lunedì 31 dicembre 2018

Innamorarsi di un genio

(racconto ispirato alla Sfida numero 13. A ricevere il dono ho scelto il personaggio di Karin, i tre oggetti reali attorno a me che ho inserito nel racconto sono l'orchidea, la vetrinetta, e le coppe. Non mi è venuta in mente alcuna dedica, perciò, per oggi, mi accontento dell'argento.)

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– Esprimi un desiderio.
Avevo aspettato così a lungo che lui me lo chiedesse. Eppure, nel momento in cui lo fece, io non riuscivo a far altro che provare un'enorme tristezza. Perché quello era l'ultimo, era davvero l'ultima cosa che mi offriva, dopodiché non sarebbe stato più mio, bensì del mondo intero.
Mi appoggiai al pianoforte e chiusi gli occhi. Non ero pronta a farlo. Ero sempre stata così certa di quello che volevo e di quello che sarebbe stato meglio per noi, che non mi ero soffermata a chiedermi che cosa lui desiderasse. Avevo insistito affinché lui si conformasse alle mie scelte, e lui si era piegato, aveva ceduto su ogni singolo punto della mia lista, tranne che su uno.
Mi aveva dato le sue canzoni. Erano mie, potevo farne quello che volevo. Non mi aveva chiesto niente in cambio.
Ma si era sempre rifiutato di suonare in pubblico.
– Karin? – pronunciò la sua voce incerta.
Nel riaprire gli occhi, mi pentii di non aver pronunciato io quelle tre parole.
Fissai l'orchidea bianca dietro il bancone del bar, raddoppiata dagli specchi. Era esattamente come me, che per paura del vuoto, mi prendevo più spazio di quel che mi era dovuto.
– Perché lo fai? – gli chiesi, girandomi affinché lui potesse leggere la parola sulle mie labbra. – Voglio dire, non è il mio compleanno, o qualcosa del genere. Io non ho un compleanno. A quanto ne so potrebbe essere oggi, o qualsiasi altro giorno. Io non me lo ricordo quand'è, e con Sheila, non abbiamo mai stabilito una data...
Scrollai le spalle. Come sempre, quand'ero nervosa, straparlavo.
Lui mi pose un dito sulle labbra e sorrise.
– Perché ne ho voglia – fu la risposta che mi mise a tacere.
Tentennai. Lui riprese a suonare con le dita agili che sembravano sfiorare a malapena i tasti del pianoforte. Eppure la musica era chiara, sicura, e appassionata. Anche se lui non riusciva a sentirla, e tutto ciò a cui poteva affidarsi per comporre la melodia era la sua memoria.
Avevo di fronte a me un genio della musica, e il suo unico pubblico era composto da me, dalla fila di bottiglie di liquore scadente chiuse nella vetrinetta dietro al bancone, e dalle coppe che il vecchio barista aveva vinto ai campionati di barman in tempi migliori. Non era giusto.
E forse, forse anche lui lo sapeva. Forse era per quello che mi aveva lasciato carta bianca, che mi aveva fatto quel dono. Rimasi a fissarlo incantata mentre suonava, concentrato su nient'altro che le note che scaturivano dai suoi ricordi.
Esprimi un desiderio.
Forse mi aveva dato la possibilità di chiedere ciò che lui non aveva il coraggio di offrire.

sabato 29 dicembre 2018

Greppia

A volte l'ispirazione arriva dai luoghi più inaspettati. Che tu ci creda o no, la parola di oggi non l'ho trovata tra le pagine di un dizionario, ma su un'insegna che ho incrociato lungo la strada.

Greppia [grép-pia] s.f. 1. Rastrelliera dove si mette fieno o paglia, posta sopra la mangiatoia degli animali; per estensione, la mangiatoia stessa. 2. fig. Impiego, carica pubblica che procurano un guadagno facile e sicuro.

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Non è stato facile trovare un'immagine di sfondo che non rappresentasse un presepe, così come non è stato facile immaginare qualcosa di diverso dal classico racconto di Natale, soprattutto in questo periodo. Per cambiare, ho pensato a una greppia rovesciata, e da lì ho allargato il campo per "osservare" cosa la circondava.


L'ultima cosa che mi aspettavo di trovare in quel luogo di morte era la vita.
Era passato un mese da quando mi ero unita ai mercenari noti col nome di "Bastioni Rossi", e non era raro che qualche ricco possidente ci mandasse a controllare una delle fattorie da cui non riceveva più notizie. Gli assalti dei demoni si erano fatti più frequenti, e più violenti, negli ultimi tempi; perciò, il ritardo nella consegna di una decima era spesso il segnale che la fattoria era perduta.
Il nostro lavoro non era una greppia. Non avevamo la vita facile di un contabile di città, vivevamo all'aperto, nelle terre-senza-mura, e in più occasioni avevamo combattuto per difendere dai banditi la carovana che ci aveva ingaggiato come scorta. Ma la ricognizione alle fattorie era qualcosa di diverso: la maggior parte delle volte, quando arrivavamo noi, era già tardi. Non restava altro da fare che constatare la situazione e riferirla al committente.
Non immaginavo nulla di diverso quando vidi i resti anneriti della casa e le spighe piegate sotto il peso di chicchi secchi e putridi. Non era l'opera di comuni banditi.
– Sta' indietro, Senzaferro – mi raccomandò Novedita.
Sapevano della mia allergia ai metalli. Ma avevo preferito non rivelare quanto velocemente guarivano le mie ferite, perciò mi trattavano come una ragazzina qualunque. Ero solo uno scudiero, ma col tempo, avrei dimostrato loro il mio valore.
– Può essere che ce ne sia rimasto uno – commentò il Guercio. Lui ci sperava sempre.
La taglia per un demone vivo da consegnare agli alchimisti era esorbitante. La possibilità di riscuoterla, pressoché impossibile.
Rimasi con il Bianco nei pressi della stalla. Fu allora che lo sentii. Un rumore, come un debole raschiare. Proveniva da una pesante greppia rovesciata e ricoperta dalle assi di una parete sfasciata. La indicai al Bianco.
Armi alla mano, con cautela, la liberammo dai detriti. Quello che trovammo non era un demone pronto a ucciderci, bensì un bambino di cinque o sei anni. Un sopravvissuto.

giovedì 27 dicembre 2018

Buoni propositi per l'anno nuovo

Si avvicina rapidamente quel periodo dell'anno in cui si ha l'impressione di poter fare, nel corso dell'anno che verrà, tutto ciò che non siamo riusciti a fare durante l'anno appena trascorso. Quanti dei buoni propositi dello scorso gennaio hai mantenuto, e quanti invece ti riprometti di portare a termine nel prossimo anno? Se il primo numero è maggiore del secondo, ti faccio i miei complimenti. Se invece è vero il contrario... non ti preoccupare. Sei in buona compagnia.

