sabato 30 dicembre 2023

Gnomico

Gnomico [gnò-mi-co] agg. (pl.m. -ci, f. -che) Sentenzioso, moraleggiante.

Etimologia: dal greco gnōmikós, derivato di gnóme, "sentenza, massima", propriamente "modo di pensare", da gnóo, "conosco".


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Yan Krukau da Pexels


Nella grande piccola città nella foresta, il Vecchio Saggio era noto per essere il più gnomico tra tutti gli gnomi. Da mattina a sera e da sera a mattina, non faceva che intromettersi nei discorsi altrui sentenziando, ad esempio: – Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace – oppure – La pazienza è la virtù dei forti – o ancora – Una buona azione e un sorriso sincero rendono lo gnomo più felice davvero.
Era talmente nota questa sua abitudine, che i più appena lo vedevano arrivare, soprattutto se andavano di fretta, lasciavano cadere ogni discorso, si accomiatavano dall'interlocutore e poi via, ognuno per la sua strada, molto prima che il Vecchio Saggio, con la sua flemma, raggiungesse il luogo in cui si trovavano. L'anziano gnomo non lo avrebbe mai dato a vedere, ma un po' ci rimaneva male quando accadeva. E non capiva come mai ciò accadesse sempre più spesso.
Da parte sua, infatti, era convintissimo di dispensare consigli originali e assai utili, molto più delle chiacchiere pigre che si scambiava la maggior parte degli gnomi. Era del tutto ignaro che le sue massime fossero ormai note a tutti per aver studiato, da giovani gnomi, il compendio della sua saggezza raccolta nel corso degli anni, e altresì ignorava che ogni sua interruzione faceva perdere agli altri il filo del discorso, e ritrovarlo poi in mezzo alla foresta era assai complicato.
Così il Vecchio Saggio non si perdeva d'animo, e annunciando: – La fretta è una cattiva consigliera – se ne andava altrove a cercare chi gli prestasse orecchio.
Il Vecchio Saggio non si scompose nemmeno quando una giovane gnoma, esasperata dalle continue intromissioni, gli ritorse contro un suo commento gnomico, e più precisamente quello che fa: – È da maleducati interrompere chi parla.
– Ah, sì, certo – fece il Vecchio saggio, quella volta. – Ma è da ricordare che noi gnomi abbiano due orecchie e una sola bocca, per ascoltare di più e parlare di meno.
Eh già, non c'era proprio verso di spuntarla con il Vecchio Saggio.

giovedì 28 dicembre 2023

Audioracconto - Storia di un indesiderato


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Foto di
 Pixabay da Pexels


Natale, tempo di regali, tempo di giocattoli che trovano una casa nuova. Ma non tutti sono così fortunati.

Storia di un indesiderato
(racconto breve adatto ai bambini e perché no, anche agli adulti!)


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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2019/12/storia-di-un-indesiderato.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musica: Oh, Little Town of Bethlehem di Kevin MacLeod (https://incompetech.com/)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=YP3KcHj8rTM).

Immagine di: Pixabay (https://www.pexels.com/it-it/foto/bambola-triste-del-pagliaccio-nel-cestino-208087/) da Pexels, distribuite ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

lunedì 25 dicembre 2023

La principessa pesce


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Foto di Becerra Govea Photo da Pexels


Questa ti sembrerà una fiaba, una di quelle che iniziano con "c'era una volta, tanto tempo fa, in un regno lontano lontano", e in verità avrei potuto iniziare proprio così, se non fosse che tutto questo è successo a me, proprio a me, quand'ero un ragazzo, quindi non proprio tanto tempo fa, e in questa stessa città, dunque neanche troppo lontano.
Quindi, se non posso iniziare in quel modo, come comincio? Ah, ho capito, inizierò così: ho sempre amato gli acquari.
Non quelli piccoli, le bocce da pesce rosso e gli altri da tenere in casa, con un minuscolo scorcio di oceano in cui nuotano pesciolini formato mignon. Intendo le vasche enormi dell'acquario cittadino, quelle quasi infinite per gli occhi di un ragazzo che non abbia mai visto il mare, lunghe vetrine dove poter schiacciare il naso e guardare gli squali passarti a pochi centimetri dalla faccia, e i delfini nuotare veloci, e meduse e anguille e barracuda e ogni sorta di pesce tropicale, colorato e sinuoso che danzava nell'acqua, solitario o in grossi banchi in cui tutti si muovevano all'unisono, sincronizzati.
Fu solo naturale che, non appena ebbi l'età e il tempo per farlo, mi offrii volontario per dare una mano nell'acquario cittadino. Dapprima mi misero a spazzare i pavimenti e a lustrare i vetri appannati dal fiato dei bambini curiosi com'ero stato io, e mi andava anche bene, perché mentre mentre passavo lo straccio e lo spazzolone fin dove le mie braccia riuscivano ad arrivare, potevo continuare a guardare oltre il vetro l'andirivieni ipnotico dei pesci. Non passò molto prima che si fidassero a mandarmi in immersione nelle vasche a sistemare coralli e rocce e a raccogliere le conchiglie abbandonate dai paguri, o altri lavoretti simili. Allora non c'erano bombole e mute da sub, ci andavo così com'ero, io che mi ero dimostrato particolarmente bravo a trattenere il fiato a lungo, anche più degli adulti che lavoravano lì da tanto, e di questo potevo andare fiero. Ovvio che mi mandavano giù solo nelle vasche che non erano pericolose, niente nuotata tra gli squali o le meduse: per la manutenzione di quelle vasche ci andava un esperto con un'ingombrante attrezzatura da palombaro. Ma io mi accontentavo, era già bello sentirmi sfiorare dai delfini, i cui schiocchi parevano una risata alle mie orecchie ovattate dall'acqua, o sentire il gorgogliare delle bolle man mano che il fiato mi sfuggiva di bocca, e la carezza delle alghe sulle mani mentre le spostavo per vedere il fondo, e la lotta a colpi di gambe e bracciate contro una forza che cercava di tirarmi su, verso il confine tra l'acqua e l'aria.
Quella che mi piaceva di più era una vasca d'acqua dolce che rappresentava uno scorcio di fauna acquatica lacustre, e che si trovava in parte all'esterno, così che il sole nelle ore diurne, e la luna in quelle notturne, scendeva coi suoi raggi a illuminare le squame dei pesci guizzanti e le rocce sfaccettate che costellavano il fondo tra grovigli d'alghe e aggregati di mitili. Adoravo tuffarmi in quella vasca, tanto che più di una volta ci ero andato anche di nascosto, quando l'acquario era chiuso, data la sua particolare collocazione mi rendeva facile intrufolarmi in quella zona dell'acquario.
Ora, nel periodo di cui ti voglio parlare era successa una cosa particolare, che aveva attirato la mia attenzione. Non era raro che un pescatore o un allevatore di pesci affidasse all'acquario un esemplare che riteneva insolito o degno di nota, e a volte si trattava davvero di un pesce esotico abbandonato da qualcuno, ma più spesso era una semplice trota o carpa con una colorazione diversa dal solito.
Quello che ci portò uno dei soliti pescatori quella volta, però, era qualcosa di totalmente nuovo. Il pesce, lungo quanto il mio braccio, aveva squame iridescenti e pinne viola molto lunghe, che nell'acqua si agitavano come strisce di tessuto, e un cerchio dello stesso colore sulla sommità del capo, con punte che lo facevano assomigliare a una corona. Non s'era davvero mai visto un pesce del genere nell'acquario, tanto che, in attesa dell'esperto dalla capitale per classificarlo, il pesce grazie a quella sua caratteristica coroncina venne soprannominato "pesce principessa" e messo assieme agli altri nella vasca d'acqua dolce, visto che era proprio in un lago che era stato pescato.
Non mi lasciarono, per quel giorno, tuffare nella vasca dov'era conservato quell'esemplare unico. Ma potevo io farmi scappare l'occasione di nuotare assieme al pesce principessa, prima che l'esperto dalla capitale venisse a portarcelo via per renderlo famoso? No, non potevo. Proprio non potevo.
Così, quella notte, m'intrufolai oltre il cancello dell'acquario come avevo già fatto tante volte, e sgattaiolai fino alla solita vasca, ma quando ci arrivai, scoprii che non ero stato il solo a scegliere proprio quella nottata per un tuffo tra i pesci. A nuotare a fior d'acqua, sotto i raggi di luna, c'era la donna più bella che avessi mai visto, una donna dalla pelle scintillante e un lungo abito viola, il cui strascico e le cui maniche fluttuavano nell'acqua come le pinne del pesce che ero venuto a trovare. Sulla testa, tra i ricci scuri, era posata una coroncina di fiori dello stesso colore dell'abito.
– Mi ricordo di te – disse la donna, con una voce che aveva in sé la melodia gorgogliante dell'acqua. – Mi guardavi proprio così oggi, così come fai adesso.
Alle sue parole mi resi conto di avere la bocca spalancata dalla meraviglia, allora mi diedi un contegno e le dissi, col tono più professionale che riuscii a dare alla mia voce ancora un po' infantile: – Non lo sai che non si può nuotare qui? È vietato.
Ero consapevole che era la stessa cosa proibita che ero venuto a fare io, ma nella mia testa la questione era diversa: io lì ci lavoravo, mentre lei era un'estranea che passava per caso.
– Ah no? – ribatté la donna. – Se non si può, perché dunque mi avete messo qui?
Aggrottai la fronte, e solo qualche istante dopo capii: la donna voleva farmi credere di essere il pesce principessa, trasformato... no, non poteva essere. Eravamo in pochi a sapere dell'esistenza dell'insolito esemplare, il pescatore e noi dell'acquario, e io non lo avevo detto a nessuno. Prima che potessi chiederle chi le aveva parlato del pesce, la donna proseguì: – Io sono davvero una principessa.
Scoppiai a ridere: ce la stava mettendo tutta per ingannarmi e farmi credere di essere il pesce che era stato portato all'acquario nel pomeriggio. Frugai con gli occhi la vasca: le sue lunghe pinne viola e il suo corpo iridescente non dovevano essere difficili da scorgere, anche alla luce tenue della luna, eppure non lo vidi da nessuna parte. Nel frattempo, la donna si era avvicinata a nuoto al bordo della vasca dove stavo io.
– Sembri un ragazzo a modo, e vorrei poter continuare a parlare con te, ma il tempo sfugge. Devo tornare da dove sono venuta prima che il sole sorga, o non potrò cambiare forma mai più, e il mio regno sarà perduto. Ma non conosco la strada... – si lamentò la donna nella sua voce gorgogliante, con l'abito che le fluttuava attorno in una macchia viola nell'acqua. Da vicino vidi che aveva le gambe, normalissime gambe e non la coda da pesce come una sirena. Uno si aspetta che una donna pesce sia almeno un po' pesce, quello avrebbe reso veritiera la sua storia assurda, e invece no, era in tutto e per tutto una donna come le altre, a parte la pelle scintillante come madreperla o come riflessi di luce sulle onde.
– E quindi vorresti il mio aiuto – le dissi. Ero scettico, ma decisi di stare al gioco.
– Sì! – fece subito la donna. – Sì, per favore. In cambio, esaudirò un tuo desiderio, grande o piccolo che sia. Na devo arrivare prima che sorga il sole, o tutto sarà perduto.
Sapevo qual era il lago dove il pescatore aveva trovato il pesce principessa, e non era nemmeno tanto distante. Ci potevo arrivare comodamente in bici, ma lei come avrebbe fatto?
Glielo dissi. – Certo, se fossi piccola come un pesce, ti potrei mettere dentro un sacchetto con un po' d'acqua nel cestino...
Non ebbi neanche il tempo di finire la frase che la sua pelle scintillante risplendette di più, fino ad abbagliarmi, e quando la luce che diffondeva si affievolì, di fronte ai miei occhi non c'era più una donna in abito viola, bensì il pesce iridescente dalle lunghe pinne di quello stesso colore, e un cerchio viola come una coroncina sulla sommità del capo. Mi strofinai gli occhi un paio di volte, ma il pesce continuò a restare un pesce.
Non potevo crederci. La sua storia era vera. Tutto quel che mi aveva detto la principessa pesce era vero!
Stando così le cose, capii che non potevo permettere che un sedicente esperto la portasse via dalla sua casa per metterla in mostra. Così la caricai con un po' d'acqua della vasca nel cestino della bicicletta, come le avevo detto, e pedalai più svento che potevo verso il lago dov'era stata pescata.
Chi ha detto che i pesci sono muti, non ha mai sentito una principessa pesce lamentarsi e incitare a far più in fretta man mano che avverte l'alba avvicinarsi. La notte non era ancora del tutto trascorsa quando infine si tuffò nelle acque del suo regno, e fu così salva dal destino infelice che mi aveva annunciato.
Tornata donna, la principessa pesce mi ringraziò con un bacio sulla fronte, e dopo di allora, non la vidi mai più. Fine della storia.
Ah, il desiderio, dici? Sei tanto curioso di sapere che cosa ho chiesto come ricompensa?
Ti dirò solo che da quel giorno non ho avuto alcun problema a tuffarmi nelle vasche degli squali o delle meduse senza timore, e che quando i delfini si scambiano schiocchi e risate chioccianti, alle mie orecchie suonano come parole.

