazione della temperatura e alla bruciatura dello strato superficiale di pelle umana, come aveva suggerito anche sua nonna.
Era come se tutti quanti stessero continuamente parlando ad alta voce in ogni istante, vicinissimi al suo orecchio, facendo a gara nel farsi ascoltare. E il peggio non erano nemmeno quelli che contemporaneamente stavano davvero parlando, dei quali April scopriva in diretta ogni piccola o grande menzogna, come le due signore attempate che si facevano i complimenti l'un l'altra per gli abiti, il trucco e l'aspetto giovanile mentre, sotto sotto, col pensiero si criticavano ferocemente per ogni capello fuori posto e ogni sbavatura del rossetto, bensì gli altri, quelli di cui April non avrebbe mai voluto conoscere la mente. Persone come il tizio di mezza età che l'aveva squadrata da dietro il vetro della biglietteria, e che mentre contava i soldi e le dava il resto aveva pensato, nonostante April fosse chiaramente minorenne, di farle una dopo l'altra una serie di proposte oscene e sempre più spinte che l'avrebbero fatta imbestialire, se April non avesse ricordato che doveva evitare a tutti i costi di dare nell'occhio, e tenere segreta la sua capacità anomala di ascoltare i pensieri altrui.
O come il viscido che sull'autobus sfogliava una rivista per adulti, commentando nella sua testa le forme delle ragazze in pose provocanti e quel che avrebbe tanto voluto fare a ognuna di loro: si sarebbe censurato se avesse saputo che qualcuno era in grado di sentirlo?
Fa' che si addormenti presto, ti prego, pensò April tra sé, con la fronte schiacciata contro il vetro. O che almeno finisca le pagine e la smetta. E meno male che di tutto ciò che passava nella testa della gente, lei sentiva solo le emozioni e le voci. Se avesse anche potuto vedere quello che certa gente immaginava, sarebbe stato molto peggio.
Ehi! Guarda che non è per niente educato origliare!
April sobbalzò nel percepire quel pensiero. Sembrava proprio che chiunque lo avesse pensato si fosse rivolto direttamente a lei, come se sapesse che lei era in grado di sentire i pensieri degli altri. La ragazzina si guardò cautamente attorno, poi si girò indietro, a spiare un gruppo di ragazzi della sua età seduti in fondo all'autobus. Quella "voce", se tale poteva chiamarla, le era sembrata una voce maschile, e piuttosto giovane.
Chi sei? provò a chiedersi April, cercando di rivolgersi a qualcun altro, qualcuno che non era lei. Per qualche istante avvertì solo i molteplici tediosi monologhi degli occupanti dell'autobus, voci di donne, di uomini, di vecchi e di bambini, tutti che parlavano a sé stessi, ma nessuno aveva lo stesso suono del pensiero che l'aveva sorpresa. Poi, come comparsa dal nulla, la voce tornò a farsi sentire.
Sei forte. Sei davvero molto forte! Non avevo mai percepito una terza generazione con il tuo talento.
Una terza... cosa? si chiese April, aggrottando la fronte.
Oh, scusa. Noi li chiamiamo "esper". Fisicamente del tutto umani, ma con un residuo del dono. Di solito hanno blande capacità extrasensoriali, e come ti stavo spiegando, non avevo mai incontrato una telepate con un talento sviluppato quanto il tuo, tra di loro.
Chi sei? ripeté April, e questa volta la domanda aveva un senso diverso, una nota di sospetto. Chi poteva sapere tutte quelle cose, chi poteva pensare in quella maniera se non un alieno, e uno che, a differenza di lei, era da sempre consapevole di esserlo?
Indovina, la sfidò la voce. Ti do un indizio: siamo sullo stesso autobus.