Il problema, o meglio uno dei problemi, è che spesso i buoni propositi sono formulati con una frase che li descrive in modo generale, che definisce l'obiettivo finale, senza identificare una strategia per raggiungerlo; e un anno è un periodo di tempo relativamente lungo, mentre ciò che noi sperimentiamo, ciò che possiamo afferrare, è la successione di un giorno dopo l'altro, un'ora dopo l'altra, la quotidianità del presente. Perciò non pensare a ciò che ti prefiggi di raggiungere il prossimo anno, bensì ciò che hai in mente di fare il prossimo mese, la prossima settimana, il prossimo giorno. Spezza il tuo obiettivo in tanti piccoli passi che sai di poter compiere e concentrati su questi.

Se tra i tuoi buoni propositi, come tra i miei, c'è l'obiettivo di scrivere di più, o semplicemente di cominciare a scrivere, posso offrirti alcune risorse da poter sfruttare per portare avanti il tuo piano. Se conosci bene l'inglese, posso suggerirti questi siti:

- Think Like a Writer (https://www.darcypattison.com/writing-life/think-like-a-writer-toc/?utm_source=PN&utm_medium=pin&utm_campaign=WriterThink&utm_content=Start6-20-15), che ho sperimentato lo scorso gennaio, ti sfida a scrivere 750 parole al giorno per un mese. Con un esercizio mirato e una diversa questione su cui riflettere ogni giorno.

- Per continuare la sfida dopo il primo mese, o per una selezione di esercizi variegata su cui fare pratica, puoi affidarti al blog di Meredith Sue Willis (https://www.meredithsuewillis.com/writingexercises1-20.html), che con 330 esercizi, ne ha a sufficienza per il resto dell'anno.

- Se preferisci il formato video, la serie di Virtual Writing Academy di M. Kirin (https://www.youtube.com/user/mistrekirin/videos?flow=grid&view=0&sort=da) potrebbe fare al caso tuo. Io l'ho trovata molto istruttiva, divertente, e adattabile ai miei attuali progetti di scrittura. Se poi il tipo di esercizi proposti ti piace, ma non tutti i giorni hai il tempo di guardare un video... puoi sempre integrare la Writing Academy di M. Kirin con i suoi Weird Prompts (http://maxkirin.tumblr.com/tagged/weird+prompts/page/40), una serie di esercizi bizzarri e insoliti.

Nel caso in cui l'inglese non sia il tuo forte, o se preferisci seguire le istruzioni in italiano, ecco alcuni dei siti che ho provato:

- Scrivere Creativo (https://scriverecreativo.wordpress.com/) che è l'equivalente italiano del blog di Meredith Sue Willis citato sopra. E, anzi, è molto di più. Scorrendo all'indietro, puoi trovare tanti esercizi da bastarti per tre, quattro, cinque anni.

- Se il tuo proposito non è quello di tenere in allenamento la creatività, bensì di scrivere un intero romanzo, posso suggerirti Come scrivere un romanzo in 100 giorni (http://www.sulromanzo.it/2009/04/come-scrivere-un-romanzo-in-100-giorni.html). Personalmente non sono mai arrivata alla fine perché la modalità di costruzione della trama che propone non rispecchia il mio modo di procedere, ma vale la pena di fare un tentativo se non sai da dove iniziare.

- Se ti proponi di espandere il tuo vocabolario, e la mia parola del sabato non ti basta... Una parola al giorno (https://unaparolaalgiorno.it/) fa al caso tuo! Puoi salvare il sito tra i tuoi preferiti e visitarlo ogni giorno, o far recapitare la parola direttamente al tuo indirizzo email.

- Naturalmente in questo elenco non poteva mancare la serie di esercizi da me proposti su La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/p/blog-page.html, da questo indice segui i link con scritto "Esercizio" a fianco), che se pure non sono in quantità sufficiente da bastare per un intero anno, possono darti la spinta a scrivere per i primi mesi, quel che basta a formare l'abitudine a scrivere ogni giorno e sviluppare nuove idee per le tue storie.


Questa è solo una breve selezione di risorse online per allenarti a scrivere, e facendo una ricerca sono sicura che potrai trovarne molte di più. Se invece non intendi metterti a scrivere e i tuoi buoni propositi sono altri, non ho consigli da darti a parte quello di condividere nei commenti la tua lista di cose da fare per l'anno nuovo. No, non sono (solo) curiosa. Lo sapevi che informare qualcun altro degli obiettivi che intendi raggiungere ti aiuta a renderli più concreti, più reali, e ti sprona maggiormente a rispettare l'impegno preso? Se non lo sapevi prima, lo sai ora, perciò che aspetti a scrivere qui sotto? Io faccio il tifo per te.

Qualunque sia il tuo buon proposito per l'anno nuovo, che si tratti di scrivere di più, leggere più libri, rimetterti in forma o abbandonare una cattiva abitudine... ti auguro di riuscirci, e di poterlo annoverare, alla fine dell'anno, tra le promesse a te stesso che hai mantenuto.

lunedì 24 dicembre 2018

Sfida numero 13 - Piuma di Canarino

Continua la serie di sfide a difficoltà variabile, facile, intermedio e difficile. Il meccanismo è semplice: ti proporrò tre livelli cumulativi, con istruzioni man mano più complesse e specifiche. A te scegliere se completare il livello più semplice, aggiungere le indicazioni di quello intermedio o seguire tutte le istruzioni per arrivare al livello difficile.

Se hai perso le prime sfide e vuoi recuperarle, le trovi qui:
Sfida numero 1 - Piuma di Passero
Sfida numero 2 - Piuma di Merlo
Sfida numero 3 - Piuma di Piccione Viaggiatore
Sfida numero 4 - Piuma di Colibrì
Sfida numero 5 - Piuma di Gabbiano
Sfida numero 6 - Piuma di Pappagallo
Sfida numero 7 - Piuma di Gallo Combattente
Sfida numero 8 - Piuma di Corvo
Sfida numero 9 - Piuma di Fringuello
Sfida numero 10 - Piuma di Falco
Sfida numero 11 - Piuma di Picchio
Sfida numero 12 - Piuma di Pavone


Se sei pronto, si comincia con la sfida di oggi!

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Sfida numero 13

Sarà per un racconto di Hemingway, o sarà per il dono del suo canto... fatto sta che il canarino è la mia scelta come simbolo della sfida di oggi. Completandola vincerai una virtuale Piuma di Canarino, di bronzo, d'argento o d'oro a seconda del livello scelto.

Livello facile: uno dei tuoi personaggi ha ricevuto un dono. Racconta di cosa si tratta e la sua reazione.
Può trattarsi di un regalo nel senso più concreto del termine, di un dono metaforico o di un talento che il tuo personaggio scopre di avere, che sia realistico oppure... magico. In che occasione ha ricevuto questo dono, e da chi? Si tratta di qualcosa che desiderava, ne è rimasto deluso, oppure lo considera più un peso, una maledizione, che un dono?