sabato 23 dicembre 2023

Reprobo

Reprobo [rè-pro-bo] agg., s. 1. agg. non com. Condannato dalla giustizia divina; dannato. 2. agg. estens. Malvagio, empio. 3. s.m. (f. -ba) Nei significato dell'aggettivo.

Etimologia: dal latino reprobus, composto da re, "indietro, in senso contrario", e da probus, "buono, onesto, retto".



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Sacha Moreau da Pexels


L'alba sorgeva quel giorno su un nuovo me, più consapevole, ma anche più triste e spaventato. Era una seconda metamorfosi, dopo quella subita mio malgrado nella Valle, ma stavolta il mio corpo non era cambiato; solo la mia conoscenza di me stesso era mutata.
– Non l'ho cercato per nobiltà d'animo – confessai al saggio bendato che mi aveva condotto lontano dagli altri dormienti, una volta ottenuta la risposta in sogno. – Non sapevo che lo avrei trovato. Ero là per rubare un tesoro.
Non volevo parlarne, ma il saggio bendato aveva uno strano calore in sé, un calore paziente, che sciolse la mia lingua.
– Liri aveva ragione, non sarei dovuto venire. Lei non ha idea di quello che ho fatto, di tutte le atrocità, la sofferenza...
Mi premetti le mani sulla fronte, e fui a tanto così dal perdermi in una vampata di fuoco al pensiero di quei ricordi ritrovati. Liri non sapeva, eppure mi aveva dato il consiglio giusto, quello che io non avevo ascoltato: non cercare.
– Come ha potuto scegliere me? Come ha potuto il fuoco di drago offrirsi a me, a un'anima dannata, a un reprobo senza speranza di redenzione? Avrebbe dovuto bruciarmi, non salvarmi.
– Ah – fece il saggio, lentamente. – Come ti definisci, non è quel che vedo e sento.
– Non mi conosci. – Mi alzai in piedi e camminai avanti e indietro nella cella disadorna. – Non posso tornare nella Valle. Ora che ricordo chi sono, se il vecchio me ritornasse, e con tutto il potere che ho adesso...
Era un pensiero terrificante. Non volevo far del male a Liri o ai pacifici Guardiani della Valle, che mi avevano accolto dopo il cambiamento pur ricordando ciò che avevo fatto loro.
– Ma tu devi tornare. Se non perché appartieni a quel luogo, per ciò che hai lasciato là.
Pensai che il saggio si riferisse a Liri, ma poi rammentai. I miei scagnozzi, uomini altrettanto reprobi e privi di scrupoli, erano ancora nella Valle, e non sarebbero rimasti prigionieri a lungo. Erano una mia responsabilità, un residuo del passato di cui dovevo occuparmi.

giovedì 21 dicembre 2023

Audioracconto - La cometa di Colmarino


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Foto di Ertabbt da Pexels


Una cometa compare nel cielo di Colmarino la notte tra il 24 e il 25 dicembre. Negli stessi giorni, una strana presenza si aggira tra le strade del paese... che i due eventi siano collegati?

La cometa di Colmarino
(racconto breve adatto ai bambini e perché no, anche agli adulti!)


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Racconto bonus inedito di Natale.

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musiche: FairyTale Waltz di Kevin MacLeod (http://incompetech.com/)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=FYt6nTr80eY);
Deck The Halls (Christmas Cover) di myuu (https://soundcloud.com/myuu)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=-N4jXd30U30);
Christmas Homecoming di Aaron Kenny (https://www.youtube.com/channel/UCVAggfwI4hnkA2WO6-xC06Q)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=sS7bfMc2z_4).