Spiritoso, commentò tra sé April. Era al corrente che la sua abilità non andava molto oltre i confini di quel mezzo di trasporto, a parte ogni tanto percepire il pensiero degli occupanti delle auto che gli si affiancavano su un'altra corsia, o quelli ancora più effimeri di coloro che viaggiavano in direzione opposta. April si sporse a guardare ancora i ragazzi in fondo all'autobus, ma il misterioso alieno non poteva essere uno di loro, e allora si sollevò al di sopra dei sedili a spiare i passeggeri dei posti davanti. C'era un unico ragazzo, un biondino seduto accanto a una donna bruna, e per quanto si sforzasse April non riusciva a sentire alcun pensiero da nessuno dei due, ma il divertimento trattenuto a stento che emanava dal ragazzo era lo stesso che aveva permeato quella voce mentale. Impossibile sbagliarsi.
Trovato! esultò April. Non appena lo ebbe pensato, il ragazzo si alzò e venne a sedersi sul posto vuoto accanto a lei.
April si scostò d'istinto quando se lo ritrovò accanto senza alcun preambolo né presentazione, e lo sbirciò di sottecchi con un lieve rossore che le scaldava le guance. Il ragazzo si voltò e le sorrise, poi si rilassò contro lo schienale e guardò in avanti. Per April fu come trovarsi al cospetto di un buco nero, perché non un solo pensiero sfuggiva alla sua mente, a meno che non si rivolgesse a lei in maniera diretta. Era strano, ma era anche un sollievo concentrarsi sul suo silenzio, a differenza del chiacchiericcio continuo degli altri.
Come hai capito che ero io? le chiese il ragazzo col pensiero, senza guardarla. Hai sentito il mio Latmas?
Il tuo cosa? ribatté April, cercando di adattarsi a una forma di conversazione per cui non era preparata. Non aveva mai pensato a cosa avrebbe fatto se avesse incontrato qualcuno come lei, anche se quell'evento era sempre stato una possibilità tutt'altro che remota.
Il mio fuoco, spiegò il ragazzo, e senza preavviso le afferrò una mano e se la posò sul petto. Era caldissimo, April riuscì a sentirlo anche attraverso la maglietta di cotone blu scuro, scottava come se avesse la febbre, e con un gridolino strozzato ritirò di scatto la mano.
Attorno a loro, i passeggeri iniziarono a notarli, a farsi domande, a chiedersi se il ragazzo la stesse importunando e che cosa di lui poteva averla spaventata. La parola "alieno" non si era ancora fatta largo nelle loro teste, ma April temette che prima o poi qualcuno ci avrebbe pensato.
– Troppo diretto? – le chiese a bruciapelo il ragazzo, fissandola divertito. Per la prima volta April udì la sua voce, che tuttavia già conosceva, e contemporaneamente fu catapultata in una conversazione senza alcuna idea di come rispondere, o di quale fosse l'argomento.
Nel notare la sua esitazione, il ragazzo le venne il soccorso con il pensiero. Ti sei accorta anche tu, vero, che abbiamo attirato un po' troppa attenzione? Non possiamo più stare in silenzio. Fingi di conoscermi, evita di farti notare, annoiamoli con banali discorsi da adolescenti qualunque.
April si irrigidì per non lasciarsi sfuggire un sorriso o un cenno, ma non le venne in mente nulla di banale da dire. Il suo metodo per non dare nell'occhio era sempre stato un altro, e dunque fu a quello che ricorse come per istinto, l'aura di disinteresse e noia che riusciva a proiettare nella mente di chi la circondava.
– Eravamo nella stessa classe di matematica, due anni fa – riprese il ragazzo. – Non sono mai riuscito a dirti una parola, ma ci riesco adesso. Forte che ci siamo incontrati di nuovo, Jane.
