sabato 31 agosto 2019

Zana

Per l'ultima lettera dell'alfabeto ho scelto una voce regionale che ha attirato la mia attenzione: quattro semplici lettere che definiscono un oggetto di uso comune.

Zana [zà-na] s.f. tosc. Ampia cesta di forma ovale, fatta di listerelle di legno intrecciate; anche, il contenuto di tale cesta.

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So che la cesta presentata nell'immagine non è una zana, ma mi piaceva. La differenza è che una zana è ovale, poco profonda e fatta di stecche, mentre una generica cesta può essere anche tonda, profonda e costituita da vimini intrecciati. Una volta scoperto, poi, che si usa trasportare la zana sopra la testa, avevo bell'e pronta l'idea iniziale per il brano che segue. Non mi restava altro da fare che identificare la voce narrante, che dopo qualche riga ho capito appartenere a Hashum il Lupo, il mentore reticente di un altro racconto.


La prima volta che la vidi, Amya camminava all'ombra di una zana traboccante di gigli profumati, con i petali candidi e rosati che danzavano al ritmo dei suoi passi. Lei non mi notò, com'era ovvio. Ero lì per un giro di ricognizione: nel remoto caso in cui il mio bersaglio si fosse presentato, non doveva capire che ero già sulle sue tracce, perciò mi ero mescolato alla folla con abiti sufficientemente trasandati e l'espressione stolida di un taglialegna che avesse preso troppi colpi in testa. Dietro lenti colorate che celavano i miei occhi color del tramonto, protetto dal mio travestimento, io guardavo tutti senza mai fissare nessuno. Ogni mercante, ogni ubriacone, ogni singolo vagabondo o contadino che attraversava la piazza era passato al vaglio, e assieme a loro, le vie di fuga, i portoni, gli angoli ciechi e le finestre. Stavo riflettendo su dove piazzare la mia trappola nel caso in cui il criminale si fosse presentato lì, come sostenevano i miei informatori, quando Amya mi passò davanti senza vedermi.
A differenza degli altri che avevo studiato brevemente fino ad allora, lei catturò il mio sguardo, che la seguì forse per troppo tempo. Lei non mi aveva notato, ma qualcun altro aveva notato me.
La seconda volta che la vidi ero lì in veste ufficiale, con le insegne da Bollatore sul cappotto e il mio apprendista al seguito. Parlai con lei mentre Mereborn interrogava gli altri testimoni e le comprai l'intera zana di fiori, che quel giorno conteneva una straordinaria varietà di rose dai petali quasi neri, con una macchia di un rosso profondo al centro di ognuno, come una goccia di sangue. Se avessi creduto a simili sciocchezze, guardando indietro, lo avrei definito un presagio.
In ogni caso, quella storia non poteva finire bene. Io ero un Bollatore, un cacciatore di taglie che viveva sul filo del rasoio e adorava correre rischi, e lei era una semplice ragazza di campagna con un segreto.

giovedì 29 agosto 2019

I personaggi vs il mondo

"Se dovessi scegliere, quale romanzo preferiresti leggere: uno con personaggi molto ben delineati e interessanti che si muovono in un'ambientazione/una trama banale, descritta male o incoerente, oppure un libro in cui l'ambientazione e la trama sono curate nei dettagli, sorprendenti e inattaccabili, però i personaggi sono scialbi, noiosi e inverosimili?"

Ho trovato questa domanda più di una volta tra i vari  forum e i gruppi di scrittura, ed è una di quelle domande che divide sia i lettori che gli scrittori. È ovvio che, potendo, qualunque lettore assennato si lancerebbe su un romanzo che contenga il meglio delle due situazioni presentate, ovvero una scrittura eccellente sia per quanto riguarda i personaggi, che l'ambientazione e la trama. Consideriamo però una situazione in cui ciò non sia possibile: sono gli ultimi cinque minuti a tua disposizione, la biblioteca sta per chiudere per le vacanze e ti manca un romanzo da portarti al mare, o in montagna. Hai già preso altri libri che ti servivano per lo studio, o dei saggi su un argomento che ti interessava, e hai la possibilità di prenderne in prestito solo un altro, non di più. Tra i libri del tuo genere preferito due attirano la tua attenzione, e chiedi consiglio al bibliotecario per aiutarti a decidere. Sei fortunato: li ha letti entrambi. Di uno ti dice che i personaggi sono fantastici, ma il mondo in cui si muovono fa schifo, e non perché di tratta di un romanzo distopico, ma proprio perché lo scrittore non è stato in grado di descriverlo, o di inventarlo bene. Dell'altro dice l'opposto: personaggi orrendi, ma che splendida ambientazione! Di tutti gli altri titoli che prova a proporti il bibliotecario in alternativa, o li hai già letti, o appartengono a un genere che ti fa venire l'orticaria. Manca solo un minuto alla chiusura, e il bibliotecario, spazientito, aspetta la tua decisione. Ora tocca a te. Quale dei due libri prendi?

Di questo enigma, io pensavo di conoscere la risposta. Ero convinta, assolutamente certa, che se non trovo nulla di interessante nei personaggi, quel romanzo può essere un viaggio nel più incredibile dei luoghi, però è un viaggio che non mi interessa compiere. Insomma, tra la meta e i compagni di viaggio, io preferisco i compagni di viaggio. Sono il tipo che può andare ovunque se la compagnia è quella giusta, o almeno questo è ciò che mi sono sempre detta. Ma ora... ora mi trovo nella situazione, se non opposta, almeno con tendenze dal lato opposto. In quei fatidici ultimi cinque minuti prima della chiusura della biblioteca, ho preso un libro, tra gli altri motivi, perché è ambientato in una città europea in cui sono stata. E le descrizioni nella prima pagina erano davvero meravigliose, perciò dopo aver letto l'incipit pensavo di non aver bisogno di altro per sceglierlo. Peccato che, nella seconda pagina, arrivi un altro personaggio e inizino le banalità. Lei bellissima, misteriosa, con i poteri e un bisogno disperato di essere amata. Lui bellissimo ma pessimo soggetto che l'ha solo usata. E, dopo qualche altra pagina, ecco un secondo lui bellissimo, misterioso e con i poteri affascinato all'istante da lei. Senza averla mai incontrata prima, senza averci mai parlato. Solo un'occhiata e zac, colpo di fulmine. Non ci vuole molto a capire dove si va a parare.

Ma il mondo! Quel mondo con la sua magia, e la sua particolare forma di valuta che è, letteralmente, la moneta di scambio per i desideri, e le sue strambe creature, le chimere incrocio di vari animali o di animali ed esseri umani, e i luoghi che sembrano non appartenere a questo mondo ma sono altrove, e il senso, quello soprattutto, che ci sia molto di più oltre a ciò che il limitato punto di vista del narratore mi consente di vedere. Quel senso che avvertivo nella saga di Harry Potter, ma non in quella di Twilight. Il mondo del libro che sto leggendo è decisamente una meta che mi va di visitare, anche se la compagnia non è delle migliori. Fortunatamente, qualcuno in quella compagnia si salva, altrimenti non so se avrei avuto voglia di proseguire. La migliore amica della protagonista, che non riesco a non immaginare con la voce e il volto di Bernadette di Big Bang Theory (e se conosci il personaggio, avrai già capito il tipo di carattere che ha accomunato le due nella mia testa), e la donna serpente tra le chimere, così inaspettatamente amorevole, ma in fondo così coerente nei suoi mille vezzi, sono i due personaggi secondari che mi aiutano a godermi il viaggio, a dispetto di una protagonista verso la quale ho perso quasi del tutto l'interesse. Perché, oltre a essere banale (l'ennesima adolescente al vertice di un triangolo), dimostra nei frequenti monologhi interiori convinzioni che sembrano in contrasto con il modo, e il mondo, in cui è cresciuta. E anche considerando una ribellione adolescenziale, cosa perfettamente plausibile, non si capisce come mai la cosa resti a livello del pensiero, e non si traduca in azioni contro coloro che rappresentano quella visione del mondo a suo avviso sbagliata. D'accordo, ho ancora da finire il libro, e può darsi che più avanti la protagonista si muova in quella direzione, però per ora... bah, è troppo accomodante, per il genere di convinzioni su cui si sofferma a riflettere. E questo, tra gli altri dettagli, mi fa propendere per il "personaggio scritto male".

Quindi, che dire? Forse sono ancora, in fondo, legata più ai personaggi che al mondo. Certo, ho preso questo libro per l'ambientazione. Ma credo che se non ci fosse stato almeno un personaggio, uno solo, per quanto minore, della cui sorte mi interessa e la cui voce trovo gradevole e interessante, il romanzo ai miei occhi non sarebbe stato nulla più che una guida turistica per un paese straniero, una mappa da leggere con curiosità e distacco. Senza vita. Senz'anima.