Immagini di: Ertabbt (https://www.pexels.com/it-it/foto/citta-croce-stella-cadente-cristianesimo-11893055/), Tuấn Kiệt Jr. (https://www.pexels.com/it-it/foto/carino-modello-bokeh-natale-19364205/), Ali Pazani (https://www.pexels.com/it-it/foto/vacanza-donna-festivo-inverno-6224134/), Yaroslav Shuraev (https://www.pexels.com/it-it/foto/uomo-vacanza-natale-interni-6184679/), Dmitry Rodionov (https://www.pexels.com/it-it/foto/moda-uomo-ritratto-mutande-15293977/), RDNE Stock project (https://www.pexels.com/it-it/foto/piastre-persona-donna-tavolo-6517986/), JÉSHOOTS (https://www.pexels.com/it-it/foto/persone-in-piedi-di-fronte-all-albero-di-natale-con-luci-durante-la-notte-242422/), Vish Pix (https://www.pexels.com/it-it/foto/citta-traffico-notte-strada-19518257/), iddea photo (https://www.pexels.com/it-it/foto/donna-luci-festivo-ragazza-19480548/), Capture Blinks (https://www.pexels.com/it-it/foto/spettacolo-pirotecnico-di-colori-assortiti-285598/) da Pexels, distribuite ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

lunedì 18 dicembre 2023

Piantar bandierine


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Foto di Lara Jameson da Pexels


Il Banco degli Ori e Tesori si fregiava di essere uno degli istituti più antichi e generosi al mondo, con tutto il denaro che offriva profusamente in prestito alle altre attività sparse per il mondo e molto spesso anche ai governi delle varie nazioni. Nonostante questa facciata da benefattore, però, i suoi dirigenti avevano lo stesso atteggiamento dei generali che pianificavano una strategia bellica, e il loro nemico era il mondo intero.
Nella sala riunioni campeggiava infatti un enorme mappamondo, su cui di volta in volta i dirigenti-generali piantavano una bandierina per ogni loro vittoria. Sapevano di stare combattendo una guerra silenziosa e implacabile, una guerra senza caduti, ma con molti sconfitti e un solo vincitore.
– Abbiamo in pugno la Kamchatka – diceva uno, piantando la sua bella bandierina con il logo del Banco degli Ori e Tesori. – Non possono pagare il loro debito nel tempo stabilito dal contratto, e noi gli proporremo una dilazione... alle nostre condizioni.
Oppure: – Tutte le attività industriali della Groenlandia ormai sono di fatto nostre. – Ghigno, e bandierina. – Possiamo aumentare la produzione oppure chiuderle come ci pare e piace.
– Delocalizziamo? – proponeva un altro. – Ci serve più presenza in Siam, in modo da convincere il governo a mettersi in affari con noi.
Così conducevano quotidianamente il loro concilio di guerra, immersi in una bolla in cui esistevano solo loro e un mappamondo sempre più zeppo di bandierine, mentre fuori dal loro tranquillo universo la banca fremeva d'attività, impiegati che andavano e venivano spostando documenti e contratti, cassieri che contavano il denaro versato ed erogato, clienti che imploravano per un altro po' di tempo, o che scongiuravano di non vedersi dichiarati in bancarotta, timbri che calavano implacabili con tonfi sonori, computer che elaboravano e archiviavano cifre e dati, fotocopiatrici che fotocopiavano, porte che si chiudevano, passi che rimbombavano sonori assieme ai sussurri e ai colpetti di tosse nel grande atrio dalla cupola a volta e le colonne come in una cattedrale gonfia d'echi.
Alla fine della giornata, i dirigenti-generali del Banco degli Ori e Tesori non erano mai soddisfatti, poiché sapevano che avrebbero potuto fare di più, conquistare più territori, piantare più bandierine.
Ma anche qualcun altro, fuori di lì, non era affatto contento del loro operato.
– Una volta appartenevo solo a me stessa – mormorava sconsolata la Terra, tra le foglie delle sue foreste. E poi, con le onde degli oceani, brontolava tra sé: – E adesso arrivano questi miei figli, i più matti tra tutti quelli che ho ospitato dall'inizio dei tempi, e si credono di potersi prendere per loro il mio corpo, un pezzetto alla volta?
– Era così bella la vista da quassù – le fece eco il Sole. – Tutta verde e blu. Poi sei diventata di tanti colori, frammenti variopinti di diverse bandiere che credo chiamino nazioni quei tuoi figli di cui parli, ed eri bella lo stesso, ma ora tutte le bandiere stanno diventando una, e una sola sfumatura ti ricopre, e Terra mia, te lo devo proprio dire, che noia!
– Dobbiamo fare qualcosa – propose la Terra. – prendere in mano la situazione.
E insieme, Terra e Sole confabularono sul da farsi.
Era una bella mattina di tarda primavera quando avvenne, e i dirigenti-generali del Banco degli Ori e Tesori erano impegnatissimi a cercare di coprire i pochi spazi sul mappamondo su cui ancora non avevano piantato una bandierina.
Per primo giunse un soffio di vento solare che frisse in un istante tutti i computer e i server in cui erano conservati non solo i contratti in corso e le cifre che segnavano il ponteggio di quella guerra, ma perfino l'essenza stessa del denaro, ridotto ormai a niente più che una sequenza di zero e uno.
Fuori dalla sala riunioni fu il panico. Impiegati e cassieri si bloccarono, incerti su come affrontare la situazione inaudita. I clienti si disperarono o si rallegrarono, a seconda di com'era la loro situazione: c'era chi aveva perso tutto, e chi si era visto cancellare da un istante all'altro un debito enorme.
Quando una segretaria finalmente decise che era necessario interpellare i dirigenti, che reagivano solitamente in maniera iraconda con chiunque osasse interrompere il concilio di guerra, avvenne la seconda cosa. Ovvero, precisamente, la Terra diede uno scossone che rovesciò il contenuto degli schedari, mischiando tutti i documenti, e sbalzò via dal mappamondo tutte le bandierine. Ed era inutile che i dirigenti si affannassero a rimetterle al loro posto, perché ogni volta che ci provavano, un nuovo scossone le faceva crollare nuovamente giù.
Dopo vari tentativi, capita l'antifona, i dirigenti-generali si guardarono sconsolati e muti.
Com'era possibile condurre una guerra se non c'era verso di segnare il punteggio?

sabato 16 dicembre 2023

Erubescente

Erubescente [e-ru-be-scèn-te] agg. lett. Che tende al rosso; riferito a persona, che arrossisce.

Etimologia: dal latino erubescentem, participio presente di erubèscere "arrossire", composto dalla particella ex e da rubèsco "divento rosso". A sua volta incoativo di rùbeo "essere rosso, rosseggiare" che è derivato da ruber "rosso".



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Lisa Fotios da Pexels


Stefania era scappata ridendo dal gatto parlante, quando la sua espressione e la sua voce furente le avevano detto che era meglio scappare. – Be', che gatto permaloso – si disse non appena capì di non essere più inseguita e dunque, forse, al sicuro. – Prendersela per una cosa da nulla come un fiorellino in testa!
La sua risata forzata si perse in echi tra gli alberi del bosco e si confuse nella pioggia. Fu allora che Stefania si sentì, come mai le era capitato prima, sola.
– Forse non sarei dovuta scappare – ammise tra sé con un sospiro. Si era persa, ed era bagnata fradicia nonostante la grande foglia che le faceva da ombrello, e infreddolita. Non ebbe il tempo di pentirsi a lungo della sua fuga.
Quando la pioggia smise, il mondo divenne rosso. Gli alberi erubescenti parevano aver risposto all'arrivo dell'autunno in un battito di ciglia, la terra si era fatta color mattone e persino il cielo al di là delle fronde di era infiammato di sfumature scarlatte. Qualcosa le disse che, se fosse stato lì, perfino il gatto parlante sarebbe mutato in un bel gattone rosso.
Sembrava una specie di magia.
– Ma no, sciocchina, hai una pietra in un occhio! – sbottò una voce sopra la sua testa. Il primo pensiero che le venne in mente, e che la fece avvampare dalla vergogna, fu che il gatto parlante l'avesse raggiunta giusto in tempo in tempo per quel commento tanto sprezzante quanto incomprensibile.
Stefania lasciò cadere la foglia-ombrello e si coprì le gote erubescenti con le mani. – Mi spieghi come posso avere una pietra in un occhio? Capisco una lacrima o una ciglia, ma una pietra... me ne accorgerei se ce l'avessi, non credi?
Stefania alzò lo sguardo ai rami dell'albero sopra di lei in cerca del gatto, ma il gatto non c'era. L'unico dettaglio degno di nota era una macchia più rossa delle foglie, che a ben guardare aveva le penne e un becco piegato in un sorriso.
– Lascia che te la tolga – disse l'uccellino, un cardinale rosso, e poi calò in picchiata ad artigli protesi verso di lei.

giovedì 14 dicembre 2023

Audioracconto - Io e il folletto


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Rachel Xiao da Pexels


Ascolta il primo racconto della serie qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2023/12/audioracconto-malcolm-millipedegutter.html

Da quando ero tornata nella vecchia casa dei miei genitori, la convivenza con il mio scomodo, piccolo coinquilino a sorpresa non era iniziata nel modo migliore. Ci volle tempo prima che io e Malcolm Millipedegutter cominciassimo ad andare d'accordo.

Io e il folletto
(racconto breve adatto ai bambini e perché no, anche agli adulti!)


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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2019/12/io-e-il-folletto.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musiche: Lullabye (Sting) di Twin Musicom (http://www.twinmusicom.org/)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=eKNUpcpfpxw);
Dog Park di Silent Partner
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=LBeDpbhJYwo);
Christmas Village di Aaron Kenny
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=yjIy5VrVZYM).