April aggrottò la fronte. Non era vero, non lo aveva mai visto in vita sua, non prima di quella corsa in autobus. Ma dopo un primo momento di incertezza, e dopo avergli fatto sapere io non mi chiamo Jane, mi chiamo April!, April rispose: – Ma sì... certo, terzo banco dell'ultima fila... sì, mi ricordo! Eri sempre così scontroso, e avevi quell'aria da teppista, ma in matematica eri bravo.
Teppista? riecheggiò il pensiero del ragazzo, sottolineando la piccola vendetta che April aveva voluto prendersi per la situazione in cui lui l'aveva cacciata. Jane, April, non importa, loro non lo sanno. Inoltre è meglio che il nome non sia memorabile.
Procedettero a turno ad aggiungere dettagli, intavolando una conversazione piuttosto ordinaria sulla scuola e la musica e i film del momento, finché le parole e l'influenza che April esercitava sulle emozioni non distolsero del tutto da loro l'interesse dei passeggeri vicini.
April tirò un sospiro di sollievo nella sua mente.
Un po' ti invidio, le rivelò il ragazzo. Hai un dono molto utile per passare inosservata, e nessuno saprà mai che lo stai usando.
La telepatia? gli chiese April.
Oh no, quello sappiamo farlo tutti, intendevo il tuo dono Earanphies sulle emozioni. Puoi usarlo quando ti pare senza problemi, io invece devo stare attento a non farmi scoprire con il mio.
Mentre lo pensava, il ragazzo trasse dalla tasca dei pantaloni il piccolo origami di una gru un po' spiegazzato e ripassò con le unghie le pieghe delle ali per distenderle, poi lo posò sul palmo della sinistra. Diede la schiena al corridoio e all'altra fila di sedili, per nascondere il più possibile agli occhi degli altri passeggeri ciò che stava per fare, qualunque cosa fosse; e infine piazzò la mano destra, a palmo in giù, qualche spanna al di sopra della gru di carta.
Ora presta molta attenzione, non lo ripeterò, sussurrò il ragazzo nella sua mente. Simon dice... sollevati!
La gru gli obbedì.
April sgranò gli occhi quando, al suo comando, la figuretta di carta si mise a levitare a un pollice dal palmo del ragazzo. Restò lì, a fluttuare tra le due mani, mentre lui agitava lentamente le dita della destra.
Posso muovere gli oggetti con il pensiero, le spiegò il ragazzo. Devo fare finta che ci sia un filo, se per caso qualcuno mi sta guardando, ma non c'è, non è un trucco da prestigiatore, è tutto vero.
Spronata da lui, April passò una mano tra quelle del ragazzo e l'origami, e alla fine lo afferrò con le dita, avvertendo dapprima una certa resistenza a muoverlo da dove si trovava, poi quella forza si allentò e lei si ritrovò la figuretta in mano.
Muovere gli oggetti con il pensiero. Per quanto fosse rischioso farlo in pubblico, April pensò con meraviglia che non c'era paragone con il poco che sapeva fare lei.
So fare quello, proseguì il ragazzo, e controllare un po' le correnti d'aria, e... se guardo qualcosa, so esattamente come funziona. Potrei smontare il motore di quest'autobus e rimetterlo a posto in un batter d'occhio, ma questo è facile da spiegare, posso sempre dire che mi ha insegnato papà. Ho preso da lui, sai, siamo entrambi Ranaissagi, abbiamo gli stessi doni, mamma invece è di uno Shanekth diverso e sa fare altre cose...