Questa è la mia opinione, tratta da un esempio recentissimo di lettura. E tu che ne pensi, dovendo scegliere, in un romanzo sono meglio i personaggi, o il mondo?

lunedì 26 agosto 2019

L'anti-antagonista

E dopo l'antieroe, l'ultimo tipo di personaggio che volevo presentare prima di concludere questa sezione è per certi versi il suo opposto, e per altri solo una diversa gradazione di grigio in una storia in cui non vi è una netta separazione tra bene e male. Sto parlando di:

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Come scrivevo, l'opposto dell'antieroe è l'anti-antagonista (o anti-cattivo, anti-malvagio, o ancora "antagonista ben intenzionato", che a dire il vero è la definizione che preferisco... a differenza di antieroe, l'esistenza di questa figura nell'immenso calderone dei possibili antagonisti non è ancora stata riconosciuta come separata a sufficienza da ritenerla degna di un nome ufficiale). Laddove l'antieroe si ritrova a fare la cosa giusta per le motivazioni sbagliate, l'anti-antagonista persegue un fine giusto, onorevole, perfino condivisibile, con ogni mezzo a sua disposizione, senza curarsi dei danni collaterali. In alcuni casi l'anti-antagonista non si accorge del male che sta facendo perché manipolato da un altro antagonista, come accade al Dottor Octopus in Spiderman 2, la cui cieca dedizione al benessere dell'umanità e al progresso della scienza vengono sfruttati da un'intelligenza artificiale ormai fuori controllo. In altri casi è la posizione privilegiata che rende l'anti-antagonista ignaro della sofferenza causata da uno status quo che intende mantenere: ciò avviene nella versione animata di Ramses II in Il principe d'Egitto, che illustra bene l'evoluzione di una figura fondamentalmente positiva fino a un punto di non ritorno, che lo segna indelebilmente come antagonista della storia.

L'anti-antagonista può essere in pratica l'esempio di un eroe che è vissuto tanto a lungo da diventare il cattivo. La frase può essere riferita, tra gli altri, alle molte incarnazioni di Lucifero, a partire da quella ritratta da Milton nel poema Paradiso perduto. Ma ci sono molti modi di arrivare a questo rovesciamento dei ruoli. Uno è la sofferenza. Talvolta l'anti-antagonista ha un passato tragico alle spalle, che lo spinge a fare tutto ciò che ritiene necessario per proteggere se stesso e gli altri che considera "la sua gente", come avviene per Magneto e Mystica nella serie di film e fumetti dedicati agli X-men. Un altro è una visione così ampia da apparire inumana, quando la sua attenzione è troppo concentrata su un supposto "bene superiore", su larga scala sia nello spazio che nel tempo, per scorgere il male causato agli individui nell'immediato; o qualora lo veda, lo ritiene un peso da dover sopportare personalmente, come Thanos negli ultimi capitoli degli Avengers, per evitare un destino peggiore e il ripetersi degli errori del passato.

Anche quando le sue motivazioni non sono così ben definite, è possibile riconoscere un anti-antagonista per l'insieme di tratti negativi e positivi che lo caratterizza. Si veda ad esempio il Capitano Nemo in 20.000 leghe sotto i mari di Jules Verne: è chiaramente l'antagonista della situazione, un terrorista e un assassino, spinto dalla rabbia e dall'odio, eppure lo si vede anche capace di compassione, di schierarsi a favore degli oppressi, pur dichiarandosi al di fuori della società degli uomini. Tra gli antagonisti, questo tipo di personaggio è quello che più di altri possiede caratteristiche che lo possono redimere e portarlo infine a schierarsi e lottare con i protagonisti contro antagonisti molto più malvagi di lui, se vive abbastanza a lungo. Il cacciatore di lupi mannari Chris Argent, il meno spietato della sua famiglia, è tra i personaggi del telefilm Teen Wolf che oltrepassa il confine da antagonista a eroe, rovesciando la frase che ho citato all'inizio del precedente paragrafo, mentre gli altri membri della sua famiglia sono morti o consolidati ancora di più nel ruolo di anti-antagonisti.

Vi sono, infine, le storie in cui la linea di demarcazione tra protagonista e antagonista è talmente sottile da essere determinata solo dal punto di vista in cui viene raccontata la vicenda, e l'anti-antagonista avrebbe tutte le ragioni per ottenere il lieto fine che desidera. Ma, purtroppo per lui, è designato come il cattivo della storia, e dunque destinato a essere sconfitto, come dimostrato dai replicanti, e in particolare da Roy Batty (quello del celebre "ho visto cose...") in Blade Runner. A meno che, ovviamente, non vi sia un'altra storia che gli renda giustizia, rivelando la versione del supposto antagonista: come cambiano le cose per Malefica da La bella addormentata nel bosco a Maleficent!


Come l'antieroe, anche l'anti-antagonista è presente in moltissime storie, e probabilmente lo sarà molto di più in futuro, dato che i gusti dei lettori e degli spettatori si sono allontanati dalla classica dicotomia bene-male. E, a proposito di dualismi, è arrivato il momento di lasciarti al doppio esercizio di oggi.

Se sei uno scrittore, cerca esempi di anti-antagonista nelle tue storie. Scrivi un brano in cui l'anti-antagonista spiega o dimostra le sue motivazioni. In alternativa, scrivi in brano in cui l'anti-antagonista sorprende gli eroi con un atto che non può essere definito come malvagio.

Se sei un lettore (o uno spettatore), ripensa alle storie che hai seguito di recente o a quelle che ti piacciono di più o che ricordi meglio: in quali casi hanno un personaggio che puoi riconoscere come anti-antagonista? Scrivimi pure nei commenti quelli che ti vengono in mente.

sabato 24 agosto 2019

Veneficio

Non sapevo ci fosse una parola specifica per questo. Sapevo che per indicare la vittima, e soprattutto la relazione tra vittima e assassino, si potesse specificare se l'omicidio è un uxoricidio, un infanticidio, un fratricidio, un patricidio... ma questo termine per indicare invece il mezzo con cui è commesso non l'avevo mai sentito.

Veneficio [ve-ne-fì-cio] s.m. (pl. -ci) Omicidio commesso mediante veleno.

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Omicidio mediante veleno? Ce l'ho. O meglio, sapevo che era accaduto a un certo punto della storia di Jasmen, ma finora non lo avevo mai scritto, quindi è l'occasione giusta per rimediare.


– Veneficio! – urlò il maggiordomo, uscendo trafelato dallo studio. – Il padrone è morto! Assassinio! È stato avvelenato... col veleno!
Mio padre venne trovato una mattina dietro la sua scrivania, riverso sul pavimento con gli occhi sbarrati e la bava alla bocca. Le macchie nere sulle labbra, sulla lingua e attorno agli occhi indicavano come causa della morte il veleno che si ricavava da un raro tipo di felce che cresceva solo nella palude di Greye. L'assassino non aveva scelto un veleno comune, né facile da reperire. "La morte oscura", come veniva chiamato nel dialetto di Sljdzjell, per i pochi che lo conoscevano aveva fama di dare un'agonia straziante prima della morte, il che chiariva il movente dell'assassino, se non la sua identità.
Io ero in viaggio quando avvenne, altrimenti i sospetti sarebbero caduti su di me: il figlio degenere, la pecora nera della famiglia, colui che aveva spesso litigato con il suo stimato ascendente, e che aveva recitato in pubblico pesanti invettive in rima contro la propria nobile stirpe.
Non era un mistero che lo odiassi.
Ma non lo avevo ucciso io. E non potevo credere che fosse stata mia madre a commettere il veneficio.
Nessuno lo diceva apertamente, non di fronte a noi. Ma quando il naturalista dell'Accademia identificò il veleno impiegato, tutti accusarono in silenzio Rimaelevi, la straniera, la moglie venuta dall'est a caccia di ricchezze e di un titolo nobiliare.
Non sapevano che di ricchezze la nostra casata non ne possedeva più, o almeno, non prima del matrimonio che aveva sancito un accordo con il più importante tra i mercanti di spezie di Sljdzjell: non era rimasto altro che un nome, ma di quello Rimaelevi non se ne faceva nulla.
E non sapevano come lui l'aveva trattata per tutti quegli anni. Se fosse stata lei ad ammazzarlo, non avrei potuto biasimarla. Ma non era stata lei, mi disse. Il suo onore non le avrebbe consentito un simile delitto.
Non so chi abbia ucciso mio padre, ma so per certo che le malelingue uccisero mia madre.

giovedì 22 agosto 2019

Personaggio: Mary Autumn

Stavo riflettendo sul fatto che i miei antieroi sono al massimo bugiardi, ladri o truffatori, quindi sì, disonesti e criminali, ma in nessun caso particolarmente violenti, quando mi è tornata in mente lei. Lei potrebbe essere l'eccezione che conferma la regola, un valido candidato per rappresentare degnamente il lato più estremo di questa categoria:

Immagine creata con Mega Fantasy Avatar Creator di Rinmaru Games


Mary Autumn non è il vero nome di questo personaggio. E anche se può sembrarlo, Mary non è nemmeno (del tutto) umana. Il suo nome è Christie Montero, e la sua storia inizia in un bosco, quando viene trovata da una creatura vegetale che si fonde con lei salvandole la vita.
La creatura si identifica come "figlia della Madre (Terra)", e da quel momento Christie ne acquisisce i poteri, che imparerà a usare a scopo di vendetta, proteggendo allo stesso tempo le ragazze in difficoltà. È questo ciò che fa di lei un antieroe: se pure il risultato pende dalla parte del bene, le motivazioni di Mary Autumn sono egoistiche e personali, e i suoi metodi, le sue punizioni, spesso risultano eccessive rispetto al crimine commesso.
Se si aggiunge che ormai è così poco umana da non provare più rimorso e che si sente un'estranea rispetto al resto dell'umanità, si capisce come Mary Autumn non segua nessuna legge e nessun codice morale che potremmo riconoscere come "cavalleresco" o "eroico".
Per quanto riguarda il suo aspetto fisico, quando non viene raccontata la trasformazione in una creatura arborea, nelle descrizioni scritte è citata solo la sua bellezza. Io la immagino però con addosso i colori del mondo vegetale, e delle foglie autunnali in particolare.