Livello intermedio: guardati attorno. Scegli almeno tre oggetti o caratteristiche dell'ambiente in cui ti trovi da inserire nel tuo brano.
Incorpora nella tua storia l'atmosfera natalizia di questo fine dicembre, se vuoi. O sfrutta ciò che ti circonda per trovare ispirazione. Ciò che conta è trasferire un po' del tuo presente in ciò che scrivi.

Livello difficile: costruisci il tuo racconto in modo che sia una dedica o un omaggio simbolico a una persona della tua vita.
Può essere ben riconoscibile come tale, fino al punto da incorporare una versione di questa persona nel brano... oppure puoi mantenerti criptico e costruire una metafora molto sottile, tale da poter essere identificata solo da quella specifica persona e pochi altri... o magari da nessuno al di fuori di te.


Aspetto i tuoi commenti, suggerimenti o il brano che questo nuovo tipo di esercizio ti ha ispirato a scrivere. Come al solito avrai la possibilità, se lo desideri, di mettere sotto i riflettori le tue parole nel post di giovedì della settimana prossima. Riuscirci è semplice: ti basta sorprendermi!

sabato 22 dicembre 2018

Fantasmagoria

La somiglianza del termine di oggi con la parola "fantasma" non è casuale: la sua etimologia, infatti, ha a che vedere con l'arte di far apparire, mostrare o parlare con i fantasmi. Ma più che per una seduta spiritica, il termine fu coniato per descrivere una forma di teatro fatto con lanterne magiche, che in un'epoca priva di effetti speciali doveva apparire tanto meravigliosa e impossibile quanto un'apparizione spettrale.

Fantasmagoria [fan-ta-sma-go-rì-a] s.f. 1. Rapida successione di immagini, luci e colori. 2. Congerie di concetti, idee, dati, elementi che lascia confusi.

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Il concetto di fantasmagoria potrebbe benissimo esistere in parecchi dei miei racconti, se non come arte teatrale, almeno nel senso metaforico che ha assunto in tempi moderni. Ma tra tante possibilità, dovevo per forza sceglierne una. E ho scelto questa.


Skalyssa le aveva detto che quello che intendeva mostrarle era uno specchio. "Il più grande che tu abbia mai visto! Più grande perfino di quello che ho adesso." Così le aveva detto la nuova regina del vasto mondo sconosciuto.
Ma ciò che Anyla stava guardando non era uno specchio. Era una fantasmagoria di lampi di colore a malapena riconoscibili come immagini, talmente rapido era il loro passaggio sulla superficie increspata d'onde nell'enorme cornice ovale. Era un tramonto rosso che sfumava in una verde foresta costellata di rovine che l'abbagliava di sabbia dorata in un deserto soffocante che veniva inglobato dal buio di una notte senza luna, per poi riaccendersi su altri mille paesaggi. E persone, tante persone: persone vive, persone morte, persone non ancora nate.
Anyla chiuse gli occhi e si prese la testa tra le mani.
Skalyssa le si affiancò alla base della rampa. – Che cos'hai Anyla, stai male?
– Troppe cose... – gemette la siahta. – Troppo veloci...
Anche così, con gli occhi chiusi, lo specchio non le dava tregua. Erano stati solo bisbigli all'inizio, un basso ronzio nelle orecchie indistinguibile per ciò che era davvero: voci. Voci che le parlavano all'unisono, in una fantasmagoria di storie e domande e richiami che si facevano sempre più rumorosi, come quando in una folla tutti alzano sempre più la voce per farsi sentire, fino a finire col gridare.
E anche Anyla avrebbe voluto gridare, gridare a tutti di stare zitti. Ma si limitò a sussurrare a Skalyssa, anche se non sentiva la propria voce tra quelle che le riempivano le orecchie: – Tu non lo vedi... non le senti?
Skalyssa guardò lo specchio. Tutto ciò che vedeva era la stanza riflessa in una superficie liscia e immobile. Per lei, lo specchio era solo uno specchio.
– Vedere... cosa?
Anyla scosse la testa. – Non è giusto. Io non dovrei essere qui, mia regina.
Era stata una delle voci a dirle che era tutto sbagliato. E che era lei, Anyla, la regina del mondo. Non Skalyssa.
Ma questo, Anyla non glielo poteva dire.

giovedì 20 dicembre 2018

Il fiore Selvanima

(racconto ispirato alla Sfida numero 12. Questa volta ho seguito la meraviglia in uno dei miei racconti fantasy, e come al solito per me meraviglia e natura sono un tutt'uno. Per ispirarmi ho ascoltato la musica composta da BrunuhVille, bellissima come sottofondo per le sessioni di scrittura, ho trovato una immagine che si avvicina abbastanza al mio fiore inventato, e ho cercato, per quanto possibile, di rispettare le indicazioni del livello difficile, anche se questa volta ho risparmiato qualche aggettivo dove proprio non mi sembrava il caso!)

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Non ero certa di riuscire a ritrovarlo senza di lui. Non era un bosco immenso, ma avevo troppa paura di perdermi, e vagare tra le colonne brune di alberi sconosciuti non era una prospettiva allettante. Gran bella Driade che ero. Se mai avessi avuto bisogno di un chiaro segnale che qualunque antica divinità mi avesse scelto aveva preso la persona sbagliata, la mia ignoranza lapalissiana a riguardo del mondo vegetale era un segno più che palese.
Sapevo di avere a mia disposizione un metodo molto semplice per rintracciarlo. Ma non ero pronta a lasciarmi andare, ad abbandonarmi ancora a quelle sensazioni sconcertanti, a perdermi nella terra sconfinata sotto ai miei piedi nudi. Non senza una guida fidata che mi aiutasse a ritornare come aveva fatto per me Saverio la prima volta che eravamo stati lì assieme. Saverio. Eravamo già al nome proprio, dunque?
Mentre ero immersa in quella normalissima riflessione umana, con un lieve sorriso che mi increspava le labbra socchiuse, una radura crepuscolare si aprì di fronte ai miei passi stanchi. E lì, ecco il mio fiore: una stella luminosa tra l'erba verde. Non me lo ricordavo così bello.
Mi inginocchiai sulla terra umida e accostai le mani tremanti, racchiudendo la sua corolla delicata tra le mie dita rigide, alla maniera di chi beve assetato da una fonte limpida. Proprio così mi sentivo nel rivolgere di nuovo gli occhi increduli all'impossibile fiore: come qualcuno smarrito che, contro ogni possibile previsione, avesse appena scovato fiotti zampillanti di acqua freschissima, per placare una grave arsura che nemmeno sapeva di avere.
Avevo toccato io il piccolo seme dormiente. Lo avevo nutrito, lo avevo plasmato. Avevo intrecciato un lucente filamento della mia viva anima nel suo forte stelo, e ricamato i suoi petali lilla con la mia essenza personale. Mi chinai a inspirare la sua fragranza unica. Era soave fresia, e cannella speziata, e rosa sensuale, e golosa vaniglia. Era parte di me, una creatura nuova, inesistente in tutto il vasto mondo, se non lì. Era, come lo aveva chiamato Saverio, il fiore Selvanima.
Toccai i quattro grandi petali color ciclamino, bordati di viola, che si aprivano alla base di una corolla più fitta che somigliava a una margherita lilla. Come una mia personale rosa dei venti, sembravano indicare le quattro direzioni in cui poteva soffiare la mia magica volontà di mitologica Driade, a portare una inusitata bellezza in un mondo grigio. Quel fiore meraviglioso era la mia bussola incantata, l'inaspettato punto di una svolta imprevista.
Non ne ero stata certa, prima di rivederlo. Prima di rimanere da sola con lui.
In quel momento, qualcosa dentro di me cambiò. Ero pronta a superare l'atroce morsa che mi aveva fino ad allora spaventato, riempito di dubbi paralizzanti, e impedito di essere davvero me. Ero pronta a imparare.
A qualunque dio mi avesse creato com'ero, antico o nuovo, giurai che avrei riempito la terra intera di colore e di profumo.