Nell'ascoltarlo parlare della sua famiglia, April fu invasa dalla tristezza al pensiero di quella da cui era fuggita, e pensò che avrebbe tanto voluto condividere così apertamente con qualcuno tutto ciò che sapeva fare da sempre, e ciò che aveva imparato a fare di recente. Tu... tu ti chiami davvero Simon? gli chiese, tanto per distogliere la mente da quell'idea assurda. Lei non aveva qualcuno con cui condividere chi era davvero, e non l'avrebbe mai avuto, era inutile starci a pensare.
Sì! rispose il pensiero del ragazzo, con la sua solita allegria contagiosa. È questo il bello, no? La battuta funziona perché è vero. Perché, come pensavi che mi chiamassi?
April fece spallucce. Non so. È che è un nome troppo comune per...
...per un alieno? Simon la scrutò con un sorriso sfrontato. April cercò in lui tracce anomale di non umanità, ma non ne trovò nessuna. Sembrava un ragazzo qualunque, all'esterno.
Nascondo bene le mie squame, scherzò Simon. April scoppiò a ridere, ma poi senza volerlo, la sua risata si fece a poco a poco amara.
Mia nonna voleva convincere i miei a darmi fuoco alle dita, per provare che io ce le avevo sotto pelle, pensò April. Aveva evitato di soffermarsi su quel ricordo per tutto il tempo in cui lui era stato lì, sapendo che al contrario degli altri lui poteva sentire tutto ciò che April pensava, anche se lei non gli si rivolgeva di proposito. È per questo che sono scappata.
Avrebbero solo finito con l'ustionarti la mano, le rivelò Simon, il cui pensiero si era fatto un brontolio serio per la prima volta da quando April lo aveva sentito nella mente. Come ti stavo spiegando, nel fisico non sei diversa da un essere umano, non hai nemmeno il Latmas, hai solo un residuo di dono che... beh, nel tuo caso, molto più che un residuo. Simon distolse gli occhi da lei e si sporse verso i sedili più avanti, da dove era venuto. Poi le afferrò la mano e le disse, a voce: – Vieni con me.
Il ragazzo si alzò e lei lo seguì senza fare domande. Avrebbe potuto portarla su un altro pianeta e probabilmente non le sarebbe nemmeno importato, ma lui la guidò soltanto qualche metro più in là. La donna con cui l'aveva visto all'inizio si era spostata e adesso sedeva accanto a un uomo biondo che somigliava moltissimo a Simon. Dalla fila davanti, la donna si girò indietro a guardarla nello spazio tra i due sedili non appena April si fu accomodata, e le sue labbra non si mossero quando la sua voce gentile le riecheggiò nella testa. Tranquilla, April. Va tutto bene. Potrai stare con noi per tutto il tempo che vorrai.
Sarà bello, la consolò la voce allegra della mente di Simon, sarà come avere una cugina. Ho sempre voluto una cugina. Magari lo siamo davvero.
Il ragazzo si sporse a posarle la testa sulla spalla, mentre ancora le teneva una mano, e con la sua vicinanza April avvertì ancora una volta quant'era caldo, insolitamente caldo, altro che rettili a sangue freddo come li definivano in tanti.
Se ti da fastidio dimmelo subito, che ci penso io a raffreddarlo, mormorò nella sua testa la voce mentale della donna dal sedile davanti.
È un po' sgradevole quando lo fa, le fece sapere l'uomo che le sedeva accanto. Ma devo ammettere che è molto utile avere una compagna che lo sa fare, in caso a qualche ficcanaso salti in mente di misurarci la temperatura per capire se siamo umani oppure no.
No, sto bene così per adesso, grazie, pensò April, sforzandosi di rivolgersi a tutti e tre.
E stava bene, davvero. Anche se prima di allora April non avrebbe mai immaginato che proprio in mezzo agli alieni di cui tutti avevano paura lei avrebbe trovato così tanto calore, e umanità, e una famiglia.