Questi i brani già scritti in cui compare Mary Autumn:
Mary Autumn ottiene la sua vendetta


L'esercizio richiede di scrivere un brano in cui l'antieroe spiega o dimostra le sue motivazioni, o in cui compie un atto contrario agli ideali di un eroe. Ho pensato di lasciarle raccontare come ha iniziato il suo "lavoro" di paladina delle indifese, storia che si colloca prima di quella già scritta.


Non so che cosa sono. Di certo non un eroe, anche se le ragazze che bisbigliano storie su di me parlano a volte con ammirazione delle mie imprese. Soprattutto le ragazze che ho salvato.
La notizia si diffonde più rapidamente di quanto avessi previsto, e sono sempre di più quelle che invocano il mio nome, anche per sciocchezze come uno sgarbo o un tradimento. Non mi occupo di cose del genere, e il fatto che io non compaia ogni volta che mi chiamano contribuisce ad alimentare la leggenda. Sono un po' come Bloody Mary, ammesso che esista realmente. Non posso del tutto escluderlo, dato che esisto io.
Non avevo in programma di diventare una vendicatrice. All'inizio avevo mantenuto il mio nome, avevo identificato il mio aggressore e avevo fatto il mio dovere di testimone in tribunale. Avevo avuto giustizia, come promesso dalla creatura che mi aveva salvato.
Una figlia della Madre.
Questo era ciò che ero diventata anch'io da quella fatidica notte, e ben presto capii che non ero più tagliata per il mondo umano. C'erano volte in cui sentivo il vento e i raggi del sole molto più del mio stesso corpo; e se non stavo attenta, se ero sovrappensiero, i rami degli alberi lungo il viale si piegavano al mio passaggio. Inoltre tutto ciò che aveva contato per me fino ad allora, i corsi all'università, il denaro che guadagnavo nei fine settimana al Red Skin, un nuovo paio di scarpe, era diventato di colpo ridicolo o inesplicabile. Nessuno di coloro che incontravo poteva capire quanto mi sentissi un'estranea, e quanto poco valore attribuivo alle parole. Le parole di un uomo mi avevano condotta lì dove la mia vita era finita. Quindi mi sembrava soltanto la cosa più naturale da fare, smettere di parlare se non quando era strettamente necessario.
Passò l'autunno e venne l'inverno. Vagabondavo quasi ogni notte senza una torcia né un cappotto. Non mi servivano. Nemmeno quando la luce delle stelle era oscurata dalle nubi e una lenta pioggia bianca prese a volteggiare sui tetti e sulle strade, ricoprendo ogni cosa con un candido e gelido lenzuolo. Sentivo il freddo, ma non mi disturbava. Io ero il freddo, com'ero stata il sole e il vento.
Forse fu per una sorta di istinto che ritrovai la strada per il bosco dov'ero rinata. In quel luogo cercai altre figlie della Madre: come il brutto anatroccolo che ero, avevo un disperato bisogno di essere accolta da quelle creature bellissime e vivere per sempre tra loro, come una di loro. Era la mia ricompensa, mi dicevo, il finale perfetto di una favola. Ma la vita non è una favola.
Non ne trovai nessuna, e mi illusi che fosse a causa della stagione sfavorevole, e che sarebbero tornate a popolare il bosco in primavera. Fu allora, mentre stavo tornando indietro, che vidi l'auto e avvertii il grido d'aiuto della ragazza.
Con i finestrini chiusi e la distanza che ancora mi separava da lei, compresi che non era stata la sua voce a raggiungermi, ma qualcos'altro. Forse, la stessa cosa che aveva portato da me la figlia della Madre.
Raggiunsi l'auto in un turbinio di fiocchi di neve. Anche da fuori, avvertivo tutto, la paura, il pericolo, il senso d'impotenza di lei, e la tronfia superbia di chi sa di avere la forza di prendersi tutto ciò che vuole che animava il suo aggressore. Quelle erano emozioni che non volevo più sentire.
Non sarei intervenuta. Stavo per andarmene, quando attraverso il vetro gli occhi della ragazza incrociarono i miei, e le sue labbra si mossero in una muta preghiera. Rividi me stessa in lei, e in quella situazione, un modo di ottenere la vendetta che mi era stata negata.
Aprii la portiera dell'auto, strappai l'uomo al suo sedile e lo gettai nella neve con i pantaloni ancora abbassati. Ero diventata forte, e nessuno avrebbe mai più fatto del male a me.
Le chiavi erano ancora inserite. Le indicai alla ragazza, mentre alle mie spalle l'uomo cercava di rimettersi in piedi sulla neve scivolosa e allacciarsi i pantaloni, urlando bestemmie e minacce.
– Sai guidare? – le chiesi. Al suo cenno affermativo, aggiunsi: – Allora metti in moto e vattene.
– Vieni con me! – mi pregò la ragazza, allungando la mano.
Scossi la testa, con la tempesta di neve che s'infittiva attorno a me. – Ho un lavoro da fare.
Chiusi la portiera prima che l'uomo intirizzito dal freddo potesse rientrare, mi girai e lo spinsi indietro, verso un albero dai rami spogli, le cui punte si mossero a sferzargli il volto. La rabbia nella sua voce era deliziosa e inutile quanto le gocce cremisi del suo sangue sulla neve. Non mi sarei fermata perché me lo ordinava lui, e il fatto che non lo capisse lo rendeva ancora più divertente.
Da aggressore, era diventato una vittima.
La prima volta accadde per caso. Non avevo intenzione di ucciderlo, solo spaventarlo, fargli sentire che cosa si prova a essere completamente inerme, in balia di un mostro che non prova nessuna pietà per la tua sofferenza. Ma mentre lo inseguivo sollevai una radice al momento sbagliato, l'uomo inciampò e batté la testa su un gruppo di rocce che affioravano dalla neve. Non mi scomposi quando capii che era morto.
Aprii la terra sotto di lui e la richiusi sopra. Non lo avrebbero mai trovato, e  il suo corpo sarebbe servito a nutrire gli alberi del bosco. Era il cerchio della vita, nulla di più e nulla di meno.
Fu allora che mi accorsi che non ero più umana. La mia pelle era diventata rigida, bruna e segnata da solchi e scaglie come la corteccia di un albero. Non tornai a casa quella notte, né le successive.
Era lì, in quel bosco, la mia nuova casa.

lunedì 19 agosto 2019

Personaggio: Kal Tydas

Ero tentata di mettere questo personaggio, assieme al suo compare "Maiz", tra i giullari, date le loro baruffe comiche. Non mi pento di non averlo fatto, perché ora posso presentarlo da solo in tutte le sue sfumature, anche quelle più drammatiche che fanno di lui un antieroe.

Immagine creata con Mega Fantasy Avatar Creator di Rinmaru Games


Nel primo racconto che ho scritto su Night Shamyan, Kal Tydas era identificato solo come "il bandito", e la sua presenza era del tutto ininfluente, se non come punto di vista all'oscuro della situazione e narratore della vicenda. Di lui sapevo che era un fuorilegge e un chiacchierone con una certa dose di sarcasmo, interessato alla propria sopravvivenza anche a scapito di una ragazza innocente, che avrebbe lasciato morire come diversivo per la propria fuga se qualcuno con un senso morale più sviluppato (e una missione da compiere) non fosse intervenuto in tempo. Dunque, non proprio un eroe.
Il secondo racconto mi ha dato il suo nome e, contemporaneamente, la sua provenienza: la gente del nord chiamata "kalaan", famosa per aver dato i natali, e ospitalità, ai più temuti fuorilegge, a ladri, banditi, tagliagole, e ai truffatori più scaltri che esistano in quel mondo. E Kal Tydas non fa eccezione, tanto che all'inizio del primo racconto era atteso al patibolo, e all'inizio del secondo si finge ubriaco per sottrarre oggetti di valore in una taverna. Immaginavo che la sua lingua sciolta dovesse servire a qualcosa.
Il secondo racconto mi ha dato anche l'unico dettaglio fisico di cui sono certa, ovvero una cicatrice sul volto, e da lì sono partita per cercare di ricostruire l'aspetto che avevo in mente quando ho scritto i due racconti. Quanto alla motivazione che lo spinge, alla fine, a fare almeno una "cosa giusta" nella sua vita, a parole sembra che a Kal Tydas interessi solo ottenere un guadagno facile a spese degli altri e sopravvivere, qualunque cosa accada. Ma a leggere il racconto qui sotto, è chiaro che c'è anche dell'altro.


Questi i brani già scritti in cui compare Kal Tydas:
Kal Tydas prende in giro sir Maizorean Comesichiama
Nessuno crede a un bandito
Due uomini e una guerriera
La notte prima della battaglia
Che senso ha celebrare la vittoria?


L'esercizio richiede di scrivere un brano in cui l'antieroe spiega o dimostra le sue motivazioni, o in cui compie un atto contrario agli ideali di un eroe. Con Kal Tydas non avevo che l'imbarazzo della scelta, e sarebbe stato facile scriverlo nell'atto di rubare o ingannare qualcuno, ma ho ritenuto più interessante riportare un episodio che si colloca da qualche parte tra il primo e il quarto dei brani riportati sopra.