lunedì 17 dicembre 2018

Perfect day

(racconto ispirato alla Sfida numero 12. Ho scelto la meraviglia di una giornata perfetta, scritta riascoltando proprio la canzone che mi ha ispirato quel sentimento, con una bella immagine davanti... e ci ho provato, anche se mi è sembrato un po' strano, a sovrabbondare di aggettivi. Niente, non è nel mio stile. Ma per una volta, si può fare!)
 
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La vecchia autoradio suonava la melodia struggente di "Perfect day", e fuori dal finestrino appannato scorrevano le luci intermittenti e variopinte delle decorazioni natalizie. Un sorriso spontaneo mi fioriva sulle labbra socchiuse a ogni breve pausa di quella canzone emozionante. Cantavo con Lou Reed quando lui cantava, tacevo quando lui taceva. E intanto, ripensavo alla giornata meravigliosa appena trascorsa, riempiendomi gli occhi sgranati dei colori brillanti delle vetrine addobbate.
Non avevo troppa voglia di uscire dalla mia casa confortevole in quel pomeriggio freddo. E avevo la scusa perfetta per non muovermi. Ma avevo raccolto le scarse forze ed ero andata.
Non avrei potuto fare scelta migliore.
Mentre le note potenti risuonavano nello stretto abitacolo, mi sembrava di poter assaporare di nuovo il calore del tè che scorreva nella mia gola assetata, e la morbida dolcezza di una torta glassata al cioccolato fondente. Negli occhi assonnati si rincorrevano i numeri estratti in una divertente tombola, le grida ripetute per chi non capiva erano musica allegra che si mescolava nel ricordo recente al concerto solenne di una bravissima flautista e intonata cantante, e le mie labbra silenti cantavano con lei "Holy Night", il mio preferito tra i canti natalizi. E le tranquille chiacchiere tra i premi variegati di una lotteria stravagante, con ragazzini entusiasti che correvano qua e là per pescare i biglietti arrotolati e presentare pacchetti infiocchettati e cesti golosi messi in premio.
Non lo avrei mai immaginato. La musica lenta della radio crepitante sfumava al termine della canzone significativa, in una tale sincronia con la mia anima appagata da risultare incredibile. La strada buia si accendeva ancora di bizzarri alberi fioriti di luci scintillanti nel pieno del rigido inverno.
Non volevo uscire, e per un buon motivo. Ma lo avevo fatto comunque, e sulla via diritta di un rapido ritorno, ero felice. Chi lo avrebbe detto che mentre stavo male sarei stata così bene?

sabato 15 dicembre 2018

Ecofobia

Ci sono parole che rappresentano concetti estremamente noti, ma che non sono altrettanto conosciute. Come dire, so cos'è, ma non so come si chiama.

Ecofobia [e-co-fo-bì-a] s.f. psicol. Paura morbosa di stare soli in casa.

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Per primo, a soffrire di ecofobia nel mio brano, avevo immaginato fosse un bambino. Ma era troppo semplice, troppo scontato, e ormai mi conosci, no? Non scelgo mai la strada troppo facile!


Una persona ragionevole si sarebbe abituata ai pomeriggi in solitudine. A mano a mano che le giornate si accumulavano avrebbe capito che era tutto tranquillo, e che niente di spaventoso le sarebbe accaduto nella propria casa. Una persona ragionevole non sarebbe trasalita a ogni scricchiolio delle imposte toccate dal vento, a ogni cigolio di porta, a ogni lamento delle tubature. Non avrebbe provato soggezione all'udire l'eco dei suoi passi rimbombare dall'alto del soffitto, o il silenzio dove avrebbero dovuto intrecciarsi le voci della sua famiglia.
Ma Alice non era una persona ragionevole. Era poco più che una ragazza, e la sua ecofobia era peggiorata da quando aveva ricevuto, proprio in una di quelle stanze troppo grandi, la notizia che i suoi pomeriggi solitari non sarebbero più terminati.
Era rimasta da sola. La sua famiglia non c'era più.
Alice aveva cercato di sopportare il suo fato. Aveva ridotto il numero di stanze che usava, le aveva riempite di bambole e pupazzi che erano state dei suoi fratelli, aveva passato più tempo dai vicini, li aveva invitati, si era persino fatta regalare un gatto, ma tempo pochi giorni ed era già scappato.
Alla fine della giornata, era a casa sua che Alice tornava. In una casa troppo grande, da sola.
Alice trovò la cura alla sua ecofobia dal droghiere. Era una tranquilla sera d'autunno, con foglie rosse e brune a ricamare il selciato e il blu del crepuscolo che già mordeva il fuoco del tramonto.
Non si vedeva molta gente nuova, in paese. Il giovanotto col completo e gli occhiali da sole che parlava con Nevio doveva essere una creatura di città, sperduto com'era tra i barattoli di vetro e il profumo di peperoncino e chiodi di garofano.
Cercava una stanza,  e tentava inutilmente di spiegare al droghiere, che lo aveva indirizzato all'ostello, che preferiva un alloggio più discreto e confortevole.
Alice non esitò. – Posso ospitarla io, signore. Ho tutte le stanze di cui ha bisogno.
Nei mesi successivi, le comari avrebbero avuto di che sparlare.

giovedì 13 dicembre 2018

Per Natale, non regalare un libro

Ci sono due statistiche che, messe fianco a fianco, fanno un po' sorridere. Una è quella che conta i libri tra i regali che vanno per la maggiore a Natale. L'altra è quella che rivela come il numero di lettori e di libri letti in Italia sia sempre più in calo. È un'accoppiata che fa un po' sorridere, ma di quei sorrisi amari che sembrano una paresi. E questo sorriso mi ha ispirato a lanciare un appello.

Quest'anno, per Natale, non regalare un libro. Lo so, questo consiglio sembra controproducente da parte di qualcuno che sta scrivendo un romanzo con l'intenzione di pubblicarlo. Ma, sul serio, se sei ancora indeciso sui regali per amici e parenti, e la vetrina di una libreria con le sue copertine ti ha incantato... ricorda queste parole. Non. Regalare. Un. Libro.