sabato 10 febbraio 2024

Tracotante

Tracotante [tra-co-tàn-te] agg., s. 1. agg. Arrogante, presuntuoso. 2. s.m. e f. Persona arrogante.

Etimologia: dal latino, parola composta da trans, "oltre, al di là", e da cogitare, "pensare", nel senso di "andare oltre (la giusta misura) con il pensiero".



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Andrea Piacquadio da Pexels


Una volta imparato a comprendere i versi degli uomini tanto bene da far più che rispondere in modo corretto, glielo chiesi.
– Perché dai la caccia a quella volpe?
L'uomo col fucile, "Pietro" era il verso per chiamarlo, scosse la testa. Voleva dire "no", ricordai, ma io non capivo.
– Non capiresti, Maria – disse infatti poco dopo.
Mi sedetti di fronte alla mia tazza di liquido scuro e maleodorante, caffè si chiamava. Non lo bevevo mai, ma lui non se ne accorgeva, come non si era mai accorto di chi in realtà aveva di fronte.
– Spiegami. Insomma, il bosco è pieno di volpi e di altri animali. Se è tanto faticoso prenderla, perché non dai la caccia ad altre prede?
Quella era la logica del mio mondo. Una volpe non avrebbe mai sprecato le sue forze per una preda troppo difficile da catturare, quando poteva acchiapparne un'altra più ingenua, o debole, o lenta.
Ma il mondo degli uomini aveva un altro tipo di logica, e lo capii quel giorno. Una logica tracotante, agguerrita, vendicativa.
– Proprio perché quella mi sfugge sempre, che voglio prenderla! – sbottò il predatore che avevo di fronte. – Quel diavolo di volpe prende in giro da mesi ogni cacciatore della zona, e se agli altri sta bene essere presi in giro da una stupida volpe, a me no. Io la prenderò, eccome se la prenderò, e quel giorno tutti sapranno che Pietro è il migliore, e che nessuno può permettersi di prenderlo per i fondelli.
Pietro concluse il discorso sbattendo le mani sul tavolo e guardandomi torvo. In quel momento compresi che cosa mi avrebbe fatto se mai avesse scoperto che la volpe ero io, che era in questo modo, mutando il mio aspetto in una donna umana, che a suo dire lo prendevo in giro. Non avrebbe capito che non era quello il mio scopo, che io volevo solo restare viva.
Ma no, lui tracotante si sentiva in diritto di disporre della vita altrui non per sfamarsi, cosa che avrei capito, anche se avrei lottato comunque, bensì per vantarsi di fronte agli uomini?
– Hai ragione – replicai. – Io non capisco.

giovedì 8 febbraio 2024

Audioracconto - Batiscafo


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Un mezzo "mitico" per andare in cerca di un mito.

Batiscafo
(racconto breve adatto ai bambini e perché no, anche agli adulti!)

Batiscafo: Piccolo sommergibile per l'esplorazione subacquea.


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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2020/04/batiscafo.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musica: Lightfoot di Aaron Lieberman dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=Si-0KcKWZao).

Immagini di: Skitterphoto (https://www.pexels.com/it-it/foto/graffiti-sottomarino-u-boat-2124/), Leonardo Luz (https://www.pexels.com/it-it/foto/mano-tenendo-giocattolo-sottomarino-13999760/) Casablanca Stock (https://www.pexels.com/it-it/foto/settore-metallo-fabbrica-motore-8411433/), dilara irem (https://www.pexels.com/it-it/foto/ritratto-capitano-uomo-anziano-barbuto-13021954/), da Pexels, distribuite ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