Immagini di: Rachel Xiao (https://www.pexels.com/it-it/foto/casa-di-marzapane-vicino-vaso-di-vetro-trasparente-riempito-di-caramelle-772399/), Ayşegül Akdaş (https://www.pexels.com/it-it/foto/cibo-dessert-dolce-biscotti-14518495/), Pixabay (https://www.pexels.com/it-it/foto/gattini-di-colore-assortiti-45170/), Andreas - (https://www.pexels.com/it-it/foto/bianco-e-nero-casa-rotto-tetto-14615663/), Sami Aksu (https://www.pexels.com/it-it/foto/mare-cielo-nuvole-foresta-9899096/), Eugene Golovesov (https://www.pexels.com/it-it/foto/regalo-decorazione-natale-composizione-19412192/) da Pexels, distribuite ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

lunedì 11 dicembre 2023

I Non Visti


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Cameron Readius da Pexels


Voi la chiamate sfortuna. La chiamate caso, o sorte, o legge delle probabilità, o ancora dea bendata. La chiamate buona giornata, la chiamate "calzini portafortuna", la chiamate malocchio, la chiamate mano magica, la chiamate coincidenza e a volte, solo a volte, la chiamate destino.
In realtà, a far rotolare e fermare i dadi sul tavolo da gioco, a far saltare come impazzita la pallina nella roulette, a frenare le ruote della slot machine o a mescolare le carte prendendo il croupier per mano non è una forza impersonale o una fantomatica dea.
A farlo siamo noi, io e gli altri come me.
Ah, immagino che sorpresa se poteste vederci seduti sul bordo del tavolo da gioco, appoggiati alle macchinette mangiasoldi, protesi sopra il panno verde con le fiches delle puntate, con le vostre fiches, intenti a scegliere chi vince e chi perde. Mi chiedo, se poteste vederci, se ci accusereste di barare, o se ci supplichereste di favorire voi, proprio voi tra tutti.
Ma non ci vedete, accecati da mille luci sfavillanti, dai giri veloci delle ruote dietro il vetro, dal rapido gioco di mano del croupier che distribuisce le carte. Non ci vedete e, purtroppo, quasi mai ascoltate il messaggio.
Perché il trucco è questo: noi non distribuiamo vincite o perdite a caso, o per capriccio, o in base a una simpatia personale. Stiamo cercando di inviarvi un messaggio nell'unico modo che conosciamo, manipolando eventi in apparenza casuali. Se spingo i dadi ripetutamente su un numero basso non lo faccio perché ti ho preso di mira, ma perché ti sto dicendo che è ora di smetterla, e di tornare a casa dalla tua famiglia. Se metto in mano al croupier proprio la carta che ti serve, è perché voglio spronarti a credere di più nel tuo progetto, e a realizzarlo con i fondi inaspettatamente guadagnati. Ma voi non ascoltate, assordati dal tintinnio dei gettoni e dalla musichetta trionfale del jackpot, e dal ticchettio della ruota che gira, rien ne va plus, e dalle troppe voci che parlano e ridono e si disperano e urlano, gioia o dolore, vita o morte.
Succede la stessa cosa fuori da qui, la stessa identica cosa. Se parlo del casinò è solo perché questo è il luogo che conosco meglio, questa è la mia casa. Ma fuori di qui, molte di quelle che chiamate coincidenze sono opera nostra. Noi rallentiamo la corsa di un treno per darvi il tempo di accorgervi del paesaggio, facciamo scattare il rosso al semaforo per farvi arrivare in ritardo all'appuntamento che rovinerà la vostra vita, e per merito nostro tutto si allinea alla perfezione per farvi ottenere quel posto di lavoro che non pensavate di voler accettare. Ma voi quasi mai ascoltate il messaggio. Perché lasciate sempre andare quello sconosciuto che si trova nel posto giusto al momento giusto per darvi una mano?
Non capite che vi avevamo messo sulla strada di un amico, o di un compagno.
Gli astrofisici, che più di tutti sono arrivati vicino a comprendere la nostra esistenza, hanno stimato che la materia oscura costituisca all'incirca il 90% della massa dell'universo. Questo significa che, per ognuno di voi, ci sono nove di noi. E no, non siamo i fantasmi dei defunti, non siamo alieni da altre dimensioni, non siamo spiriti evoluti o emanazioni divine.
Noi siamo, semplicemente, i Non Visti. Gli Ignorati, i fautori di casi e coincidenze, latori di un messaggio che non riuscite a comprendere.
La prossima volta che vi succede qualcosa senza un perché, nel bene o nel male, specie se vi costringe a riconsiderare i vostri piani... provate ad ascoltare. Potrebbe sorprendervi scoprire che dietro un contrattempo o una fortuna inaspettata, in fondo in fondo, un motivo c'è.

sabato 9 dicembre 2023

Commistione

Commistione [com-mi-stió-ne] s.f. Unione, mescolanza, perlopiù con riferimento a concetti, idee, valori e simili.

Etimologia: da tardo latino commixtionem, derivato da commiscere, "mischiare insieme", composto dal suffisso con- e da miscere, "mescolare".



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di MART PRODUCTION da Pexels


La prima volta che Virginia Blake sentì la canzone era nell'atrio della sua azienda, la VB Cosmetics. Nei sei maxischermi sistemati sulla parete di fondo passavano a ripetizione le pubblicità dei prodotti di punta, inframmezzate di tanto in tanto da un programma di notizie lampo dedicate al mondo della moda e dello spettacolo. Sfilate, eventi teatrali, novità della stagione non erano sufficienti di solito a distrarre Virginia Blake dalla conversazione con un cliente importante o con i suoi collaboratori più stretti, ma quella canzone lo fu.
Era una melodia fresca, diversa da qualunque altra Virginia avesse sentito negli ultimi anni, ed era difficilmente definibile. Era una commistione di stili e generi diversi, non esattamente pop, ma nemmeno lirica, nonostante la voce potente che la interpretava; non del tutto country, anche se in qualche passaggio ricordava quel tipo di melodia, ma nemmeno si poteva dire che fosse rock o blues o jazz, sebbene il tono qualche volta indugiasse su quei generi musicali.
Virginia si voltò a guardare, e fu allora che ebbe la sorpresa più grande. Gli spezzoni video dedicati a una giovane donna in sala di registrazione, le uniche immagini trapelate della misteriosa nuova star del momento, ritraevano un volto che lei conosceva. Aveva già spiato quel viso nelle foto sottratte a un laboratorio di robotica che aveva finanziato in segreto.
Quel progetto era morto e sepolto, o almeno così lei pensava.
Nella mente di Virginia Blake affiorò il pensiero che forse quella era la donna che aveva fatto da modello per l'aspetto dell'androide, ma se non lo fosse stata?
Se fosse stata, invece, la creatura scampata miracolosamente all'incendio, funzionante, reale, e così viva? Non appena se lo chiese, Virginia Blake capì che doveva scoprirlo. Doveva assolutamente scoprire quale meravigliosa commistione di programmazione ed esperienza aveva dato origine alle emozioni che leggeva nel volto di quella donna che cantava un'indefinibile melodia.

giovedì 7 dicembre 2023

Audioracconto - Malcolm Millipedegutter


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Skitterphoto da Pexels


Malcolm Millipedegutter non esiste. Se lo era inventato mio fratello, quando eravamo bambini.
O almeno questo era quel che credevo.

Malcolm Millipedegutter
(racconto breve adatto ai bambini e perché no, anche agli adulti!)


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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/11/malcolm-millipedegutter.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musiche: Lullabye (Sting) di Twin Musicom (http://www.twinmusicom.org/)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=eKNUpcpfpxw);
By The Light of the Silvery Moon di E's Jammy Jams
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=G24S34R0Z7s).