Aspettai che Night tornasse dal suo giro di ricognizione perché, andiamo, è una pessima idea quella di fermare una donna armata prima che abbia avuto modo di sfogarsi, o di scoprire che non c'è nessuna bestia minacciosa nei dintorni in cui affondare le lame. Va bene, magari anche il secondo caso non è l'ideale, ma sempre meglio che trattenerla prima.
Ero appoggiato al muro dal lato in ombra della locanda, poco più di una spelonca fuori dalle rotte commerciali in effetti, ma lei mi vide lo stesso e mi apostrofò in modo rude: – Che c'è?
Brutta notizia: non aveva trovato nessuno da uccidere.
– Perché, non posso starmene  prendere un po' d'aria? È una bella serata e quel pomposo beota d'uno storiografo mi ha già stordito abbastanza a furia di aneddoti sulle casate reali dell'est o dell'ovest, non mi ricordo più... a quale appartieni tu? E a proposito, non ho capito perché ci portiamo dietro quell'imbecille, quando potremmo farlo fuori nel bel mezzo del nulla e prenderci il carro.
Night reagì con uno sbuffo e mi diede la schiena. Capii in un lampo che se ne stava andando e la afferrai per una spalla. Mossa rischiosa: ricordi quando ho detto che non aveva trovato nessuno da uccidere? Ebbene, Night non ci mise molto a liberarsi dalla mia presa e a costringermi in una posizione scomoda, ovvero con uno dei suoi pugnali alla gola. Alzai l'unica mano libera in segno di resa.
– D'accordo, d'accordo! Volevo solo chiederti: arriviamo lì e poi che fai, ce l'hai un piano? – mormorai alla guerriera che mi sovrastava, tenendomi un braccio piegato dietro la schiena. Quando mugugnò un verso gutturale e mi lasciò libero, mi raddrizzai, mi massaggiai la spalla e aggiunsi: – Uno migliore dell'ultimo, perché lasciatelo dire, quello faceva schifo.
Night rinfoderò il pugnale e incrociò le braccia. – Qualunque cosa faccia, sono già morta.
– Lo so, lo so. Ma io preferirei non lasciarci la pelle, se non ti dispiace. – Mi grattai la parte della cicatrice che mi attraversava la guancia. Night abbassò la testa.
– Allora non seguirmi.
Scoppiai a ridere. – Scherzi, vero? Non ho mai preso così tanto oro quanto quello che ho intascato da quando sono con te. Sei un ottimo diversivo, lo sai? Una donna che riesce a menare in una rissa al pari di un uomo...
Night alzò gli occhi e mi fissò con una smorfia che preludeva al sorriso. Mi ritengo un bravo bugiardo, ma quella era davvero grossa. Sapevamo entrambi che non alloggiavamo in palazzi sontuosi da quando il nostro viaggio era iniziato, e la gentaglia che frequentava simili bordelli non aveva in mano che poche monete di rame; inoltre, il più delle volte, uno sguardo di Night bastava a farmi desistere. In sua compagnia, stavo diventando schifosamente onesto.
Ma era una compagnia che sarebbe durata ancora per poco, e io intendevo godermela il più possibile. Avrei avuto tutto il tempo, dopo, per tornare alle mie vecchie abitudini. O almeno così credevo.
Sospirai. – Night, io...
– Prima che tu possa dire qualcosa di potresti pentirti... – mi interruppe lei, – tieni le monete, per stavolta. Ma restituisci la collanina e l'anello. I loro proprietari potrebbero esserci affezionati.
Dapprima non capii come avesse fatto a indovinare cosa avevo sgraffignato quella sera, dopo che se n'era partita per il giro di ricognizione. Poi compresi e spalancai gli occhi. – Mi hai tastato il borsello! – sbottai, con un fischio d'ammirazione. – Porca miseria, vecchia volpona, mentre mi bloccavi te ne sei approfittata e mi hai toccato il borsello... e non ti ho nemmeno sentita! Che mano delicata! Ah, saresti una perfetta kalaan, lo sai?
Night non mi rispose. Si limitò a rivolgermi un mezzo sorriso che sembrava un ghigno, per poi girarsi e a dirigersi verso l'ingresso della taverna. La seguii, continuando a borbottare: – Però, sul serio, sono ancora dell'idea che dovremmo liberarci del peso morto... magari non proprio ammazzarlo, ma che ne dici di lasciarlo qui e partire col suo carro, solo io e te? Andiamo, non lo trovi uno splendido piano?

sabato 17 agosto 2019

Usurpare

Non riesco a credere di non aver più scelto un verbo dopo quel "blandire" di mesi fa. Mi sa che è giunto il tempo di rimediare.

Usurpare [u-sur-pà-re] v.tr. [sogg-v-arg] 1. Far proprio qualcosa indebitamente, appropriarsene con prepotenza e abusando dei diritti relativi. 2. estens. Godere immeritatamente di qualcosa; non esserne degno.

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Per qualcuno che usurpa ci dev'essere qualcosa che viene usurpato... e quale "oggetto usurpato" è migliore del classico potere temporale di un trono? In più, avevo già il personaggio e la situazione pronta tra i miei, quindi per stavolta non ho cercato alternative originali.


– Che cosa c'è, Cerre? – Sbottò Solemestis, rivolgendo la schiena al più fidato tra i suoi sottoposti. La vista sui Monti del Confine era magnifica dalle sue stanze private nella torre, ma il capo dei consiglieri non riusciva a goderne in quel momento di tribolazione e affanno. – Ho già troppi problemi con quella nullità che viene qui e pretende di usurpare ciò che mi spetta. E per cosa, poi? Per una profezia? Che lo Specchio se le ingoi, le sue profezie!
– Veramente... – azzardò Cerre, levando un indice nel curvare un po' di più la schiena, con la testa incassata tra le spalle. – Quel che la bambina dovrebbe reclamare, secondo la profezia, è la corona della stirpe reale, non il posto di capo del consiglio...
Solemestis sbuffò e sbirciò in tralice l'ometto grassoccio che gli chiedeva udienza. – Lascia queste precisazioni agli sciocchi, mio caro Cerre. Tu e io sappiamo a chi appartiene davvero il potere in questo castello.
Il pesante manto frustò l'aria mentre Solemestis si girava e prendeva a passeggiare per la stanza. Fissò Cerre, che balbettò un "s-sì" poco convinto, prese fiato, e finalmente rivelò la ragione per cui si era spinto fin sulla stanza in cima alla torre. – Il padre della bambina, ovvero il cacciatore che l'ha trovata, pretende un compenso in denaro per la cosiddetta... figlia che ha perduto.
Solemestis si fermò e rivolse a Cerre una smorfia arcigna. – Come osi usurpare così il mio prezioso tempo per una questione di così infima importanza! – Il capo dei consiglieri sbatté una mano sulla massiccia scrivania in legno, poi si strofinò la fronte, e infine sospirò, il tutto di fronte allo sguardo tremebondo di Cerre. – La bambina non è mai stata sua in primo luogo. E se insiste, ricordagli che può essere processato per aver nascosto la figlia di un nemico della corona.
Il volto di Cerre si illuminò. Poi, dopo molte scuse, ringraziamenti, e innumerevoli goffi inchini, sparì dalla sua vista, e Solemestis poté tornare occuparsi del suo problema più grande.

giovedì 15 agosto 2019

Prendersi una pausa

Ho la mente vuota, e non so proprio cosa scrivere oggi. In più è ferragosto, fuori da questa stanza il sole è caldo e lo spicchio di cielo azzurro tra le nuvole è, oh, così invitante! Non mi è d'aiuto nel trovare la concentrazione chi accanto a me mi chiede che cosa voglio fare, dove voglio andare, o se non preferisco invece guardare un film.

E allora cedo. Mi sa tanto che mi prenderò una pausa.

Non so quante volte ti è capitato. La lotta tra qualcosa che sai di voler fare, e che per quanto sia difficile o faticoso ora, ti darà benefici o gratificazioni in futuro, come scrivere, studiare, allenarti, o qualsiasi altra attività creativa... e l'allettante richiamo di un piacere semplice e immediato. Se non hai forza di volontà a sufficienza, se sei stanco, se non hai qualcuno che ti sproni a impegnarti, è chiaro quale delle due "fazioni" risulterà vittoriosa. E alla fine della giornata, se hai ceduto alla tentazione, potresti provare un intenso, opprimente senso di colpa per aver scelto la via più facile, per non esserti impegnato, per aver rimandato ciò che senti di dover fare, non per altri, ma per te stesso. Se ciò che ho descritto ti è capitato, oggi o in altri giorni, non temere: non aggiungerò al tuo rimorso il mio rimprovero. Non oggi.

Oggi sono qui per darti il permesso di non lavorare. Di abbandonarti all'ozio, al dolce far niente, di prenderti una pausa di riposo. Di divertirti. Di utilizzare il tuo tempo soltanto per essere te stesso, semplicemente, senza la smania di dover sempre fare fare fare e completare il tuo progetto, qualunque esso sia. Oggi è un giorno speciale: è il giorno per te. Una festa, come se fosse un compleanno, un giorno in cui sei autorizzato a farti un regalo, a uscire con gli amici, a restare a casa a leggere, qualunque cosa tu voglia. Te lo meriti. Qualunque cosa tu abbia fatto fino a ora, che tu sia stato ligio al tuo proposito giorno dopo giorno dopo giorno, o che ti sia capitato di continuare a rimandare e flagellarti per questo, non importa. Ti sei guadagnato questo giorno. E nessuno può dire il contrario. Nemmeno quella parte di te che non la smette un attimo di criticare e di dirti ciò che dovresti o non dovresti fare. Mettile un bavaglio, che oggi la sua opinione non serve. O dille di prendersi una vacanza.

