Le storie della buonanotte
Mio padre è bravo a raccontare favole della buonanotte. Così bravo, che sul più bello comincia a sbadigliare e si addormenta da solo. E io non ho mai sentito come vanno a finire.
Ebbi la mia risposta in una notte di tempesta in cui mi ero attardato più del solito a cercare di decifrare i suoi appunti alla luce delle candele, sprofondato nel vortice dei suoi deliri massonici e complottisti. Un lampo, e nel rettangolo di luce sul pavimento si allungò un'ombra. Alzai gli occhi e lo vidi, pallido e grinzoso, contro lo sfondo scuro delle nubi temporalesche.
Kokroshyd si fermò e indicò al cacciatore più anziano un gruppo di alberispina alla sua destra. Il suo compagno scorse la trappola e digrignò i denti in risposta. Non era ancora il momento di distruggerla: se la preda non si fosse mostrata di fronte al loro numero esiguo e alla loro goffaggine, forse si sarebbe reso necessario fingere di essere caduti nell'inganno.
Lì, sulla frontiera che confinava con i sentieri dei giganti, avevamo costruito un avamposto tra i rami, una casupola camuffata da nido di uccello, in caso a qualche gigante fosse venuto in mente di arrivare fin sotto al nostro albero e guardare in su.
– Avrei dovuto immaginare che sarebbe andata così, no? Fin da quand'ero piccola... non che il mio primo giocattolo sia stato un razzo di plastica. – Silvia ridacchiò, oltrepassando la soglia della sua camera. – Perché è stato il secondo. O così mi hanno detto, io nemmeno lo ricordo.
Il sole era quasi allo zenit sul deserto. Non c'era una strada davanti a noi, nessuna oasi, né ombra, né un segno della nostra meta. Arrancavamo sudando sull'ennesima duna, del tutto identica alle cento altre che l'avevano preceduta.
Accennai all'esoscheletro di demone che le faceva da armatura. Non osavo pensare a come lo avesse svuotato di quello che c'era dentro.
– E il muco verde! – mi esortò la bambina, togliendo le mani dagli occhi.
Storsi la bocca. – E il liquido verde nella brocca d'argento, sì, quello che ti fa cambiare. Anche quello sapeva di mucido, era disgustoso. Tu non te lo ricordi perché eri troppo piccola.
La vasca è piena d'acqua che trabocca rosea sul pavimento, rendendolo umido e scivoloso. Un braccio femminile è adagiato fuori dal bordo, ma riesco a vedere solo dal gomito al polso. Non c'è la mano.
Lo guardo, lui e quel suo brutto sorriso sotto il naso storto. Afferro un sassolino da una crepa e glielo tiro. La pietruzza lo colpisce a una gamba e lui mi sorride ancora di più.
La Valle si stendeva ai miei piedi nella brezza vespertina, e con lei la speranza di una nuova vita.
Estate o inverno, non lo avevo mai visto privo di una tutina candida, con tanto di cappuccio da cui spuntava un cornino dorato. Mi era sembrato bizzarro che Merry lo avesse chiamato Nuvola Rosa e che insistesse nel farlo vestire così, dato che non credeva agli unicorni.
Nyxi mi lascia il polso, e alla fioca luce della lanterna lontana scopro sulla mia pelle il segno che hanno lasciato le sue dita bianche e fredde, dalle unghie nere. Alzo lo sguardo al suo viso emaciato, dagli occhi vitrei, guance scavate, e un sorriso a denti aguzzi.
Se non la conoscessi, potrei averne paura.
Mentre raccontavo loro di quel duello orribile riaffiorarono tutte, una dopo l'altra, le ferite e le botte che ancora bruciavano nella mia memoria. Le staffilate alla schiena e alla spalla sinistra con il lato piatto della lama. La ferita superficiale che mi aveva intorpidito un avambraccio. Il taglio sulla coscia, e il colpo in testa con i petali argentati e taglienti che ricoprivano l'elsa.
Suré è immobile, sdraiata sulla pancia a braccia conserte per sostenere il mento, e fissa il topo con l'aria di una gattina famelica.
Che fa quell’armadio ambulante? Mi sta fissando. È già da un po’ che mi fissa. E poi si muove. Non credevo che riuscisse a muoversi, ma lo fa. E allora mi prende il panico. Non verrà mica da me, quello? Strillo alle mie compari.
La vecchia autoradio suonava la melodia struggente di "Perfect day", e fuori dal finestrino appannato scorrevano le luci intermittenti e variopinte delle decorazioni natalizie.
– A saperlo potevo chiederti di trasformarti nel pesce di fuoco volante, invece di continuare a parlarne a vuoto – mormorai.
La nebbia fitta impediva di vedere qualsiasi cosa, ma subito, come per un incantesimo, la nebbia si disperse e una strana creatura emerse dalle grigie e informi profondità di quel cielo anonimo. La creatura aveva un volto e un corpo femminile, ma candide ali al posto delle braccia. Era una donna-angelo, e stava sorridendo. Poi il filo che saliva tornò a essere piatto e le figure che aveva fino ad allora creato si dispersero nella semioscurità della tenda.
L'ennesimo quadernetto troppo bello per scriverci i miei appunti disordinati. |