lunedì 5 febbraio 2024

Anime senza colore


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Kei Scampa da Pexels


Da quando l'avevano rinchiusa in quel posto terribile, la vita per Keima aveva perso ogni colore. Non avrebbe saputo dire se a privarla dell'arcobaleno di sensazioni in cui era immersa fin da bambina fossero state le pillole che la costringevano a ingoiare, o il trattamento disumano di infermieri e dottori che in lei vedevano rispettivamente solo una seccatura o una malattia, o piuttosto le notti insonni in cui si raggomitolava sullo stretto, scomodo letto che era l'unico arredo della sua prigione, tappandosi le orecchie per non sentire le voci. Eppure, le voci urlavano lo stesso, tanto forte che ignorarle era impossibile. Voci di uomini e donne che piangevano, si lamentavano, supplicavano chiedendo pietà, e soprattutto gridavano nella morsa di una straziante agonia di lasciarli andare, lasciarli uscire, liberarli e Dio ti supplico, fa' che se ne vadano una volta per tutte, non ce la faccio più, pensava Keima nell'oscurità tormentata delle sue notti.
Una voce in particolare era la peggiore di tutte. Era difficile distinguere che cosa dicesse, e probabilmente Keima nemmeno lo voleva. Non osava immaginare quali empie oscenità si celavano in quel bisbiglio gracchiante, che le dava l'impressione di una malvagità senza pari, perché non appena iniziava a risuonare nel cuore della notte, le preghiere e le urla delle altre voci si moltiplicavano e si facevano ancora più terribili nel loro dolore.
Ogni tanto, verso l'alba, ma non tutte le notti, si faceva viva la voce che Keima aveva soprannominato "la strega", perché era solita cantilenare rime senza senso con voce stridula. Quando udiva la strega Keima provava un immediato sollievo, poiché quando parlava lei, tutte le altre voci tacevano. Andava avanti per cinque o dieci minuti buoni, o almeno così le pareva, era difficile valutare il tempo di notte e senza un orologio. Non ne aveva, così come non aveva niente che fosse suo in quel posto, nemmeno la camicia da notte logora o la tuta grigiastra che indossava di giorno, glieli avevano forniti loro, rigorosamente senza bottoni con cui avrebbe potuto soffocarsi nell'ingoiarli o cinture da stringere al collo.
Erano attenti a non lasciare nemmeno l'ultima via di fuga in quel posto maledetto, Keima lo aveva capito fin da subito grazie alle voci.
Ai dottori Keima non aveva parlato delle voci. Temeva che, se lo avessero saputo, le avrebbero considerate un ulteriore sintomo della sua malattia, e le avrebbero dato altre pillole col risultato di intontirla del tutto, e ridurre il suo mondo a una nebbia inconsistente.
Era già abbastanza brutto perdere i colori, se avesse perso anche la capacità di percepire le forme, che cosa mai sarebbe rimasto di lei?
E inoltre, aveva il sospetto che nessuna pillola sarebbe riuscita ad attenuare le voci.
Le voci erano reali, molto più della realtà monocroma in cui Keima era costretta a vagare di giorno. Gli altri pazienti, quando la incontravano nella sala comune o durante i pellegrinaggi nei lunghi corridoi diretti allo studio di un medico, sempre rigorosamente scortati da due infermieri rudi e scorbutici, le rivolgevano sguardi allucinati e farfugliavano idiozie senza senso. Nessuna di quelle voci somigliava a quelle che Keima sentiva di notte, perciò era certa che non fossero le voci dei pazienti quelle che urlavano di terrore nel buio, quelle che supplicavano di essere liberate.
Non i pazienti imprigionati attualmente in quella struttura da incubo.
Dovevano essere accadute cose terribili nel passato di quel luogo, cose che lei, con la sua particolare sensibilità, era ancora capace di percepire, nonostante l'avessero imbottita di pillole tanto da privarla di ogni gioia, da renderla insensibile e apatica, da sbiadire ogni colore.
Keima li ricordava solo vagamente, da quando era stata rinchiusa lì. Ricordava come, un tempo, ai suoi occhi ogni persona aveva il suo colore, lievi sfumature di rosso e d'azzurro, di verde e di viola, e giallo e rosa e arancione, colori bellissimi, colori gustosi.