E domani, quando ti sveglierai, non rammaricarti per un giorno perduto. Congratulati con te stesso, perché un giorno vissuto non è mai perso. Potresti scoprire, smettendo di pensare al passato, che quella pausa ti serviva per ricominciare con rinnovata energia, o per recuperare il desiderio di impegnarti come non ti accadeva da tempo. Oppure, come è capitato a me tra una passeggiata e un film, potresti ritrovarti proprio in questo giorno libero con la mente non più vuota, con tante parole e tante idee da riempire questo post che non avevo voglia di scrivere. Allora capirai come è solo facendo spazio e liberando il tempo che è possibile riscoprire ciò che davvero desideri, e riprendere la creatività e la motivazione che credevi di non avere più.

O, in altre parole: smetti di fare ciò che ti imponi di fare, per metterti addosso la voglia di farlo.

lunedì 12 agosto 2019

L'antieroe

Concludo questa sezione del blog dedicata ai personaggi con due tipi che hanno caratteristiche opposte a quelle che ci si aspetterebbe dal ruolo che ricoprono nella storia, o almeno da una classica storia con una moralità di tipo bianco e nero, buoni contro cattivi. Il primo di questi personaggi è:

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Il tipo più comune di antieroe rintracciabile nelle storie moderne può essere riassunto con queste parole: un personaggio che fa la cosa giusta per le ragioni sbagliate. Nella maggior parte dei casi, l'antieroe prova piacere nella violenza e non gli importa contro chi o cosa combatte purché gli sia permesso di farlo, come accade a Hulk che mette a frutto la propria forza e l'inclinazione a "distruggere!" per la causa degli Avengers. Quando non è interessato alla battaglia, combatte e agisce in vista di un vantaggio personale: denaro, fama, potere, vendetta, la promessa di una redenzione o di restare impunito a dispetto delle proprie colpe sono tutte motivazioni possibili per un antieroe. All'inizio, appena scoperti i suoi poteri, Peter Parker in molte delle versioni di Spiderman li sfrutta per ottenere un guadagno facile. Edmond Dantès, il protagonista di Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas, ordisce il suo piano per vendetta. Constantine, il cacciatore di demoni dell'omonimo film e fumetto, svolge il proprio lavoro non perché è la cosa giusta da fare, ma per guadagnarsi il paradiso. Un'altra motivazione possibile è semplicemente quella di essere lasciato in pace, come accade a Shrek, protagonista di una serie di film animati, che per poter restare da solo nella sua palude deve prima salvare una principessa; tra l'altro, questo personaggio illustra come l'antieroe può essere l'inverso dell'eroe anche fisicamente: brutto, spaventoso, o appartenente a un mestiere o a una razza che ha di solito il ruolo di antagonista, che sia un sicario o un vampiro, un ladro o come nel caso di Shrek, un orco.

Talvolta un antieroe è un ex malvagio che si è alleato con gli eroi per sconfiggere un nemico comune, o per proteggere qualcuno o qualcosa a cui tiene (anche se non lo ammetterebbe mai), il che è ciò che capita a Gru nei film Cattivissimo Me. In altri casi l'antieroe collabora con i personaggi "buoni" e li salva per aumentare le proprie possibilità di sopravvivere, si veda ad esempio Riddick nel film Pitch Black. Non mancano le storie in cui l'antieroe è costretto a fare una buona azione sotto ricatto, e qui mi torna in mente Jena Plissken dei film 1997: Fuga da New York e Fuga da Los Angeles. Oppure, come Gollum in Il Signore degli Anelli, l'antieroe finisce per fare la cosa giusta per caso, mentre è intento a perseguire i suoi fini egoistici.

Pur agendo in maniera eroica nel combattere i malvagi e salvare il mondo, l'antieroe non disdegna di usare i propri poteri, se ne ha, per altri fini poco eroici. Così Faith, una delle cacciatrici del telefilm Buffy L'ammazzavampiri, usa la sua forza per rubare seguendo la sua filosofia di vita ("lo voglio, lo prendo, è mio"). L'antieroe inoltre mente, ruba, tradisce, uccide, tratta male i suoi alleati e infrange la legge, e solitamente preferisce lavorare da solo piuttosto che in gruppo. Alcuni dei personaggi che si comportano in questo modo sono Batman, Edmund Pevensie (il fratello che tradisce gli altri in Il leone, la strega e l'armadio), il dottor House dell'omonimo telefilm e il Professor Piton nella saga di Harry Potter. La mancanza di una morale, come dimostrato da Jack Sparrow in I pirati dei Caraibi, è un tratto distintivo dell'antieroe, sebbene alla resa dei conti questo tipo di personaggio si dimostra meno amorale, più flessibile e certamente più simpatico del vero antagonista della vicenda.

Infine, è interessante notare come in passato la figura dell'antieroe aveva caratteristiche diverse. L'antieroe era l'opposto dell'eroe non per la mancanza di una bussola morale, bensì per la mancanza di abilità, fiducia in se stesso, coraggio, intelligenza, e qualunque altra virtù faccia di un eroe... un eroe. In pratica, si può affermare che l'antieroe di una volta era una persona comune costretta suo malgrado a compiere azioni eroiche. In questo senso, la pigra, goffa, svogliata, paurosa Usagi Tsukino, protagonista di Sailor Moon, può essere considerata tale, così come Frodo Baggins nella trilogia de Il Signore degli Anelli, che deve costantemente essere protetto dagli altri elementi della Compagnia e che cede più volte alla tentazione di usare l'Anello, nonostante gli avvertimenti del saggio Gandalf e degli altri che lo accompagnano.


La lista di antieroi è lunga, essendo un tipo di personaggio molto versatile e amato da pubblico e lettori. Di sicuro, uno o due dei tuoi preferiti non sono tra quelli che ho citato. Ora, non per fare la guastafeste, ma... è arrivato il momento di lasciarti al doppio esercizio di oggi.

Se sei uno scrittore, cerca esempi di antieroe nelle tue storie. Scrivi un brano in cui l'antieroe spiega o dimostra le sue motivazioni. In alternativa, scrivi in brano in cui l'antieroe compie un atto che si discosta dagli ideali di un eroe.

Se sei un lettore (o uno spettatore), ripensa alle storie che hai seguito di recente o a quelle che ti piacciono di più o che ricordi meglio: in quali casi hanno un personaggio che puoi riconoscere come antieroe? Scrivimi pure nei commenti quelli che ti vengono in mente.

sabato 10 agosto 2019

Tolda

Quello di oggi è un termine così specifico che raramente lo si incontra, a meno di non leggere i racconti d'avventure marinaresche del passato, o di trovarsi a trascorrere le vacanze a bordo di un veliero.

Tolda [tòl-da] s.f. mar. Ponte scoperto delle navi a vela del passato.

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Era ovvio che con una parola del genere avrei dovuto ambientare il brano su una nave. E avendo già scritto un pezzetto della storia di Rachele e Talon a inizio settimana (oltretutto, quella è una barca a vela moderna), ho pensato bene di cambiare mondo e personaggi. E dove altro potevo trovare una nave, se non in nella storia che segue?


Era la nave più grande che avessi mai visto, ma anche la sua tolda aveva dei confini; e oltre a essi era il vuoto, non l'immenso blu nel quale avrei potuto sparire a nuoto tentando la fortuna, per quanto remota, di sopravvivere altrove, bensì semplicemente il vuoto, e una caduta di centinaia di leghe certamente fatale. Non c'era via d'uscita, se non quella che potevo costruire con la mia lingua, e con tutto ciò che il Corvaccio mi aveva insegnato. Non sapevo ancora quale piano mi avrebbe tirato fuori di lì, ma ero certa che, una volta messo in moto, il capitano in persona mi avrebbe pregato di andarmene, perché l'alternativa non gli sarebbe piaciuta affatto.
Quella gente pensava che io dovessi loro qualcosa, gratitudine forse, per avermi salvata dalla trappola in cui loro stessi mi avevano infilato. Li spiavo mentre lavavo la tolta assieme a un altro mozzo, un sempliciotto felice di stare dove stava e di obbedire a ogni ordine. Lui mugolava di meraviglia nel vedere il panorama di nubi e di cime di monti, e indicava gli uccelli che si tuffavano sotto la chiglia della nave volante. Io avevo già cominciato a curiosare in giro, e a fare domande, e a chiedermi come mai a tutti quelli che avevano indagato sul funzionamento della nave era stato risposto che era complicato, ma che non c'era nulla da temere, perché come potevano vedere, funzionava alla perfezione. Il capitano serbava gelosamente quello e forse anche altri oscuri segreti, segreti che avrei dovuto scoprire, perché come diceva sempre il Corvaccio, il sapere, di qualunque genere, poteva essere scambiato al pari delle monete. E il sapere noto a pochi aveva lo stesso valore dell'oro.
Perciò fingevo di far parte dell'equipaggio, e di gioire di quella situazione, quando in realtà ero una prigioniera che pianificava la sua fuga. Non mi sarei mai accontentata di vivere confinata su una tolda ed entro lo spazio racchiuso da una chiglia.
Quella nave non era il mondo, e per quanto grande, per me non era abbastanza.

giovedì 8 agosto 2019

Personaggio: la signora Emilia

Come Talon, che ho presentato lunedì, spesso i miei giullari fanno parte di una coppia formata da personaggi con caratteri in contrasto tra loro: Jashira e Holy, Trevis e Alcyone, Hilo e MaaritNight, Kal e "Maiz"... ok, questo è un trio. Molto più raramente, il giullare fa parte di un gruppo più ampio e la sua commedia si regge anche senza una controparte che lo supporti. È il caso del personaggio di oggi.