Immagini di: Skitterphoto (https://www.pexels.com/photo/tilt-shift-lens-photography-of-brown-stand-twigs-630750/), Lisa Fotios (https://www.pexels.com/it-it/foto/la-fotografia-macro-di-una-pila-di-3-cookie-230325/) da Pexels, distribuite ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

lunedì 4 dicembre 2023

La Spettrale Foresta Sottosopra


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Mizuno K da Pexels


Mi trovavo una notte a camminare nella Spettrale Foresta Sottosopra, quando all'improvviso capii perché la chiamavano così. Io ero là, nel bel mezzo di un sinistro banco di nebbia che amplificava la luce di chissà quale Luna, a camminare per i fatti miei con il sottofondo gradevolmente inquietante di un coro di lupi ululanti e un accompagnamento misto di gufi e civette, quando mi sentii afferrare stretto per una caviglia, e tirare, e quasi sbattei la faccia a terra mentre prendevo il volo. No, non ero inciampato in una radice, a meno che le radici non riescano a sollevarti i piedi sopra la testa. Non credo abbiano ancora imparato.
Sottosopra, appeso per una caviglia, incrociai le braccia al petto.
– A-ha, mi hai preso, complimenti – sbottai senza troppo entusiasmo alla volta del burlone forzuto. Sbirciai da sotto in su nella nebbia per cercare di capire con chi avevo a che fare, ma non c'era niente attorno a me, nemmeno una sagoma indistinta nella caligine. Fu allora che il resto del nome di quel posto mi venne in aiuto: Spettrale Foresta Sottosopra.
Foresta, ero in una foresta.
Sottosopra, ero sottosopra.
Spettrale, non era una metafora, o una generica indicazione circa l'atmosfera.
Io dico che sapere con chi hai a che fare è la metà di quel che ti serve per risolvere un problema. L'altra metà ce la devi mettere tu, ma quello non era un problema, ero diventato ormai parecchio bravo a risolvere i miei problemi, una volta saputo con chi avevo a che fare.
Perciò non mi agitai, e allo spettro che si divertiva a mettere la gente sottosopra, chiesi: – Bene. E adesso che mi hai preso, che intendi fare?
Dalla nebbia provenne un timido booooh? un po' perplesso.
– A questo punto, se fossi un orco, mi mangeresti – incalzai il buontempone incorporeo, – Se fossi un drago, mi bruceresti. Ma tu non sei né l'uno né l'altro, giusto?
Boooooohhhh! risuonò nella nebbia.
– E siamo arrivati a capire che cosa non sei – soggiunsi, con un pizzico di condiscendenza. – Quanto al chi sei, amico, non credo tu lo sappia davvero.
Uno sbuffo agitò in un turbinio di volute il bianco lattescente accanto al mio viso, e qualunque cosa mi tratteneva sottosopra in aria si agitò scuotendomi tutto.
– Calma, calma, non c'è bisogno di agitarsi! Segui il mio ragionamento, vuoi?
La mia testa smise di ballonzolare appesa al resto del corpo. Lo spettro era in ascolto.
– Punto primo: sai come ti chiami?
Booooooooooooohhhhhhh! fu il lungo, depresso ululato che riecheggiò nella nebbia.
– Appunto – confermai. – Ma non basta. Tante persone non sanno come si chiamano, eppure sanno lo stesso chi sono, o almeno sono convinte di saperlo, e io non le contraddico. Ora, punto secondo: ti sei mai visto una volta allo specchio? Sai di che colore sono i tuoi capelli, i tuoi occhi, che forma ha la tua faccia?
Il booooOOoooooOOOooohhhHHHHhhhh! che fu la risposta alla domanda risuonò più modulato, quasi lamentoso.
Lo ammetto: gli avevo tirato un colpo basso. Chiedere a un fantasma se si era mai visto allo specchio era come chiedere a un pesce di cantare.
– Su, su, non è poi così male – dissi in tono consolatorio al mattacchione intangibile. – Ce n'è di gente che non si è mai vista allo specchio. Tanto per cominciare, chi non ce l'ha, un specchio.
Boh. mugugnò sottovoce la presenza nella nebbia, come a confermare che nemmeno lei ce l'aveva uno specchio.
– E questo ci porta al nostro punto terzo, per capire chi sei. Punto terzo: sai che cosa sei in grado di fare? Per esempio, sai che puoi mettere la gente sottosopra, ma sai se sei anche in grado, cosa ancora più difficile, di rimetterla dritta e lasciarla andare per la sua strada?
La testa mi girava un po' per tutto quello stare sottosopra, ma interpretai il ....boooooh? piuttosto tardivo di chi mi teneva in quella scomoda posizione come un buon segno.
– Avanti, provaci. Coraggio. Se non ci provi non lo saprai mai... – interruppi di colpo la mia esortazione quando senza troppa creanza la forza che mi tratteneva in aria per la caviglia mi mollò di colpo a terra, e poi mi afferrò per le spalle e mi strattonò nel rimettermi in piedi.
Raddrizzai gli occhiali storti, mi sistemai i capelli spettinati da cui tolsi qualche foglia, e mi tirai giù sulla pancia l'orlo del maglione. Dopo essermi risistemato alla bell'e meglio, diedi il mio responso all'entità spettrale. – Ci devi lavorare un po' su, ma non è male, come inizio.
BOOOOOOOHHHHH! esalò più forte e più deciso dalla nebbia e dagli alberi che mi circondavano. Non riuscivo a capire dove fosse, perciò mi dissi che una direzione a caso, se continuavo a camminare abbastanza a lungo, mi avrebbe sicuramente allontanato dalla cosa che abitava la foresta.
– Felice di essere stato d'aiuto! – dissi nell'accomiatarmi, una mano agitata in aria a mo' di saluto. – E mi raccomando, continua a esercitarti a raddrizzare le persone, solo così capirai chi sei davvero!
Ed è così che si concluse la mia avventura nella Spettrale Foresta Sottosopra, che pochi mesi dopo seppi essere stata ribattezzata "Spettrale Foresta Soprasotto".

sabato 2 dicembre 2023

Abbacinare

Abbacinare [ab-ba-ci-nà-re] v.tr. (abbàcino ecc.) [sogg-v-arg] 1. Torturare qualcuno, accecandolo con un bacino rovente o riflettente i raggi del sole. 2. estens. Abbagliare qualcuno con una luce intensa; in senso figurato, illudere, confondere qualcuno.

Etimologia: derivato da bacino, nel senso di recipiente metallico, come da primo significato del termine.


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Lisa Fotios da Pexels


La luce che proveniva dalle mani della bambina non era sufficiente ad abbacinare chicchessia, non nel senso di accecare, almeno, ma la sua stranezza confondeva la mente e lasciava sgomenti i contadini ignoranti. Sospesi tra gridare al miracolo e additarla come strega, tanto per andare sul sicuro quei bifolchi si facevano il segno della croce ogni volta che passavano davanti alla casa di suo padre, specialmente se notavano, nelle ore di buio, una luce fievole come la fiamma di una candela.
In realtà, spesso, quella che vedevano era soltanto una candela.
Non fu così la sera in cui Raphael, che si faceva chiamare Padre pur non appartenendo alla chiesa, giunse all'umile casa in cui quella bambina speciale era nata. L'uomo, che aveva seguito le dicerie con la stessa avidità di una falena che cerca la luce, poté constatare di persona la verità dello strano fenomeno.
Erano anni che Padre Raphael girava il mondo, accompagnato da questo o quell'altro ragazzino. Era cominciato con Miguel, che portava l'immagine della croce sulla schiena. Poi c'era stata Candela, con le stimmate sulle mani. Boran sapeva rovesciare gli occhi all'indietro di proposito, e parlare in linguaggi sconosciuti che facilmente si potevano far passare per la lingua degli angeli, anche se non capiva una parola di spagnolo. Enrique era stato con lui più a lungo, scaltro come pochi, nessun segno particolare ma aveva una parlantina sciolta da imbonitore e un vero talento nel fingersi ciò che la gente voleva che fosse.
Un vero peccato che, crescendo, avesse provato a pretendere un po' troppo.
E adesso, la bambina. Ancora troppo piccola, ma tra tutti i fenomeni strani a cui gli era capitato di assistere, quello era il più vero. Fortuna che era arrivato a lei prima che lo facesse un prete.
– Quanto volete per la piccola?
Chiese Padre Raphael. Abbacinata dall'oro, la sua famiglia non si accorse di quello che stava vendendo.

giovedì 30 novembre 2023

Audioracconto - La Rescissione


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Taras Makarenko da Pexels


In un futuro distopico, l'immaginazione è un male da curare.

La Rescissione
(racconto breve di genere fantascienza distopica)


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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2021/08/la-rescissione.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musica: Elysian di Artificial.Music (https://soundcloud.com/artificial-music)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=uBczKQOUJWA);

Immagini di: Taras Makarenko (https://www.pexels.com/photo/cars-ahead-on-road-593172/), Vlada Karpovich (https://www.pexels.com/photo/woman-working-from-home-4050288/), Ayşenaz Bilgin (https://www.pexels.com/photo/close-up-shot-of-sleeping-cats-15160170/), Pixabay (https://www.pexels.com/photo/breakfast-close-up-coffee-coffee-cup-460257/), Anna Shvets (https://www.pexels.com/photo/surgical-equipment-and-surgeon-performing-surgery-6291088/),AlphaTradeZone (https://www.pexels.com/photo/man-in-white-long-sleeves-shirt-sitting-in-front-of-a-computer-5831263/), Suzy Hazelwood (https://www.pexels.com/photo/assorted-title-books-1887609/), Photography Maghradze PH (https://www.pexels.com/photo/retro-tv-on-river-shore-near-forest-3764958/), Valeria Boltneva (https://www.pexels.com/photo/smiling-woman-holding-knife-14117/), Markus Spiske (https://www.pexels.com/photo/climate-sign-outside-blur-2990644/), Marko Garic (https://www.pexels.com/photo/a-crazy-man-sitting-inside-the-cell-9176716/), Lukas (https://www.pexels.com/photo/close-up-photography-of-black-bee-on-white-flower-408875/), Yaroslav Shuraev (https://www.pexels.com/photo/reflection-of-an-elegant-elderly-woman-wearing-a-floral-dress-8087749/) da Pexels, distribuite ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