Un libro è uno dei regali più difficili che tu possa immaginare. Un libro va scelto su misura, come le scarpe o un capo d'abbigliamento. Non regaleresti mai a qualcuno un paio di scarpe senza almeno conoscere che numero porta, vero? Non puoi semplicemente entrare nel negozio e farti dare il numero più venduto di quel modello. Così come non puoi semplicemente entrare in una libreria e scegliere il best-seller di turno, pensando che se in tanti lo hanno preso, dovrà pur andar bene pure per il tuo migliore amico, o per quello zio che vedi solo a Natale. E poi, nel provare a farlo calzare a forza, o saran dolori, o scivolerà via di dosso da quanto è largo.

Un libro va prima assaporato, per essere sicuro di sceglierlo bene e di non aver brutte sorprese sul finale. Non basta leggere un paio di recensioni per offrire a tua sorella, o a un tuo collega, un libro che tu non hai mai letto (e che magari non leggeresti mai). Come per una cena al ristorante, non consiglieresti mai un locale in cui non sei mai stato solo perché su TripAdvisor parecchie recensioni, magari tutte uguali, lo segnalano come ottimo. Rischieresti di fare brutta figura. Perché con un libro dovrebbe essere diverso?

Un libro, se ben scelto, non dura solo da Natale a Santo Stefano. E non sto parlando della sua lunghezza, del numero di pagine, ma di ciò che ti lascia dentro. Come un giocattolo per un bambino vivace e un po' manesco, un buon libro deve saper resistere agli urti della vita, deve intrigare, divertire, far riflettere, e mai annoiare. Altrimenti finirà nel mucchio assieme agli altri giocattoli che hanno stancato troppo presto, per essere magari rivenduto o riciclato come regalo per altri prima della fine delle feste, e passare così di mano in mano senza sosta, non voluto, scomodo, sprecato.

Un libro dev'essere amato, coccolato, letto. Come faresti con un cucciolo, non regalare un libro a chi sai che non potrà prendersene cura, e che lo abbandonerà sullo scaffale alla prima occasione. Non regalarlo a chi non ha spazio per lui nella sua casa e nella sua mente, a chi non lo desidera, a chi non ha tempo da dedicargli. Perché un libro richiede tempo e amore, ma sa dare altrettanto in cambio, un libro espande il tempo e la capacità di immaginare e di provare empatia. Un libro è un po' una terapia, una coccola verso noi stessi, un viaggio, e tanto altro. Non regalare un libro a chi non è pronto a curarsi, ad amarsi, a partire.

Perciò, per questo Natale, non regalare un libro. Fai un regalo a te stesso, risparmiati tutti i problemi e i sorrisi di circostanza per aver regalato un libro a chi non lo voleva. Piuttosto, questo Natale, leggi un libro. E se proprio non riuscissi a resistere di fronte alla vetrina di una libreria e scoprissi di aver dimenticato il regalo per un cugino di secondo grado, o per quel vicino di casa che ogni anno ha un pensiero per te e ti tocca proprio ricambiare e non sai che altro prendere... ti rinnovo il mio invito: non regalare un libro. Non, soprattutto, un libro qualsiasi. Non buttarti sulla scelta banale del nome famoso in copertina, sul classico malloppo sentimentale per lei o sull'autobiografia del vip per lui.

Non regalare un libro. Regala IL libro. Regala il romanzo dell'autore meno noto, ma che hai letto più di una volta e hai apprezzato tantissimo. Regala il libro un po' di nicchia, ma che conosci e che sai essere proprio di quel genere che il destinatario preferisce. Fai un regalo originale. Regala il libro che gli resterà nel cuore e nell'anima, non quello che resterà sullo scaffale della libreria a prendere polvere.

lunedì 10 dicembre 2018

Sfida numero 12 - Piuma di Pavone

Continua la serie di sfide a difficoltà variabile, facile, intermedio e difficile. Il meccanismo è semplice: ti proporrò tre livelli cumulativi, con istruzioni man mano più complesse e specifiche. A te scegliere se completare il livello più semplice, aggiungere le indicazioni di quello intermedio o seguire tutte le istruzioni per arrivare al livello difficile.

Se hai perso le prime sfide e vuoi recuperarle, le trovi qui:
Sfida numero 1 - Piuma di Passero
Sfida numero 2 - Piuma di Merlo
Sfida numero 3 - Piuma di Piccione Viaggiatore
Sfida numero 4 - Piuma di Colibrì
Sfida numero 5 - Piuma di Gabbiano
Sfida numero 6 - Piuma di Pappagallo
Sfida numero 7 - Piuma di Gallo Combattente
Sfida numero 8 - Piuma di Corvo
Sfida numero 9 - Piuma di Fringuello
Sfida numero 10 - Piuma di Falco
Sfida numero 11 - Piuma di Picchio


Se sei pronto, si comincia con la sfida di oggi!

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.

Sfida numero 12

La bellezza di un pavone che allarga la coda ci riempie di meraviglia, quindi non c'è piuma migliore per rappresentare questa sfida. Completandola vincerai una virtuale Piuma di Pavone, di bronzo, d'argento o d'oro a seconda del livello scelto.

Livello facile: scrivi un brano che rappresenti la bellezza e/o la meraviglia.
Non dev'essere necessariamente una descrizione. Può trattarsi di un dialogo, di un'azione che svolgono i personaggi, di una riflessione autobiografica. O perché no, della bellezza su carta per antonomasia: una poesia.

Livello intermedio: scrivi in un luogo e con strumenti che ritieni belli o meravigliosi.
Se puoi farlo recati in un parco, in un museo, in una pinacoteca, in una biblioteca... o in qualunque altro luogo rappresenti il bello o la meraviglia per te. Altrimenti scegli l'angolo che più ti piace della tua casa o del tuo giardino, e circondati dei tuoi oggetti preferiti. Se scrivi a mano, questo è il momento di tirare fuori dal cassetto quella stilografica e quel quadernetto dalle pagine decorate che conservi per l'occasione giusta da troppo tempo. Se scrivi al pc e hai un programma che lo consente, cambia lo sfondo o il tipo di foglio, o in alternativa metti come immagine di sfondo del desktop una foto che ti ispiri e guardala ogni tanto.

Livello difficile: accompagna ogni sostantivo con almeno un aggettivo.
Potrà sembrarti esagerata come proporzione se hai uno stile più asciutto e sintetico, ma la Piuma di Pavone ti richiede proprio questo: di scrivere in modo vistoso, elaborato. Quindi lanciati in questa sfida e prova qualcosa di nuovo. Se invece il tuo stile è già di norma molto descrittivo... questo esercizio ti sembrerà semplicissimo.


Aspetto i tuoi commenti, suggerimenti o il brano che questo nuovo tipo di esercizio ti ha ispirato a scrivere. Come al solito avrai la possibilità, se lo desideri, di mettere sotto i riflettori le tue parole nel post di giovedì della settimana prossima. Riuscirci è semplice: ti basta sorprendermi!

sabato 8 dicembre 2018

Dagherrotipo/Dagherrotipia

Parola doppia oggi! A dire il vero, la mia scelta era ricaduta sulla prima, ma dato che la sua definizione non spiega esattamente di cosa si tratta, e in cosa è diversa da una fotografia... ho deciso di metterle entrambe.