Immagine creata con Mega Fantasy Avatar Creator di Rinmaru Games


Non avevo intenzione di farlo, ma coincidenza ha voluto che anche questo personaggio fosse stato creato appositamente per un brano del blog. E, dopo quella prima scenetta, è tornato in ogni singolo episodio ambientato nella stessa realtà, e questo la dice lunga su quanto mi piacesse il personaggio.
Come l'altro che ho presentato, la comicità della signora Emilia è involontaria; al contrario di lui, non deriva da una differenza culturale, dall'ignoranza delle usanze umane o da un modo di fare goffo e impacciato. La signora Emilia è umana, talmente umana che il suo comportamento è riconducibile a quello delle comari di paese, una di quelle impiccione e chiacchierone che sanno sempre tutto di tutti.
Completa la personalità istrionica e sopra le righe una certa dose di idiosincrasie (per la polvere, il disordine, gli alieni) e la tendenza a trarre la conclusione sbagliata.
Non mi sono mai soffermata a descrivere la signora Emilia, ma io la immagino così: una signora di mezza età, un po' in carne, dal trucco curato e i capelli tendenti al grigio topo, raccolti in uno chignon spettinato. Indossa vestiti leggeri, con stampe floreali, e non esce mai di casa senza qualche gioiello addosso o, nelle serate più fresche, un foulard.


Questi i brani già scritti in cui compare la signora Emilia:
Riunione del vicinato
La signora Emilia e le chiacchiere
Giallo in casa di Sabina la veggente


L'esercizio richiede di scrivere un brano in cui il giullare stempera una situazione drammatica, oppure si mette al centro di una scena comica. Ogni volta che appare, la signora Emilia, con la sua personalità invadente e i modi di fare esagerati, si prende tutto lo spazio a disposizione... non poteva essere altrimenti al primo incontro con il personaggio che funge da voce narrante. Questo racconto cronologicamente si colloca prima dei tre che ho già scritto.


Non ero abituato ai comitati d'accoglienza. O meglio, di solito, il comitato d'accoglienza ero io, e tendevo a farlo da solo, in maniera discreta e in silenzio. Così aveva sempre funzionato, ovunque andassi, perfino nel più affollato dei condomini di città.
Che sciocco ad aver pensato che in un paesino di poche anime non fosse tanto differente.
Non avevo ancora spacchettato tutta la mia roba, né sistemato l'indispensabile, quando suonò il campanello della mia nuova casa. La porta non aveva uno spioncino, perciò fui costretto ad aprire per scoprire chi c'era dietro.
Oltre la soglia, una mezza dozzina di sconosciuti mi sorrideva. In prima linea, quella che avrei imparato a conoscere come "la signora Emilia" proruppe in un gridolino eccitato.
– Ooooh, benvenuto, nuovo vicino, benvenuto!
Gorgogliando di contentezza, spinse nelle mie mani i manici della teglia che portava con sé e dopo esserci presentata si protese per scambiare un classico, simbolico, triplo bacio sulle guance, mossa che portò a termine a dispetto della mia scarsa partecipazione alla manovra. Intendiamoci, non sono del tutto estraneo a simili manifestazioni di cordialità, ma la visita improvvisata a così breve distanza dal mio arrivo mi aveva preso alla sprovvista.
– Grazie – ribattei. – Ma non era necessa...
– Posso entrare, caro? – interloquì la signora Emilia, interrompendo la mia replica impacciata. Senza attendere risposta, s'infilò oltre la porta passando al mio fianco, cosa che mi costrinse a retrocedere per evitare di rovesciare i suoi manicaretti. Quella mossa incoraggiò anche gli altri ad accomodarsi nella mia nuova casa, pronunciando i loro nomi e qualche frase di rito. Stringermi la mano, in quel momento, non era possibile.
Tentai di disfarmi di loro in fretta. – Veramente, non ho ancora...
– Santo cielo! – sbottò la signora Emilia, affacciandosi dalla cucina in cui era andata a curiosare, senza nemmeno chiedere il permesso, come se fosse a casa propria. – Ma qui è tutto in disordine, caro!
Sospirai e mi mossi verso la cucina, col resto del comitato d'accoglienza che mi veniva dietro animato da un cicaleccio continuo. Tentai di spiegarle: – Mi pare ovvio, sono arrivato da neanche venti minuti.
– E in soli venti minuti sei già riuscito a mettere a soqquadro la casa?
La signora Emilia mi fissò con disapprovazione. Quando posai la teglia su un ripiano della cucina, scosse la testa come se avessi scelto il posto sbagliato. – Immagino che non ci sia una signora... come ti chiami, caro?
Le diedi il nome che davo sempre. Anche se non era il mio. – Orm.
– Orm? Che razza di nome sarebbe Orm? – biascicò la signora Emilia con sdegno. – Non è nome da cristiano, certo che no, qualcuno avrebbe dovuto informare i tuoi genitori. Ad ogni modo, c'è una signora Orm, oppure...
– No – tagliai corto. La stranezza del nome non era bastata a calamitare la sua attenzione sul dettaglio più innocuo che potessi fornirle.
– Oooooooh, bene, benissimo! – mugolò la signora Emilia. Si avvicinò al gruppetto che la seguiva, e da lì pescò una delle donne, una ragazza mascolina che portava una salopette in jeans dai pantaloncini corti e un cappello di paglia in testa. La spinse verso di me, tenendole le mani sulle spalle. – Anche la nostra Anna qui non ha un fidanzato, ma non so proprio perché, non è una donna bellissima? Dovreste chiacchierare un po' fare conoscenza, che magari poi da cosa nasce cosa...
Anna guardava altrove, chiaramente imbarazzata, mentre la signora Emilia non smetteva un attimo di esaltare le sue doti e raccontare aneddoti di vita contadina, che coinvolgevano sia Anna che tutti gli altri abitanti della zona. Cominciai a capire che nonostante quello che aveva detto poco prima, non l'avrebbe lasciata parlare.
Era ovvio che dovevo porre un freno all'invadenza dei miei vicini, stabilire dei confini, se volevo continuare a fare lì ciò che avevo fatto altrove. Dopotutto, quando sarebbero arrivati i miei ospiti dai luoghi al di là del cielo, non potevo mica presentarli al comitato di accoglienza locale, no?
Ero ottimista. Ancora non sapevo che mantenere un segreto in quel luogo sarebbe stato impossibile.

lunedì 5 agosto 2019

Personaggio: Talon

Come primo giullare, ho scelto un personaggio che mescolasse alle caratteristiche di un goffo e simpatico combinaguai tutti i problemi derivanti dall'essere stato catapultato in un mondo diverso da quello a cui è abituato.

Immagine creata con Mega Anime Avatar Creator di Rinmaru Games


Talon è nato per caso sulle pagine di questo blog, in risposta a un esercizio che mi ha portato a scrivere il primo dei brani qui sotto. Non pensavo avrei mai proseguito la sua storia, ma la sua involontaria comicità era uno spunto troppo bello per non essere sfruttato ancora. come annunciato all'inizio del post, Talon rappresenta il giullare in quanto unisce alla goffaggine di Pippo l'ignoranza di Mork sulle usanze umane e un pizzico della codardia che appare talvolta in questo tipo di personaggio, giustificata dal fatto che le sue esperienze precedenti con gli esseri umani sono state tutt'altro che idilliache.
Talon appartiene al popolo dei "gremlin della Terra del Vapore", e più che ai mostriciattoli del film, per il nome e l'aspetto mi sono basata sulle leggende antecedenti e su una puntata di Ai confini della realtà. Quanto alla Terra del Vapore, tutto ciò che posso dire è che si tratta di una dimensione parallela dalle atmosfere steampunk, in cui umani e gremlin convivono in maniera non pacifica, separati tra le altre cose da una differenza linguistica: i gremlin si esprimono in una lingua non troppo diversa dall'italiano, mentre gli umani della Terra del Vapore parlano un inglese arcaico. Il nome che usa Talon, infatti, è quello con cui lo chiamano gli esseri umani, dato che la sua gente ottiene un nome solo quando compie un'impresa o realizza un'invenzione degna di essere ricordata e tramandata, e Talon è ancora troppo giovane per entrambe le cose.
Per completare il quadro ed esaltare la sua vena comica, come spesso accade, ho messo Talon accanto a un personaggio che fosse il suo opposto: un personaggio tragico, umano, tormentato dal rimorso, ed è così che ho ideato la storia di Rachele.