Non c'era nulla di paragonabile lì, anche il cibo era grigiastro e insapore.
Quella mattina, dopo una notte particolarmente tremenda, una notte in cui il sussurro malvagio era passato a torturarla ben due volte, strappandole rantoli di terrore e suppliche soffocate assieme alle altre voci, e in cui la strega non era giunta con la sua cantilena insensata a portarle sollievo, due infermieri vennero a prenderla nella sua stanza per portarla dal dottore, senza darle nemmeno il tempo di cambiarsi.
Era insolito, perché le visite non cominciavano se non dopo colazione, dopo le pillole, e gli infermieri portavano via i pazienti prigionieri in un limbo sonnolento quando si trovavano nella sala comune, non nelle strette celle in cui erano costretti a dormire, chiusi a chiave nella loro solitudine.
Che avessero capito il segreto che lei così accuratamente custodiva, e che intendessero cambiare la sua terapia nel tentativo di zittire le voci?
Lo studio non era nemmeno lo stesso in cui la conducevano ogni volta. Il dottore non era lo stesso.
Questo era alto, allampanato, con uno sguardo severo che lo faceva assomigliare più a un avvocato, o a un inquisitore, che a uno psichiatra.
– Keima Irida – lesse il dottore dalla cartellina quando rimasero soli, separati da un'ampia scrivania. – Detta "la strega", o "la divora-anime". Sai dove ti trovi?
– Manicomio... – biascicò Keima, affaticata dai residui delle pillole della sera, e dalla tremenda notte insonne appena passata. Odiava quegli interrogatori, i dottori la trattavano sempre come una bambina ignorante.
– ...criminale di Alsberg – concluse in tono sbrigativo il dottore. Poi allineò sul bordo della scrivania più vicina a lei tre pillole accanto a un bicchiere d'acqua. Probabilmente avevano colori diversi, ma Keima non riusciva a distinguerle.
– Sai che cosa fanno? – Chiese il medico. – Ti è stato detto lo scopo della tua terapia?
Lei scosse la testa. Sapeva soltanto che la rendevano debole, e che avevano precipitato il suo mondo variopinto in una tediosa tetraggine.
Il dottore indicò la prima pillola. – Questa ti impedisce di fare del male. A te stessa, o ad altri.
Keima soffiò un debole sbuffo. In un posto del genere, i dottori erano molto più paranoici di coloro che pretendevano di curare.
Il dottore indicò la seconda pillola. – Questa blocca le tue particolari... capacità. È necessario, dal momento che le hai usate così male.
Keima fissò la pillola di mezzo con odio. Eccola, quella che le aveva tolto i colori dagli occhi, quella che l'aveva precipitato in un limbo monocromo. Keima rivoleva l'arcobaleno, e l'avrebbe riavuto a ogni costo.
Peccato che per lei la pillola di mezzo fosse indistinguibile dalle altre, quand'erano tutte e tre nel bicchierino in cui gliele consegnavano, e che si sentisse sempre così fiacca, e che la sua mente un tempo così acuta, astuta, si era fatta troppo lenta per ideare un piano.
– E questa – disse infine il dottore, indicando la terza pillola. – Questa ti permette di sentire il dolore di tutte le anime che hai rubato. Sì, tutta la forza vitale che hai sottratto, intrappolandola dentro di te, le anime divorate, abbiamo trovato il modo di farti sentire in maniera concreta il peso della tua colpa.
Mentiva, si disse Keima. Era ovvio: avevano capito che lei li sentiva, i fantasmi che infestavano il loro bel manicomio, e non volevano che lei ascoltasse le loro voci, non volevano che lei scoprisse che cosa avevano fatto in passato a coloro che l'avevano preceduta, che li liberasse dal loro tormento rivelando i turpi segreti di quei cosiddetti medici.
Il dottore riunì le tre pillole in un bicchierino di plastica e lo posò accanto al bicchiere d'acqua, poi la fissò con quel cipiglio severo da inquisitore e dichiarò: – Keima Irida, devi liberarle. Devi lasciar andare le anime che trattieni. Questo è il primo passo che devi compiere per redimerti.
Dentro di lei, le voci iniziarono a urlare.