Dagherrotipo [da-gher-rò-ti-po] s.m. 1. Apparecchio per dagherrotipia. 2. estens. Immagine con esso ottenuta.

Dagherrotipia [da-gher-ro-ti-pì-a] s.m. 1. Sistema di ripresa in uso nei primi tempi della fotografia, basato sull'uso di una piastra di rame ricoperta di ioduro d'argento che, esposta a vapori di mercurio, si trasforma in positivo.

NMA.0052743_02, di Nordiska museet, licenza Creative Commons BY 2.0. Immagine ritagliata e modificata con l'aggiunta di scritte.


L'esistenza di un dagherrotipo in una storia già basta a piazzare la vicenda in un determinato contesto e, in alcuni casi, in una determinata epoca (o da lì in avanti, mai prima... a meno che la storia non riguardi i viaggi nel tempo). Dal momento che ho personaggi che le epoche le attraversano... ho pensato di rendere il dagherrotipo una parte significativa di questo brano, e non solo un oggetto di contorno.


– Voglio che tu veda una cosa.
Dimitri mi piazzò in mano un astuccio rivestito in pelle color porpora. Sembrava un libriccino, con la copertina decorata da glifi floreali in rilievo lungo i bordi e al centro. Dove avrebbe dovuto trovarsi la rilegatura, c'era una cerniera d'ottone.
Rivolsi gli occhi all'uomo che mi aveva stregato. Non era estraneo ai misteri, ma in quel caso mi sembrò che ci fosse un indizio che avrei dovuto cogliere, e che invece mi sfuggiva. – Che cos'è?
– Aprilo – rispose lui con un cenno.
Lo feci.
Il lato di sinistra era foderato di velluto decorato in modo simile all'esterno. A destra, invece, racchiuso in un ovale dorato, splendeva la lastra di rame di un dagherrotipo che mi parve molto antico. Il lato inferiore era in parte rovinato, ma ancora era possibile riconoscere l'immagine di un uomo con accanto una giovane donna. E l'uomo era identico a quello che avevo di fronte.
– Che cosa significa? – gli chiesi. Che oggetto bizzarro. La dagherrotipia era un'arte superata, stentavo a credere che si fosse dato tanta pena per farsi scattare un'immagine così particolare. E chi era la donna accanto a lui? Questa, però, era una domanda che preferivo non porgli.
Dimitri mi rivolse un mezzo sorriso. – Ti stai chiedendo se sono davvero io quello nel ritratto, non è così?
Non mi era passato per la testa che non lo fosse. Certo, un parente dalla somiglianza impressionante era una spiegazione plausibile per l'esistenza di quella foto, e mi liberava da ogni forma di gelosia. Ma Dimitri distrusse subito quel momentaneo sollievo. – Ti posso confermare che sono io, senza ombra di dubbio. E vuoi sapere a che anno risale la lastra?
Esitai. Stavo cominciando a immaginare dove voleva arrivare con quel ritratto. Che cosa voleva che io vedessi.
– L'anno è il 1852.
Quando Dimitri lo pronunciò, io non riuscii a dire una parola. Il dagherrotipo tra le mie mani era la prova che lui aveva più di cento anni. Una parte di me stentava a crederci.
Per l'altra, finalmente era tutto chiaro.

giovedì 6 dicembre 2018

Non solo Blu

(racconto, o meglio, rielaborazioni di racconto ispirate alla Sfida numero 11. Ho ripreso il brano Oceano Blu e ho fatto due esperimenti: nel primo ho cambiato colore e finale, nel secondo ho eliminato la lettera U)

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.



Oceano Blu (brano originale)


Blu mare, blu cielo stellato al crepuscolo, blu inchiostro di biro, blu petalo d’iris, blu zaffiro scintillante. Blu. Oceano Blu. Il mio nome. Pelleblu mi chiamavano i bambini a scuola, Puffo, mostro, scherzo della natura, Arianna li inseguiva e li minacciava con gli insulti che aveva imparato dai ragazzi delle medie. Mi ha sempre difeso, mia sorella. E la mamma mi ha regalato una scatola di matite tutte azzurre e blu il primo anno che ho passato con loro, il mio compleanno in mancanza di altra data. “Per disegnare tutti quanti blu”, mi ha detto. Mi hanno preso quando nessun altro mi voleva per colpa dei miei colori, pelle blu carta da zucchero, occhi turchesi e capelli blu oltremare. Una tinta che non si lava via, non è uno scherzo crudele di un pittore in vena di stranezze, né si spiega pensando che io provenga da altri mondi lontani e diversi. Blu pianeta blu, è questa la mia terra, mamma mi ha portato a fare ogni possibile analisi da alcuni medici suoi amici fidati, con discrezione, sperando di aiutarmi a ritrovare la mia famiglia. Il risultato? Una famiglia adesso ce l’ho, e sono umana dentro e fuori, a parte il blu.

Foresta Verde


Verde prato, verde ramarro che si scalda al sole, verde speranza, verde fronda di felce, verde smeraldo scintillante. Verde. Foresta Verde. Il mio nome. Pelleverde mi chiamavano i bambini a scuola, marziano, mostro, scherzo della natura, Arianna li inseguiva e li minacciava con gli insulti che aveva imparato dai ragazzi delle medie. Mi ha sempre difeso, mia sorella. E la mamma mi ha regalato una scatola di matite tutte verdi e lime il primo anno che ho passato con loro, il mio compleanno in mancanza di altra data. “Per disegnare tutti quanti verdi”, mi ha detto. Mi hanno preso quando nessun altro mi voleva per colpa dei miei colori, pelle verde erba, occhi di giada e capelli verde marino. Una tinta che non si lava via, non è uno scherzo crudele di un pittore in vena di stranezze. I bambini che mi prendevano in giro non lo sapevano, ma un po' avevano ragione. Verde pianeta verde, non è questa la mia terra, mamma mi ha portato a fare ogni possibile analisi da alcuni medici suoi amici fidati, con discrezione, sperando di aiutarmi a ritrovare la mia famiglia. Il risultato? Non è questa la casa dove sono nata, ma è questa la casa dove ora vivo. Una famiglia adesso ce l’ho, e anche se non sono umana dentro e fuori, faccio parte comunque di questo mondo verde.