Effetti sonori: over the bridge Highway drive interior di gecop (https://freesound.org/people/gecop/sounds/521767/), writing - pen 01.wav di Anthousai (https://freesound.org/people/Anthousai/sounds/337086/), da freesound, sotto licenza Creative Commons 0 (https://creativecommons.org/publicdomain/zero/1.0/).

lunedì 27 novembre 2023

Progresso


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di sergio souza da Pexels


Lo chiamavano Progresso. Ma per la Foresta, il suo nome era Morte.
I vecchi ricordavano ancora di quando tutto il mondo era Foresta, e raccontavano di quel tempo quasi mitico con nostalgia rimpianto.
– All'epoca i canti dei Piumiferi risuonavano incessantemente – dicevano, scandendo bene quella parola. – E il loro numero tra i rami degli alberi era incalcolabile. Il suolo era più fresco, una volta, e l'aria profumava di musco e mirra. Persino il sole, nel concederci la sua luce, era molto più gentile.
Ogni giovane abitante della foresta aveva almeno un nonno che si metteva di punto in bianco a rimembrare di un'epoca felice ormai trascorsa. E allora parlavano a ruota libera, ammorbando con vuote chiacchiere il nipote di turno rimasto disgraziatamente incastrato nella logorrea del vecchiardo. Non si rendevano conto che quelle parole non sembravano reali ai giovani Pellelegno: per loro, i Piumiferi erano sempre stati rari e silenziosi, l'erba che si piegava sotto i loro passi era sempre stata tiepida, l'aria aveva sempre avuto un retrogusto stantio e metallico misto al disgustoso sentore di cenere, e quanto al sole gentile, non capivano proprio che cosa intendessero dire gli anziani progenitori con quella espressione.
Il sole era sole, e nemmeno il Progresso poteva cambiarlo.
Quando le foglie della Foresta stormivano più forte nel vento e il raro canto di un Piumifero si levava tra le fronde, e gli Scuoiattoli fuggivano verso il cuore del bosco, i giovani Pellelegno raggiungevano i margini della Foresta, ridotta ormai a poche migliaia di alberi, e impotenti restavano a guardare. E piangevano lacrime di resina.
– Un altro albero brucia – dicevano gli anziani, che non avevano bisogno di vederlo per sapere ciò che stava accadendo. Lo sentivano nel vento, nel frinire delle Cicaline che trasmettevano il messaggio di albero in albero. – Maledetto Progresso, maledetti Pellemetallo!
Erano quelle creature dure e lucide, scintillanti alla luce di un sole impietoso nel deserto che avevano creato, il nemico dei Pellelegno e di tutta la foresta. Erano venuti da lontano, si mormorava, da un mondo che somigliava loro quanto un tempo Viridis, il Mondo Foresta, era stato simile ai Pellelegno. E subito, non appena erano giunti, avevano iniziato a far somigliare anche Viridis a loro.
Così avevano estirpato gli alberi e innalzato le loro città di torri scintillanti che brulicavano di Pellemetallo come una tana di Formilline, e i Pellelegno, che da sempre erano ospitali con gli stranieri che raggiungevano il loro mondo, li avevano lasciati fare, pensando che una volta avuto un posto dove stare, i Pellemetallo si sarebbero fermati... e invece no, avevano continuato a costruire imperterriti città dopo città, e le città si erano ingrandite e fuse fino a coprire quasi per intero il suolo del pianeta, e ancora non accennavano a fermarsi.
I Pellelegno erano stati relegati in un angolo, ridotti di numero fino a diventare una minoranza nella loro stessa casa. Di tutte le tribù che un tempo popolavano l'immensità della Foresta, non ne era rimasta che una. Stavano sparendo, proprio come i Piumiferi.
Le Volpicule che avevano teso loro tanti agguati quando il Mondo Foresta era ancora tale avrebbero riso della debolezza dei Pellelegno, ma ormai di Volpicule non ne era rimasta nemmeno una. Si erano spente ridendo, cosa che i giovani Pellelegno non erano disposti a fare.
Inutile che gli anziani avessero tentato di placare l'animo bellicoso dei giovani, in nome della tradizione antica dell'ospitalità e del quieto vivere. Per questi ultimi non esisteva che una sola soluzione: guerra. Ecco che cosa il Progresso aveva portato su Viridis. Superfluo dire che combattere i Pellemetallo armati degli ultimi ritrovati tecnologici con archi, frecce e lance di legno si rivelò più arduo del previsto, e che nel frattempo forse per ritorsione o forse perché intendevano concludere quella faccenda al più presto o forse ancora per il naturale accelerare del Progresso, i Pellemetallo stavano divorando la Foresta a un ritmo sempre più rapido.
Ormai era diventato impossibile non udire, fin nel cuore dell'Ultima Foresta, il cigolio metallico degli invasori, non avvertire il lezzo di fumo e devastazione, non fremere di timore al silenzio di quelle voci un tempo note. Perduti erano i Piumiferi, perdute le Volpicole e le Formilline, perdute le allegre Cicaline. Perduti anche gli anziani, che non sopportavano più di vivere in un mondo che non era più quello che avevano conosciuto, un mondo in lotta per sopravvivere.
I giovani Pellelegno si erano fatti astuti: sapevano come muoversi di soppiatto, come non essere visti, e avevano imparato quale impasto di fango e resina tirare contro i Pellemetallo, e in quale punto del loro corpo, per accecarli e infastidirli, e come aprire il loro corpo lucido per scoprire l'intrico di liane al loro interno, e quali di queste strappare per farli crollare immobili a terra, forse morti, se di morte per loro si poteva parlare. Di fronte alla nuova astuzia che avevano scoperto nei Pellelegno, i Pellemetallo si erano fatti più cauti, e quando venne il tempo di attaccare l'Ultimo Albero, tutto ciò che restava dell'immensa Foresta che un tempo copriva tutta Viridis, il portatore dei semi che avrebbero potuto restituire la vita alla loro terra e per questo così strenuamente difeso dagli ultimi Pellelegno, il Progresso portato sul pianeta dal Collettivo delle Macchine si ritrovò costretto a pagare dei mercenari per fare il lavoro al suo posto.
Complici anche i trattati interplanetari e quei ficcanaso della Società per lo Studio e la Preservazione delle Meraviglie Naturali, alleati inconsapevoli dei Pellelegno, il Collettivo delle Macchine era dovuto ricorrere a un metodo indiretto per eliminare definitivamente il problema che aveva rallentato il Progresso. E fu così che scelse come suoi campioni la più improbabile delle compagnie.
I loro nomi erano Cinde, Handel e Mod. Tre tizi parecchio vulnerabili alle lance di legno, e che ci tenevano un sacco alle loro vite, più di quanto tenessero a diventare ricchi o a divertirsi nel far esplodere un albero.
Quel che avvenne poi, per il popolo dei Pellelegno, divenne leggenda.

sabato 25 novembre 2023

Pandemonio

Pandemonio [pan-de-mò-nio] s.m. (pl. -ni) Grande disordine, confusione unita a fracasso; finimondo, putiferio.

Etimologia: da latino moderno Pandaemonium, composto dal greco pan-, "tutto", e da daimónion, "demonio". Neologismo coniato dallo scrittore John Milton che nel poema "Paradiso perduto" aveva chiamato così la città dei demoni.



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Pixabay da Pexels


Vera ricordava due momenti, due distinti momenti in cui la sua vita era stata sconvolta, in cui il caos le era turbinato attorno come un vento di bufera, lasciandola inerme sopravvissuta in un pandemonio senza senso, in un mondo vuoto e incomprensibile. Uno era stato quando i Warrs, quelle belve violente venute da un altro mondo, avevano attaccato l'autobus in cui viaggiava con famiglia e amici, e avevano sterminato senza pietà quasi tutti i passeggeri. Vera non avrebbe mai dimenticato l'ultimo sguardo della madre, la lotta disperata del padre, e la paura, l'immensa paura mista a rabbia quando si era resa conto che i Warrs stavano venendo per lei.
Vera era sopravvissuta al massacro, e la probabilità irrealistica che si era realizzata non aveva fatto altro che aumentare l'insensatezza del mondo.
Il secondo momento, però, era stato anche peggio. Era stato quando le avevano comunicato che le sue migliori amiche, Marta e Luisa, le uniche sopravvissute come lei all'attacco dell'autobus, erano morte. Erano morte, e in quel modo così assurdo, durante un addestramento di routine, uno di quelli a cui si era sottoposta anche lei con l'obiettivo di poter un giorno combattere i Warrs.
Che senso aveva sopravvivere a una notte d'inferno per morire così.
Vera se lo era chiesto da quando le avevano dato la notizia. Li chiamavano "incidenti". Marta aveva sbagliato un salto semplicissimo. Non glielo avevano detto, non direttamente, ma il sospetto che si fosse gettata di proposito nel vuoto doveva essere passato nella mente di tutti.
Quanto a Luisa... Lo avevano classificato come un disturbo post traumatico da stress non diagnosticato, ma Vera stentava a credere che l'intelligente Luisa fosse stata così poco lucida da scambiare l'istruttore e gli altri che la accompagnavano al poligono di tiro per dei Warrs.
Quando la distorsione dimensionale deformò i corridoi e le stanze in un pandemonio senza senso, Vera pensò che fosse quasi pacifico, silenzioso, in confronto a quei due momenti.

giovedì 23 novembre 2023

Audioracconto - Grosso guaio al Mercato dell'Impossibile


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Meruyert Gonullu da Pexels


Al Mercato dell'Impossibile si poteva trovare di tutto. Strane creature, incantesimi, pozioni e perfino guai, a volerli cercare.