sabato 3 febbraio 2024

Incontestabile

Incontestabile [in-con-te-stà-bi-le] agg. Che, per la sua evidenza, certezza ecc. non può essere messo in discussione, confutato.

Etimologia: composto dal in, prefisso con funzione negativa, e contestabile, dal verbo contestare, che deriva dal latino contestari, "chiamare a testimoniare, intentare un processo con la citazione dei testimoni" a sua volta composto da con, particella indicante mezzo, strumento, e da testis, "testimone".



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di KATRIN BOLOVTSOVA da Pexels


Non ero più un essere umano, e questo era un fatto incontestabile.
Lo sentivo nella mia carne. Percepivo ogni parte di me, le mie dita, i miei piedi, le braccia, le ginocchia, il naso, come un'entità separata che si muoveva all'unisono, e sapevo che sarebbe bastata un'idea, un guizzo della mia mente, per mutarle davvero in entità distinte, seppure unite da una sola mente: uno sciame di farfalle, uno stormo di rondini, un banco di pesci, un groviglio di serpenti.
Non mi ero fermato a pensarci, prima, spinto dall'urgenza di seguire il più in fretta possibile le sue istruzioni, di fare quanto era necessario per guarirlo, ma una volta esaurito il mio compito, nel tempo dell'attesa, la verità di quel mutamento mi colpì come un lampo di luce accecante.
Non ero più un essere umano.
Lui si sedette accanto a me, sul letto in cui mi aveva tenuto prigioniero. Nessuna corda avrebbe più potuto trattenermi, e anche questo era incontestabile. Non si può catturare chi non ha né un nome, né una forma.
Fissavo le mie mani nel riflettere su tutto questo, così quando mi sfiorò le dita con le sue vidi che la sua pelle non era più screpolata e rugosa come la vernice di un vecchio quadro, era... normale, almeno in apparenza, umana.
Anche se lui, a differenza di me, non lo era mai stato.
– Come ti senti? – mi chiese, e anche la sua voce era diversa, più sicura, calda, coerente, la voce di una mente più lucida. Ecco com'era davvero, come non lo avevo mai conosciuto in quei giorni di tormento e agonia per entrambi.
– Vivo – gli risposi, ed era la verità. – E tu?
Lui rise e si chinò in avanti, e in un istante fu una grossa pantera, poi si scompose in uno sciame di scarabei iridescenti, che turbinarono in un volo ravvicinato fino a ricompattarsi nella figura di un uomo in piedi.
– Vivo – disse, e mi tese la mano.

giovedì 1 febbraio 2024

Audioracconto - Basse aspettative


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Tima Miroshnichenko da Pexels


Nessuno si aspettava che lei sopravvivesse. Non sarebbe nemmeno dovuta essere lì...

Basse aspettative
(racconto breve di narrativa non di genere)


Trovi gli altri racconti sul canale YouTube: https://www.youtube.com/@lavocedellapiuma

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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2021/11/basse-aspettative.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musiche: Quiet di Audionautix (http://audionautix.com), dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=uOPc2wU7pKo);
Had She Stayed di Puddle of Infinity, dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=7GMvowwkIw4).

Immagini di: Tima Miroshnichenko (https://www.pexels.com/it-it/foto/donna-caffe-relax-scrivania-5717270/), (https://www.pexels.com/it-it/foto/donna-scrivania-ufficio-internet-5717512/) e (https://www.pexels.com/it-it/foto/donna-ufficio-capo-ritratto-5717626/), MART PRODUCTION (https://www.pexels.com/it-it/foto/persona-donna-smartphone-lavorando-7223025/), Chevanon Photography (https://www.pexels.com/it-it/foto/vista-panoramica-del-mare-contro-il-cielo-durante-il-tramonto-333525/), Matheus Bertelli (https://www.pexels.com/it-it/foto/aereo-abbandonato-dopo-un-incidente-su-un-terreno-innevato-4558660/), Pixabay (https://www.pexels.com/it-it/foto/montagna-innevata-414124/), Charles Haacker (https://www.pexels.com/it-it/foto/la-fotografia-macro-di-fiocchi-di-neve-3617969/), Nadezhda Moryak (https://www.pexels.com/it-it/foto/raffreddore-inverno-congelato-ghiaccio-7127403/), Gantas Vaičiulėnas (https://www.pexels.com/it-it/foto/persona-che-cammina-sulla-neve-1891882/), Pavel Danilyuk (https://www.pexels.com/it-it/foto/legna-da-ardere-cucinando-carne-fumare-9143954/), fauxels (https://www.pexels.com/it-it/foto/persone-che-mangiano-pizza-durante-la-pausa-3184342/), Maksim Goncharenok (https://www.pexels.com/it-it/foto/raffreddore-donna-inverno-cappotto-9954277/) da Pexels, distribuite ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).