Blu senza U


Color onda di mare, indaco cielo stellato dopo il tramonto, inchiostro di biro, tinta petalo d’iris, zaffiro scintillante. Celeste. Oceano Celeste. Il mio nome. Pellestramba mi chiamavano i bambini in classe, sgorbio, mostro, obbrobrio, Arianna li rincorreva e li minacciava con le parolacce che aveva imparato dai ragazzi delle medie. Mi ha sempre difeso, mia sorella. E la mamma mi ha regalato tante matite, dal celeste all'indaco, il primo anno che ho passato con loro, il mio compleanno in mancanza di altra data. “Per disegnare le persone celesti”, mi ha detto. Mi hanno preso perché gli altri non mi volevano per colpa dei miei colori, pelle color fiordaliso, occhi ciano e capelli tinta oltremare. Tinta che non si lava via, non è lo scherzo cattivo di pittori in vena di stranezze, né si spiega pensando che io provenga da altri mondi lontani e diversi. Bel pianeta Terra, sei il mio mondo, mamma mi ha portato a fare ogni possibile analisi dai medici che conosce, amici fidati, con discrezione, sperando potesse servire a ritrovare la mia famiglia. Che abbiamo scoperto? Che la famiglia io ce l’ho, e sono come gli altri, dentro e all'esterno, a parte il celeste.

lunedì 3 dicembre 2018

Sfumature di Blu

(racconto, o meglio, rielaborazioni di racconto ispirate alla Sfida numero 11. Ho ripreso il brano Oceano Blu e ho fatto due esperimenti: nel primo provato ad abbreviarlo il più possibile, nel secondo ho eliminato la parola ricorrente "blu")
 
Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
 


Oceano Blu (brano originale)


Blu mare, blu cielo stellato al crepuscolo, blu inchiostro di biro, blu petalo d’iris, blu zaffiro scintillante. Blu. Oceano Blu. Il mio nome. Pelleblu mi chiamavano i bambini a scuola, Puffo, mostro, scherzo della natura, Arianna li inseguiva e li minacciava con gli insulti che aveva imparato dai ragazzi delle medie. Mi ha sempre difeso, mia sorella. E la mamma mi ha regalato una scatola di matite tutte azzurre e blu il primo anno che ho passato con loro, il mio compleanno in mancanza di altra data. “Per disegnare tutti quanti blu”, mi ha detto. Mi hanno preso quando nessun altro mi voleva per colpa dei miei colori, pelle blu carta da zucchero, occhi turchesi e capelli blu oltremare. Una tinta che non si lava via, non è uno scherzo crudele di un pittore in vena di stranezze, né si spiega pensando che io provenga da altri mondi lontani e diversi. Blu pianeta blu, è questa la mia terra, mamma mi ha portato a fare ogni possibile analisi da alcuni medici suoi amici fidati, con discrezione, sperando di aiutarmi a ritrovare la mia famiglia. Il risultato? Una famiglia adesso ce l’ho, e sono umana dentro e fuori, a parte il blu.

Blu ristretto


Oceano Blu. Il mio nome. I bambini a scuola mi chiamavano Puffo, mostro, scherzo della natura. Arianna li inseguiva e li minacciava. Mia sorella mi ha sempre difeso. E mamma mi ha regalato una scatola di matite azzurre e blu per il mio compleanno, “per disegnare tutti quanti blu”, mi ha detto. Nessun altro mi voleva per colpa dei miei colori, pelle blu carta da zucchero, occhi turchesi e capelli oltremare. Una tinta che non va via. E non provengo da un altro mondo, è questa la mia terra. Ho fatto ogni possibile analisi da medici fidati, con discrezione. Il risultato? Sono del tutto umana, a parte il blu.

Vietato dire Blu


Oltremare, cielo stellato al crepuscolo, inchiostro di biro, petalo d’iris, zaffiro scintillante. Celeste. Oceano Celeste. Il mio nome. Pelleazzurra mi chiamavano i bambini a scuola, Puffo, mostro, scherzo della natura, Arianna li inseguiva e li minacciava con gli insulti che aveva imparato dai ragazzi delle medie. Mi ha sempre difeso, mia sorella. E la mamma mi ha regalato una scatola di matite tutte ciano e cobalto il primo anno che ho passato con loro, il mio compleanno in mancanza di altra data. “Per disegnare tutti quanti cerulei”, mi ha detto. Mi hanno preso quando nessun altro mi voleva per colpa dei miei colori, pelle carta da zucchero, occhi turchesi e capelli indaco. Una tinta che non si lava via, non è uno scherzo crudele di un pittore in vena di stranezze, né si spiega pensando che io provenga da altri mondi lontani e diversi. Pianeta acquamarina, è questa la mia terra, mamma mi ha portato a fare ogni possibile analisi da alcuni medici suoi amici fidati, con discrezione, sperando di aiutarmi a ritrovare la mia famiglia. Il risultato? Una famiglia adesso ce l’ho, e sono umana dentro e fuori... a parte il colore che non posso dire.

sabato 1 dicembre 2018

Congettura

Più campata in aria di un'ipotesi, più complessa di un'illazione, meno ambigua di una presunzione, più facile da pronunciare di una presupposizione... o almeno, così è come la immagino.

Congettura [con-get-tù-ra] s.f. Giudizio basato su dati non probanti, supposizione, ipotesi.

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Di congetture, e di personaggi congetturanti, nelle mie storie ce ne sono parecchi. Il difficile stavolta è stato sceglierne solo uno. Quello che alla fine mi ha ispirato, mi ha sorpreso... non era tra i primi a cui avrei pensato collegati a questa parola.


Era solo una congettura. O mi stava mentendo. Non mi fidavo, ma Neve era una creatura del Piccolo Popolo, e una con un grande potere. Decisi di stare al suo gioco.
– Quindi, ora devo ringraziarti per avermi aperto gli occhi su Belial. – Spezzai i cristalli di brina sui rami di un rovo, frastagliati come foglie di agrifoglio. Crepitarono tra le mie dita. – È così che funziona, no? Che cosa vuoi in cambio?
Neve mi fissò senza battere ciglio. Mugolò, e un soffio gelido mi graffiò il volto.
– Non prendere in giro me, Infero. I patti sono una cosa seria, dalle mie parti. – Neve allargò un braccio verso l'estremità del ramo su cui era seduta. Il ramo tremò e lasciò cadere una pioggia di frammenti bianchi. – Se avessi voluto farne uno, non ti avrei rivelato subito quanto ti ho detto. Non prima di esserci accordati sul prezzo.
– E io dovrei credere che qualcuno della tua specie faccia qualcosa solo per... generosità? – Incrociai le braccia. Il suo sfoggio di effetti speciali non m'impressionava.
– Lo hai creduto di Belial. Per tanti, tanti anni. – La sua voce stridente assunse un timbro divertito. – Lo dovresti sapere, tu meglio di chiunque altro, che la pietà o l'altruismo non fanno parte della natura di un Infero. Perché salvarti la vita, perché tenerti al sicuro, se non pensa di poter trarre vantaggio da te?
Scossi la testa. – Vedi, ecco dove le tue congetture fanno acqua. Tu sai chi sono. Sai che non sono potente come uno di loro. Anche se mi addestrasse... resto uno di loro solo a metà.
Strinsi i pugni.
Neve rise, o almeno così mi sembrò: il rumore era più simile a quello di una stalattite di ghiaccio che andava in pezzi.
– Ma è qui che ti sbagli, Infero. Tu non sei utile per ciò che hai, piuttosto... per ciò che non hai.
La fissai mentre scivolava giù dal ramo, e per la prima volta la sua accusa aveva un senso. Sapevo di cosa stava parlando, prima ancora che le sue labbra fredde si schiudessero, soffiando quelle due parole con la violenza di un vento artico: – Un nome.

giovedì 29 novembre 2018

Prossimamente... recensioni?