Grosso guaio al Mercato dell'Impossibile
(racconto breve di genere fantasy)


Trovi gli altri racconti sul canale YouTube: https://www.youtube.com/@lavocedellapiuma

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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2021/10/grosso-guaio-al-mercato-dellimpossibile.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musiche: Mystery Bazaar di Kevin MacLeod (http://incompetech.com)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=BRLA-SCzBtE);
East of Tunesia di Kevin MacLeod (http://incompetech.com)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=X_1cbExZB1w);
It's Coming di Josh Kirsch & Media Right Productions (http://incompetech.com)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=ZzkOzqf0Mqk)

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Chest Opening.wav di spookymodem
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di Merrick079 (https://freesound.org/people/Merrick079/sounds/567892/),
Snake hissing.mp3 di schreibsel (https://freesound.org/people/schreibsel/sounds/540162/), da freesound, sotto licenza Creative Commons 0 (https://creativecommons.org/publicdomain/zero/1.0/);
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lunedì 20 novembre 2023

Vortici


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Beto Santanna da Pexels


Era una giornata di festa. Questo era tutto ciò che sapevo di quel giorno, poiché lo scampanio che rimbombava sotto l'alto soffitto della chiesa era un allegro rincorrersi di note festose, e le panche attorno a me si stavano rapidamente riempiendo di gente mormorante e ben vestita. La donna che conoscevo come La Sentinella mi portò un bicchiere d'acqua, e quando me lo porse, ricordai che ero stato io a chiederglielo. Ma invece di berlo, lo posai sullo schienale della panca che avevo davanti, e restammo entrambi a fissarlo.
I mormorii pian piano si placarono mentre la funzione iniziava con un coro di voci fanciullesche, o almeno si placarono quelli che non ero il solo a sentire. Ignorai tutte le voci, quelle degli spiriti così come il coro di ragazzini e il sacerdote che attaccava una cantilena solenne, per concentrarsi sul bicchiere d'acqua, un semplice cilindro riempito fino a due dita dal bordo, una colonna liquida in miniatura. Qualcuno tra quelli che erano seduti più vicino a noi si girò a guardarci, ma non osò chiedere, e non lo fecero nemmeno le due beghine che ci squadrarono con disapprovazione, poiché noi non seguivamo i gesti ripetuti da tutti, non mormoravamo le parole prescritte. Stavamo solo a guardare, ma non il sacerdote e nemmeno la croce dietro all'altare, quello sarebbe stato accettabile, no, noi fissavamo un bicchiere.
Non lo sapevano, ma quel bicchiere era più importante di qualunque altra cosa stesse succedendo al mondo in quel preciso istante.
Senza preavviso l'acqua s'increspò, prese a girare in un mulinello superficiale, poi scese verso il fondo del bicchiere in un vortice a forma di cono sempre più allungato, circondato da un turbinio di bolle.
– È oggi il giorno – mormorai, e lei annuì.
Dopodiché fu il caos.
Una dozzina di vortici si aprirono sulle pareti e tra le colonne e nello spazio vuoto al centro della navata. spirali di luce e oscurità ed elettricità fuse assieme, al cui centro s'intravedevano varchi su un altro mondo, un universo incomprensibile e mostruoso. Le urla si levarono da più parti, e tra le voci distinsi gli strilli acuti delle due beghine, che nonostante la devozione ostentata furono le prime ad alzarsi e a scappare. La prima passò, ma la seconda si ritrovò la strada bloccata da un vortice in espansione, da cui emersero fauci simili a fango ornate da denti metallici, che scesero rapide sulla povera donna e la azzannarono tranciandola alla vita.
La Sentinella al mio fianco non perse tempo, scattò in avanti e con i suoi incantesimi di nebbia e di fuoco avvolse un braccio lungo e gonfio di muscoli che spuntava da un vortice, lo bruciò fino a ridurlo in cenere, e invertì la rotazione del vortice costringendolo a chiudersi.
Io che non avevo il potere della sentinella, restai indietro e cercai di guidare gli indifesi in una strada sicura verso l'uscita, ma era tutto inutile: il panico si era già diffuso, e nel fuggi fuggi generale vidi un uomo mandato da uno spintone incontro alle braccia tentacolari di un ciclope, una ragazza separata dai genitori dalla folla urlare, presa a morsi dai serpenti di una gorgone, mentre la lingua appiccicosa scaturita da chissà quale mostruosità tastava il pavimento nei pressi della porta della chiesa, costringendo uomini e donne a pigiarsi gli uni agli altri nel tentativo di sfuggirle, senza curarsi dei bambini smarriti in mezzo a loro che urlavano e piangevano, né di un anziano caduto e calpestato.
Cercai di andare in quella direzione ma passare nella marea umana era impossibile, e le voci degli spiriti sibilavano con insistenza nel mio orecchio, procurandomi un gran mal di testa: cerca il Suadente... lui è qui, cercalo, trovalo, cerca il Suadente!
Era da tempo che non incontravamo qualcuno come noi. Nemmeno sapevo che aspetto avesse.
La Sentinella chiudeva un portale dietro l'altro, e la folla si diradava man mano che i più coraggiosi o disperati riuscivano a passare oltre la lingua a guardia della porta, o che i più stupidi finivano agguantati dalle braccia, dai tentacoli, dalle fauci e dalle code dei mostri rimasti.
Eravamo rimasti quasi da soli quando lei ebbe concluso la sua opera e come al solito si apprestava a cancellare ogni traccia della battaglia grazie al suo potere. Quasi, perché c'era un bambino di cinque o sei anni inginocchiato accanto al corpo della madre trafitto da un artiglio nero.
Il bambino alzò su di noi gli occhi gonfi di pianto. – Ho detto a papà di mandare via i mostri, e lui è entrato in uno di quei buchi – bisbigliò in tono lamentoso. – Ho detto alla mamma di salvarmi, e lei si è messa davanti a me, e loro l'hanno...
Il Suadente! urlarono le voci degli spiriti nella mia testa, sovrastando il mormorio del bambino, e a quel punto mi svegliai.

Era uno di quei sogni, lo seppi subito. Uno di quelli che si sarebbero avverati. Ne avevo avuti parecchi negli ultimi mesi.
L'unica differenza era che di solito il mostro era uno soltanto, e non avevo mai visto da dove arrivavano.
Nel buio tastai le coperte alla ricerca di un altro corpo addormentato accanto a me, e quando lo trovai, lo scossi. Non mi avrebbe mai perdonato se non l'avessi avvertita subito. – Svegliati. Svegliati, dai, che ho fatto un sogno.
La Sentinella si girò verso di me e mugugnò, poi disse: – Racconta.
Ero riuscito a convincerla che per usare il mio potere non avevo bisogno di trasferirmi in un aeroporto, perciò, per praticità, era venuta lei a stare da me. Inoltre aveva scelto di sua spontanea volontà di dormire nello stesso letto, e io ne ero stato ovviamente contento, ma dopo un po' avevo capito che per lei non aveva lo stesso significato che aveva per me.
Per lei si trattava di non perdere nemmeno un istante dalla fine del sogno.
Le parlai dei vortici nel mio sogno, e delle decine di mostri che avevo intravisto al di là dei portali, pronti per un'invasione, della fuga precipitosa della folla e del bambino che gli spiriti avevano chiamato Il Suadente.
– Da come ne parli, e dal nome che hanno scelto per lui, si direbbe avere una forte capacità di persuasione – disse la donna mentre si sedeva alla scrivania e accendeva il pc. – Non molto utile contro i mostri, ma potrebbe aiutarci a gestire situazioni come quella del tuo sogno.
– Be', che intendi fare, rapirlo?
La affiancai, una mano sullo schienale della sedia e l'altra sulla scrivania, e la osservai cercare foto di interni di chiesa.
La donna fece spallucce: – I suoi sono morti...
– Non ancora, e non se riesco a evitarlo – replicai. Poi puntai il dito su una delle foto. – Eccola è quella.
La Sentinella lesse il nome della chiesa e ne controllò l'ubicazione. Non era distante.
– Bene, abbiamo il dove, ci manca solo il quando – si girò verso di me e aggiunse: – Il tuo potere è davvero migliore di quello del Sapiente. Più preciso. Lui non sapeva far altro che parlare per indovinelli, non mi sorprende che volesse il tuo dono, Sognatore.
– Neanche a me – le dissi, nel coprirmi un orecchio con una mano a difendermi da un sussurro incomprensibile, un mugolio bestiale.
Lei si accorse della mia smorfia. – Li senti ancora? – mi chiese, e io mi limitai ad annuire.
Avevo ereditato il potere del Sapiente quando lo avevo ucciso prima che lui ammazzasse me per ottenere il mio, ma non mi ero mai dato la pena di affinarlo come invece aveva fatto lui, e raramente mi mettevo a interrogare le voci in cerca di consiglio. Ma quella mattina, mentre La Sentinella se ne andava a occupare il bagno, mi rivolsi a quelle presenze invisibili: – Aiutatemi a salvarli. I suoi genitori. Non deve pensare di averli uccisi con il suo potere.
Sarebbe stato un pessimo inizio, anche peggiore del mio.