Questi i brani già scritti in cui compare Talon:
Primo incontro tra Rachele e Talon (doppia versione)
Un'invenzione non richiesta
Ritorno alla Terra del Vapore


L'esercizio richiede di scrivere un brano in cui il giullare stempera una situazione drammatica, oppure si mette al centro di una scena comica. I tre brani già inseriti nel blog già si qualificano come tali, chi più, chi meno; ma dovendo immaginare un nuovo racconto, ne ho ideato uno che si colloca da qualche parte tra il secondo e il terzo, quando Rachele e Talon ancora non si conoscono bene.


– Siamo spacciati – mormorai, guardando in su. Sia la randa che il genoa erano lacerati da strappi verticali, e quel che restava delle due vele sbatacchiava rumorosamente nel vento. Sentivo le lacrime pungermi gli occhi al pensiero di quella ferita inflitta a Sabrina, la barca che portava il nome della mia gemella mai nata. Non mi ero presa cura di lei come avrei dovuto.
Al mio fianco, il colpevole di quello scempio si strinse nelle ali. – Guarda il lato positivo – replicò, e la sua voce dall'accento strano, un misto di tante inflessioni regionali diverse, suonava fin troppo allegra per i miei gusti. Tese le mani dagli artigli neri verso i brandelli delle vele. – Possiamo sempre usare tutto quel tessuto per...
– No! – sbottai, e gli diedi uno spintone che lo fece caracollare fino alle draglie che delimitavano il ponte. – Niente più invenzioni! Smettila! Falla finita!
Ero così fuori di me, che quando Talon mi sibilò contro in reazione allo spintone, sollevai il braccio come per colpirlo. Mi bloccai quando lo vidi ripararsi il volto con le braccia, curvo e tremante. "Umana cattiva", mi aveva chiamato più volte durante i primi giorni, e ancora ricordava la botta che gli avevo dato su una delle ali con il mezzomarinaio. Era rimasto con me sulla barca per parecchio tempo prima di riuscire a volare di nuovo, e intanto aveva smontato tutto ciò su cui era riuscito a mettere gli artigli, con la scusa di migliorare gli strumenti che avevo a bordo. Compreso, come avevo scoperto il giorno precedente, il motore che in un caso del genere avrei usato per raggiungere il porto più vicino per riparare o sostituire le vele.
Mi rannicchiai e mi strinsi nelle braccia con un singhiozzo spezzato. Era andato tutto storto da quando quella creatura, un gremlin della Terra del Vapore come si era definito lui, era precipitato addosso a me e a Sabrina. Non era in questo modo che avevo immaginato la nostra traversata in solitaria. Talon era di troppo. Doveva andarsene, e lasciarci in pace.
Alzai gli occhi quando udii il raschiare delle sue zampe da dinosauro sul ponte. Me lo vidi di fronte, accucciato vicinissimo a me, che mi fissava con la testa inclinata.
– Che vuoi?  – brontolai in tono scorbutico.
– Niente! – ribatté Talon, agitando le mani. – Mi chiedevo... mi chiedevo solo se sei rotta, e se per caso ti devo aggiustare.
Aggrottai la fronte. – In che senso? – gli domandai. E intanto, riflettevo se questa bizzarra creatura non avesse intuito il mio tormento, il pensiero fisso che mi rodeva dentro, e che mi aveva spinto a isolarmi dal mondo. La mia gemella, Sabrina, che avevo assorbito ancora in grembo. Forse, da qualche parte, anche dopo tutte le operazioni che avevano asportato i tessuti che non mi appartenevano, qualche cellula di lei esisteva ancora in me, e questo un gremlin poteva percepirlo.
– Dico solo che tra gli umani che ho incontrato, tu sei la meno cattiva – ribatté invece Talon. – Perciò devi avere qualcosa di rotto. Ma se essere rotta ti ha fatto diventare buona, allora quasi quasi preferisco non aggiustarti!

sabato 3 agosto 2019

Sbalestrato

Quella di oggi è a mio avviso è una parola simpatica, quasi comica; una specie di insulto casto, forse d'altri tempi, di un'epoca in cui si usava la balestra da cui il termine etimologicamente deriva.

Sbalestrato [sba-le-strà-to] agg., s. 1. agg. Disordinato, privo di equilibrio e coerenza, scombussolato, frastornato; che conduce una vita irregolare e disordinata. 2. s.m. (f. -ta) Persona priva di equilibrio.

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Sapendo di volerlo usare sia come aggettivo che come sostantivo, era chiaro che il brano avrebbe riguardato "uno sbalestrato" o "una sbalestrata". Senza pensarci troppo, ho cominciato a scrivere un altro pezzo della storia del primo che mi è venuto in mente.


Colette mi sorprese mentre uscivo dal magazzino farmaci con le garze e i medicinali nella borsa. Non mi chiese perché ero ancora in ospedale durante la mia pausa pranzo, né perché stavo rubando del materiale dal pronto soccorso. Andò dritta al punto.
– Un'altra visita a domicilio allo sbalestrato?
Non le risposi; chinai la testa e l'aggirai. Lei sapeva, ed era chiaro che presto avrei perso il lavoro, ma non potevo fare altrimenti.
Colette mi afferrò per un braccio. – Maria, non lo fare. Quello... quel tipo è pericoloso, non è una persona normale, e non c'entra la superstizione. Lo vedi dai suoi occhi. C'è qualcosa che non va, in lui.
Naturalmente io lo sapevo già. Scoprire lo scantinato dove viveva, gli alambicchi, laboratorio, il diario, mi aveva confuso e spaventato all'inizio. Avevo cercato di interpretare tutto alla luce di un razionale rigore scientifico, ma più sommavo i dettagli, e più si componeva di fronte ai miei occhi un quadro sbalestrato. Eppure non potevo abbandonarlo. Da quando lo avevo soccorso ero in qualche modo entrata a far parte del suo mondo, ed ero diventata uno degli elementi nella sua ricerca alchemica di un equilibrio. Sapevo bene che soccorrere non equivaleva a salvare, ma avrei fatto tutto il possibile per aiutarlo.
– Dovresti mandarlo da un dottore. E non solo per la ferita, dico... uno di psichiatria – soggiunse Colette a voce bassa.
Scossi la testa. Ormai non credevo più che fosse pazzo, ma non potevo spiegarle come lo sapevo. – Non vuole farsi visitare da un medico. Di nessun tipo. Ma si fida di me... per ora non si può far altro, credimi.
Era l'unica spiegazione che lei potesse accettare. Colette sospirò e mi lasciò il braccio. – Vai. Non dirò niente, per stavolta. Però ti prego, sta' attenta. E se dovesse dare segni di squilibrio, diventare pericoloso... scappa, d'accordo?
Colette sorrise come se fosse una battuta, ma il resto del suo volto dichiarava quanto fosse seria. Le rivolsi un cenno d'intesa e mi allontanai lungo la corsia.

giovedì 1 agosto 2019

Come scrivere una sinossi decente e completa al quarto tentativo (forse)

La sinossi, questa sconosciuta. Questa bestia nera, questo spauracchio dello scrittore in cerca di editore, questo insormontabile ostacolo che appare, ai più, di una difficoltà maggiore rispetto allo scrivere un intero romanzo. Se stai leggendo queste righe, posso immaginare che anche tu sia bloccato da questo arduo ma necessario passo per raggiungere il tuo obiettivo, o il tuo sogno, e tra i tantissimi articoli in rete su come affrontarlo hai scelto questo. Magari non come unico approccio al problema, ma insieme ad altri... in fondo, più punti di vista danno un quadro più completo rispetto a uno solo, no?

Io non sono un'esperta in materia. Ma sto scrivendo la sinossi del mio romanzo, perciò posso condividere con te la mia esperienza di com'è stato finora, come sta proseguendo, quello che ho imparato dalle varie versioni che ho stracciato e ciò che ho trovato di utile in altri articoli e blog che ho consultato prima e durante l'impresa. Se ti va, possiamo fare questo tratto di strada insieme.

Penso sia importante innanzitutto capire perché una sinossi metta tanto in difficoltà uno scrittore che non è abituato a comporne una. Io ritengo che, più che la sinossi in sé, ciò che spaventa è il valore di cui è caricata. Ancor prima dell'incipit, e sono sicura che anche per quello avrai passato notti insonni a rifinirlo fino a renderlo perfetto, la sinossi sarà nella maggior parte dei casi il primo testo davvero letterario che arriverà davanti agli occhi di chi dovrà valutare la tua opera. Perché, parliamoci chiaro, la lettera di presentazione tanto non conta, sono molti quelli che nemmeno la accludono e lasciano il corpo dell'e-mail in bianco (scherzo... non farlo mai, mai, mai... ma di questo scriverò magari un'altra volta). In poche righe, la sinossi ha il compito di colpire, dimostrare il tuo talento e il valore del romanzo, e spingere l'editore ad affrontare la lettura dell'intero malloppo, e il tutto senza nessuno degli elementi che ritieni essere i tuoi cavalli di battaglia. Niente dialoghi dalle battute argute, al bando le descrizioni evocative, via i numerosi personaggi secondari, vividi e ben delineati, che popolano il tuo mondo immaginario, e a proposito di quel mondo, guai a lasciare entrare nella sinossi più dettagli di quelli strettamente necessari a comprendere dove si svolge l'azione. Al primo approccio, la scrittura della sinossi può scoraggiare, e farti chiedere con amarezza che cosa resta del tuo romanzo, se devi togliere tutti gli elementi che lo distinguono dalle numerose altre storie che attendono di essere pubblicate.

