sabato 31 agosto 2019

Zana

Per l'ultima lettera dell'alfabeto ho scelto una voce regionale che ha attirato la mia attenzione: quattro semplici lettere che definiscono un oggetto di uso comune.

Zana [zà-na] s.f. tosc. Ampia cesta di forma ovale, fatta di listerelle di legno intrecciate; anche, il contenuto di tale cesta.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Photo by Victoria Ugarte from Pexels


So che la cesta presentata nell'immagine non è una zana, ma mi piaceva. La differenza è che una zana è ovale, poco profonda e fatta di stecche, mentre una generica cesta può essere anche tonda, profonda e costituita da vimini intrecciati. Una volta scoperto, poi, che si usa trasportare la zana sopra la testa, avevo bell'e pronta l'idea iniziale per il brano che segue. Non mi restava altro da fare che identificare la voce narrante, che dopo qualche riga ho capito appartenere a Hashum il Lupo, il mentore reticente di un altro racconto.


La prima volta che la vidi, Amya camminava all'ombra di una zana traboccante di gigli profumati, con i petali candidi e rosati che danzavano al ritmo dei suoi passi. Lei non mi notò, com'era ovvio. Ero lì per un giro di ricognizione: nel remoto caso in cui il mio bersaglio si fosse presentato, non doveva capire che ero già sulle sue tracce, perciò mi ero mescolato alla folla con abiti sufficientemente trasandati e l'espressione stolida di un taglialegna che avesse preso troppi colpi in testa. Dietro lenti colorate che celavano i miei occhi color del tramonto, protetto dal mio travestimento, io guardavo tutti senza mai fissare nessuno. Ogni mercante, ogni ubriacone, ogni singolo vagabondo o contadino che attraversava la piazza era passato al vaglio, e assieme a loro, le vie di fuga, i portoni, gli angoli ciechi e le finestre. Stavo riflettendo su dove piazzare la mia trappola nel caso in cui il criminale si fosse presentato lì, come sostenevano i miei informatori, quando Amya mi passò davanti senza vedermi.
A differenza degli altri che avevo studiato brevemente fino ad allora, lei catturò il mio sguardo, che la seguì forse per troppo tempo. Lei non mi aveva notato, ma qualcun altro aveva notato me.
La seconda volta che la vidi ero lì in veste ufficiale, con le insegne da Bollatore sul cappotto e il mio apprendista al seguito. Parlai con lei mentre Mereborn interrogava gli altri testimoni e le comprai l'intera zana di fiori, che quel giorno conteneva una straordinaria varietà di rose dai petali quasi neri, con una macchia di un rosso profondo al centro di ognuno, come una goccia di sangue. Se avessi creduto a simili sciocchezze, guardando indietro, lo avrei definito un presagio.
In ogni caso, quella storia non poteva finire bene. Io ero un Bollatore, un cacciatore di taglie che viveva sul filo del rasoio e adorava correre rischi, e lei era una semplice ragazza di campagna con un segreto.

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