Da quel giorno io e la Sentinella frequentammo abitualmente la chiesa del mio sogno: tutte le domeniche e tutte le feste comandate eravamo là, io, lei, e un bicchiere d'acqua. Ma niente succedeva mai, e io non scorgevo mai il bambino, né tra i coristi né accanto a una delle coppie sedute sulle panche.
Cominciavo a pensare di essermi sbagliato stavolta, quando avvenne. L'acqua nel bicchiere cominciò a turbinare in un vortice, e da quel momento in avanti le cose si svolsero proprio come nel mio sogno. Con due differenze: una, che La Sentinella aveva sbloccato una porticina laterale che dava verso l'esterno dalla parte in cui noi ci trovavamo. Due, che non appena scorsi il primo accenno di vortice nel bicchiere, balzai in piedi sulla panca e urlai a squarciagola: – C'è una fuga di gas, uscite tutti da questa parte, con calma e in ordine, ma sbrigatevi, c'è una fuga di gas!
Come c'era da aspettarsi, a tutta prima nessuno si alzò dal suo posto, e mi guadagnai un bel po' di proteste e occhiate di riprovazione. Ma bastarono le prime scintille che correvano sulle pareti in spirali vorticanti, che i primi fedeli si alzarono e si diedero alla fuga dalla comoda porticina lontana da qualunque portale in formazione. I suddetti portali brulicanti di mostri convinsero tutti gli altri, e così la chiesa si svuotò molto più velocemente che nel mio sogno, e con un numero di caduti davvero esiguo. La beghina numero due, ad esempio, se la cavò. Come la ragazza che non rimase indietro a farsi mordere dai serpenti di una gorgone, perché non si separò mai dai suoi genitori e se ne andò con loro. L'uomo che nel mio sogno era stato spinto verso i tentacoli del ciclope bianchiccio, la mia nemesi, il primo mostro che mi era capitato di vedere, affrontare, e aver bisogno di essere salvato dalla Sentinella neanche fossi stato la più inutile delle damigelle in pericolo... a quell'uomo non andò tanto meglio nella realtà. Perché dapprima al mio avvertimento si rifiutò di credermi e insistette affinché la smettessi con quella pagliacciata, e quando i portali si aprirono rivolse il suo fervore verso i mostri, intimando a loro di smetterla. Inutile dire che si ritrovò di fronte allo stesso ciclope, a fissare l'unico occhio rosso in un volto privo di qualunque altra caratteristica facciale, prima che potessi avvisarlo di non fare una scemenza del genere o raggiungerlo e tirarlo via di peso da lì. E così finì con l'essere accecato e trascinato dentro al portale dal ciclope.
Perfino il sacerdote, che nel mio sogno si era dato a una precipitosa fuga, si trattenne a protestare con veemenza perché con il mio scherzo, così lo definiva, avevo disturbato la sua messa. Una zampa colossale simile a quella di una mostruosa tartaruga fuoriuscì da un portale sopra di lui e lo schiacciò.
Non avevo visto il bambino del mio sogno prima che iniziasse la funzione, tanto che prima che succedesse il finimondo avevo pensato che anche quel giorno sarebbe trascorso tranquillamente, senza nulla fuori dall'ordinario. Mentre La Sentinella si affannava a bruciare mostri e chiudere portali, e io mi aggiravo alla ricerca del Suadente spronato dalle voci degli spiriti, mi venne in mente che forse erano entrati in ritardo, e forse gli spiriti mi avevano dato retta e avevano in qualche modo messo in salvo lui e la sua famiglia.
Mancavano quattro portali quando i due più vicini si allargarono troppo e si fusero. Non era successo nel mio sogno. Forse La Sentinella aveva operato al sua magia più velocemente, spronata dall'urgenza di mettere in salvo quante più persone possibile, mentre senza altri in pericolo che noi se l'era presa comoda. Come avvertendo il peso di quel maxi portale la chiesa scricchiolò, cigolò al pari di una vecchia nave sballottata dalla tempesta, e le colonne presero a curvarsi. La Sentinella si sbrigò a invertire e richiudere i due portali più piccoli, prima di fronteggiare quest'ultimo.
Oltre il portale si intravedeva in lontananza una creatura massiccia, enorme, più grande di qualunque ci fosse capitato di affrontare. Pareva un incrocio tra un drago senza ali e un mammut, con lunghe zanne ricurve che spuntavano dal muso da rettile, quattro zampe grosse come colonne, un ventre gonfio, una folta pelliccia e una coda serpentiforme, troppo sottile per quel corpo poderoso.
Persino La Sentinella, sempre calma e sicura si sé, si lasciò sfuggire un'imprecazione: – Cristo, un Gargantua!
– Ne hai già affrontato uno? – le chiesi, sopra il cigolio che diventava sempre più forte, assordante, scandito dal rumore dei passi rimbombanti del mostro che facevano tremare il pavimento.
– No, mai. Mai visto uno, ne ho solo sentito parlare dal Sapiente! – Urlò lei. Poi mosse le mani a tracciare cerchi in senso inverso alla direzione in cui vorticava il portale, pronunciando i suoi incantesimi, e la solita nebbia si dipanò dalle sue braccia, si agganciò all'oscurità lucente che incorniciava il varco, e il sudore le gocciolò dalla fronte mentre si sforzava disperatamente di imporre la sua volontà sul vortice.
Il Gargantua nel frattempo era sempre più vicino, sempre più grande, e a intervalli regolari ci giungeva come raffica di vento la forza d'urto dei suoi passi lenti.
La Sentinella strinse i denti e sibilò i suoi incantesimi a fatica. Avrei tanto voluto aiutarla, ma il mio potere era diverso dal suo. Io potevo guidarla, ma nel fare ero inutile, proprio come la prima volta.
Sentii che stava per cedere. Gli spiriti me lo stavano dicendo. Poi mi dissero anche un'altra cosa.
– Il bambino è, qui, dobbiamo salvarlo! – le urlai, e lei annuì, e urlò a sua volta parole incomprensibili, e spinse l'aria con le braccia come a girare una grossa ruota incastrata, che alla fine si mosse, e l'intero vortice prese a girare all'inverso, sempre più veloce, sempre più piccolo, finché con uno schiocco si richiuse tranciando la punta di una zanna del Gargantua, e l'ultima onda d'urto ci investì mandandoci gambe all'aria, e l'intera realtà attorno a noi sembrò rivoltarsi come un guanto.
Quando riuscii a rialzarmi, dolorante e con un taglietto sul labbro, forse per un morso involontario, la chiesa mi apparve completamente cambiata. Non era più l'edificio splendente di candele accese a ogni angolo, di vetrate colorate e di dipinti sacri in ogni nicchia e parete. Sembrava vecchia, polverosa, buia e cadente. Come una chiesetta antica ormai abbandonata. La luce non veniva dalle candele o dalle vetrate, ma da uno squarcio sul tetto.
– Non so se riuscirò a sistemare tutto questo – si lamentò la Sentinella.
Ma a me non importava, io avevo altro in mente. Spronato dalle voci incalzanti degli spiriti mi alzai, lo cercai, lo chiamai anche se sapevo che Suadente non era il suo vero nome, come Sognatore non era il mio, e Sentinella non era quello della donna con cui convivevo. Ma non avevo altro nome per il bambino.
Lo trovai rannicchiato in un angolo a piangere, accanto al corpo della madre. Non era cambiato nulla per lui. Solo, quando alzò gli occhi, stavolta non mi parlò. Capii che non osava farlo, per paura che il suo potere, la sua voce, uccidesse qualcun altro. In silenzio mi si avvicinò e mi abbracciò le gambe.
– Sei ancora del parere che non dovremmo prenderlo con noi? – mi chiese La Sentinella nell'affiancarsi a me.
Non ci fu alcun bisogno di rispondere.