Ero arrivata anch'io a questo punto morto quando nel corso della mia ricerca per capire come scrivere una sinossi perfetta, quella accattivante e unica che in poche parole potesse davvero rendere l'idea del mio romanzo nonostante fosse la sua versione ridotta all'osso, mi sono imbattuta in un articolo postato in un blog che mi ha dato una nuova prospettiva. Il messaggio dell'articolo era che una sinossi ben scritta offre un riassunto non della trama, bensì dell'esperienza di lettura (mi scuso... avrei voluto a questo punto mettere un collegamento a quell'articolo, ma nonostante tutti i miei sforzi sono riuscita a ritrovarlo. Se lo conosci, per favore, segnalamelo nel commenti, così posso rimediare!). Apriti cielo! Quando l'ho scoperto, ho passato giornate intere a rileggere il romanzo capitolo per capitolo, per riassaporare l'esperienza di lettura e di conseguenza aggiornare man mano il mio file sinossi, facendo in modo che questo secondo testo, in maniera condensata, trasmettesse ogni emozione e ogni sorpresa e ogni singola rivelazione sconcertante.

Inutile dire che alla fine di quella sinossi non ci sono mai arrivata.

Mi sono resa conto, mai troppo presto, che la faccenda stava andando un po' per le lunghe. Alla sesta pagina, duecentoquarantatreesima riga, ho capito che non valeva la pena di trascinare oltre l'agonia. E a quel punto mi mancava ancora un quinto del romanzo.

Ho cambiato approccio. Non un file, troppo facile scrivere al pc una quantità spropositata di parole. Ho preso un foglio di carta, di quelli a righe, con i fori: quelli su cui generalmente scrivo la mia prima stesura di un romanzo. Fronte e retro, non di più, mi sono detta. Quello era il mio limite invalicabile. E, per evitare di inserire troppi dettagli, ho lasciato da parte l'esperienza di lettura in diretta e mi sono affidata alla mia memoria. Se qualcosa non lo ricordo, non è poi così importante da figurare nella sinossi, mi sono detta.

Due pagine fronte e retro dopo, e ancora ben lontana dal termine della sinossi, la mia conclusione è stata questa: ho una memoria troppo buona. Eppure avrei dovuto capire che la cosa non stava funzionando quando ho cominciato a inserire aggiunte sui margini inferiori e superiori della prima pagina.

Archiviata anche questa sinossi incompleta sono tornata alla fase della ricerca. E assieme a qualche articolo aggiuntivo, che comunque non mi ha rivelato niente più di quello che già sapevo, ho cercato esempi a cui ispirarmi. Ho pensato ai libri letti e ai film visti di recente, di cui avevo ancora un buon ricordo di ogni singolo dettaglio, e ho letto le loro sinossi trovate su internet, per capire che cosa veniva messo e che cosa omesso, quali particolari venivano semplificati, distorti, o spostati per rendere più comprensibile la storia in sintesi. Tra tutte, mi sono concentrata sulla sinossi di un film che mi sembrava avere in comune alcuni elementi con il mio romanzo, non a livello di trama, bensì di struttura. Un singolo protagonista che fa da punto di vista invece di una storia corale, una vicenda che riguarda le persone coinvolte e non il destino del mondo, ambientata in più di un luogo, con un mistero la cui soluzione è nelle mani di un altro personaggio, e la cui ricerca cambia la vita e il modo di vedere il mondo del protagonista. Il film, se ti interessa, è "I sogni segreti di Walter Mitty". E solo ora mi rendo conto che questo titolo contiene ben due parole collegate a quello del mio romanzo, una che era nel titolo originale, e una che è diventata il fulcro del titolo che ha oggi.

Coincidenze a parte, ciò che ho estrapolato dalla lettura di quella sinossi è questo: per una storia come la mia, una sinossi che funziona inizia con la presentazione del protagonista, poi della situazione di partenza, quindi si introduce l'evento che rompe questo equilibrio, e da lì si prosegue con la sequenza di avvenimenti, tagliuzzando qua e là per lasciare solo quelli che rappresentano una svolta e avendo cura di collegarli in modo tale che si capisca come ciascuno derivi dal precedente, e senza di esso non possa esistere. Fino ad arrivare, come già sapevo, a svelare il colpo di scena finale, e ad accennare all'epilogo che ne consegue. Bene, a questo punto della storia avevo la struttura, ma mi mancava ancora qualcosa per tradurla in realtà. Due cose, anzi. Una era la forza di volontà, e quella l'ho ottenuta un giorno con uno dei classici calci nel sedere che ti dà la vita, quando a causa di un imprevisto non sono riuscita a scrivere nemmeno una parola nel tempo sempre più ristretto della pausa pranzo che riservavo a questo scopo. La seconda era un approccio che funzionasse per me, al di là della formula che avevo ricavato dal mio studio della sinossi ideale.

È diventato tutto più facile quando ho capito che non dovevo scrivere una sinossi. Dovevo scrivere un racconto. Un racconto brevissimo, interamente narrato invece di essere "mostrato", e che somigliasse il più possibile al mio romanzo. Senza scandalizzarmi troppo se qualche evento, per amore di brevità, veniva leggermente falsato a causa dei dettagli mancanti, o se era riportato in modo impreciso. E per evitare di ripetere il grosso errore delle prime due ho messo da parte carta e penna e mi sono dedicata a scriverla interamente sul tablet: uno strumento su cui la scrittura per me procede lenta e in maniera difficoltosa, un supporto che mi costringe a porre attenzione a ogni parola per evitare che la correzione automatica distorca il senso della frase.

Alla fine dell'ordalia avevo tre pagine, seimila battute, di cui finalmente potevo essere soddisfatta. Era una sinossi completa, se non altro, dall'inizio alla fine, e molto più succinta delle prime due. Orgogliosa, l'ho passata alla mia lettrice di fiducia, che mi ha confermato ciò che in cuor mio già sapevo: è ancora troppo lunga.

Mi sono rimessa all'opera, stavolta con una base da cui partire. Togli questo paragrafo, riassumi ulteriormente la descrizione del protagonista (eliminando, tra l'altro, una delle poche espressioni su cui avevo dei dubbi), accorpa queste due frasi in una. Il giorno dopo, però, con ancora tanto da tagliare, già mi rendevo conto che questa non era più una sinossi di cui ero soddisfatta, che a furia di eliminare parole erano saltati tanti di quei collegamenti che la rendevano un'unità fluida invece di un patchwork spezzettato. E grazie a questi salti, ho compreso qualcosa che mi era sfuggito. L'unico modo per descrivere il mio romanzo in poche parole non è fornendo un riassunto di ciò che succede nella storia, bensì rivelando ciò che in un romanzo dovrebbe restare nascosto. Ciò che deve rimanere intrecciato tra le righe, mai al di sopra: il tema, il messaggio sottinteso nella storia. La risposta ultima alla domanda: di cosa parla il tuo romanzo?

E a questa sinossi, la versione 4.0 se vogliamo usare un linguaggio tecnico, ci sto ancora lavorando. Che cosa ci metterò, e che cosa a questo punto della mia esperienza ho imparato di dover mettere in un romanzo? In sintesi, ecco qui il mio stretto indispensabile:
  • presentazione del protagonista
  • tempo in cui è ambientata la storia (se diverso dal presente) e luogo (se specificato e di notevole importanza per la trama)
  • situazione iniziale
  • evento che rompe l'equilibrio
  • qualche accenno agli avvenimenti principali-punti di svolta che gradualmente portano a evidenziare...
  • il tema o i temi della storia (quella sinossi del film che ho citato sarebbe stata un esempio migliore per il mio scopo se avesse spiegato come il film intreccia i due piani del viaggio interiore e di quello esteriore, e come la ricerca del protagonista lo porta a superare i propri limiti e affrontare nella vita reale le situazioni avventurose che aveva solo immaginato, e ciò gli consente di conoscersi meglio, di valorizzare il proprio talento e di acquisire il coraggio di reagire ai problemi nella propria vita - un capo arrogante, una donna a cui non riesce a dichiararsi - in modo concreto invece di rifugiarsi ogni volta in un mondo di fantasia in cui lui è il protagonista e l'eroe)
  • e per finire, ovviamente, la fine. Rivelando tutto, anche il colpo di scena, se c'è: chi è l'assassino, qual è il mistero, come si salva il protagonista in pericolo, qual è il punto debole che porta l'antagonista alla sconfitta, dov'era la foto numero 25 e qual è il suo soggetto.

Questo è ciò che ho appreso (finora) scrivendo la sinossi del mio romanzo. Può non valere per ogni tipo di storia, e probabilmente ho ancora molto da imparare sull'argomento. Perciò, se ti va di condividere la tua esperienza, i tuoi fallimenti e i tuoi successi per quanto riguarda la sinossi, se hai un consiglio da darmi oppure se conosci il link a quell'articolo che avrei voluto riportare (se solo lo avessi trovato!), lasciami pure un tuo commento.

Fino alla prossima, non farti spaventare dalla sinossi, non bloccarti di fronte all'ossessione che dev'essere perfetta, perché se sei arrivato a questo punto, significa che il più è fatto. Ci sei quasi. Hai scritto, e hai riletto, e hai corretto più e più volte un intero romanzo: in confronto, che cos'è una singola paginetta?