Ho già descritto da qualche parte in questo blog la mia propensione a quello che io chiamo "editing segreto", ovvero l'esame certosino dei romanzi o racconti pubblicati dai miei colleghi italiani. A questo scopo ho una libreria di e-book che sto leggendo con occhi da scrittore, o meglio, come se li avessi scritti io. Ne ho incontrati alcuni che riscriverei da capo a piedi, e per i quali mi metterei le mani nei capelli. Ne ho incontrati altri, invece, che mi hanno meravigliato, e tenuto avvinta alla storia fino all'ultima pagina, e dei quali posso dire "questo vorrei davvero averlo scritto io". Ed entrambi mi hanno insegnato qualcosa.

C'è un'idea che mi frulla da un po' nella testa. L'idea è di rendere il mio editing segreto... un po' meno segreto. Non potendo trascrivere un pezzetto di testo con le mie annotazioni e i cambiamenti che effettuerei (cosa che posso fare, in pubblico, solo con un brano che ho scritto io... su una storia altrui, senza il consenso dell'autore, è un atto decisamente sgarbato, contrario al galateo della scrittura!), un buon compromesso mi pare una recensione. Una recensione che riveli i punti dolenti e quelli sorprendenti, le mie annotazioni in forma condensata, con il minimo di spoiler possibile. Per renderla più ordinata potrei raggruppare le mie note in cinque categorie, e assegnare a ciascuna un punteggio da zero a due piume, che mi torna comodo sia per dare un numerino sul gradimento totale da zero a dieci, che per convertirle poi nella valutazione a stelline di Amazon, con una piuma che equivale a mezza stellina. Le cinque categorie sono:
  • Stile
  • Trama
  • Personaggi
  • Ambientazione
  • Altro
In ciascuna di esse potrei inserire ciò che segue, tenendo conto che almeno una parte di ciò che valuto come positivo o negativo è dovuto al mio gusto personale, o che ciò che risulta un problema in una storia potrebbe essere invece un tocco di classe in un'altra... tutto dipende da come si inserisce nel contesto, e dall'effettiva realizzazione.

Stile

Qui c'è la base della lettura, e della scrittura. Refusi, errori di grammatica, frasi poco scorrevoli o incomprensibili diminuiranno le piume assegnate allo stile, così come il salto continuo del punto di vista, se tale da confondere il lettore. Uno stile personale, coerente lungo tutto il romanzo, un narratore interessante da leggere e di cui riesco a sentire la voce nella testa, oltre a un numero di refusi ed errori molto esiguo (non dico zero, se ne scappa qualcuno non mi scompongo, l'importante è non trovarne uno ogni pagina o quasi!) sono note positive per quanto riguarda lo stile.
E dato che la lingua e lo stile è alla base del romanzo, sarò schietta: per me, un libro che non raggiunga le due piume in questa categoria non andrebbe pubblicato. Non almeno senza un buon giro da un correttore di bozze o l'aiuto di un lettore beta che aiuti l'autore a sistemare tutti quei piccoli o grandi problemi che attirano l'attenzione sulla superficie, distogliendola dal piacere della storia.

Trama

In negativo, una o più incoerenze nella trama, troppi spunti lasciati aperti e mai ripresi, una forzatura in un evento deciso a tavolino da una qualche divinità (l'autore!) per spingere la trama in una direzione senza altre giustificazioni all'interno della storia, oppure un ritmo troppo lento, o troppo veloce (e lo so, qui è anche questione di gusti) mi portano ad abbassare il numero di piume assegnate a questa categoria. Se non mi incuriosisce abbastanza da chiedermi che cosa succederà dopo e voltare pagina per scoprirlo, vale davvero la pena di leggere quella storia?
La prevedibilità o meno merita una nota a parte, perché se è vero che mi piace essere sorpresa da un colpo di scena che non avevo previsto, di recente ho rivalutato le mie idee sulla questione. Essere in grado di predire un evento nella storia o la battuta in un dialogo non significa necessariamente che la trama sia scontata: al contrario, potrebbe voler dire che l'autore ha anticipato nel punto giusto un indizio che ho saputo cogliere, o che ha fatto in modo da farmi conoscere così bene i suoi personaggi, che potrei quasi scambiarli per amici.

Personaggi

Quando i personaggi sono scritti bene, nella mia testa succedono tre cose. Uno, nei dialoghi riesco a immaginare la loro voce. Due, mi provocano delle reazioni, soffro e gioisco con loro, li odio con tutto il cuore se mi sono antipatici, o cerco di psicanalizzarli per capirne le motivazioni. Tre, immancabilmente, se i personaggi sono scritti bene, ce n'è sempre uno che spicca tra gli altri, che seguo con maggior attenzione, che mi piace, anche se non necessariamente significa che mi identifico in lui o in lei. E non sempre, anzi, raramente, è il protagonista.
Se invece i personaggi sono piatti, stereotipati, tutti più o meno simili tra loro, o se il/la protagonista è una proiezione dell'autore circondata da ombre adoranti (quella che si chiama, in gergo, Mary Sue), allora quelle tre cose non succedono, il numero delle piume cala, e la loro sorte mi è indifferente come quella di una serie di sagome di cartone piazzate contro uno sfondo.

Ambientazione

Qui è necessario distinguere tra ambientazioni realistiche e mondi fantastici, con la premessa che non valuto nessuna delle due superiore all'altra. Semplicemente, per essere credibili, hanno regole diverse.
In una ambientazione realistica, hanno un punto di merito le storie che si svolgono in Italia. Ma questa, appunto, è una scelta personale, e non c'è decurtazione di piume per l'autore italiano che scelga di raccontare una storia ambientata altrove... purché me lo faccia sentire, che siamo altrove e non in Italia. Che ci sono altre strade, altri sapori, altre lingue, altri usi e costumi. La stessa cosa vale per un mondo fantastico, dove però chi scrive si può sbizzarrire, e dove vale un'unica regola: coerenza. Non dimenticare le regole di quel mondo, le sue leggi fisiche e magiche e le caratteristiche delle razze che si sono inventate, e tutte le conseguenze e le differenze che comportano rispetto alla nostra realtà.

Altro

Mi serviva un'ultima categoria e non sapevo come chiamarla, se non... altro. Un contenitore per tutte le note che non riguardano lo stile, o la trama, o i personaggi, o l'ambientazione. Qui c'è spazio per quel tocco in più, quello che trasforma una storia buona (da otto, se ha già il massimo nelle altre categorie, ovvero quattro stelline di Amazon) in una lettura memorabile. Può trattarsi di qualcosa che esula dalla storia vera e propria, come una bella copertina particolarmente azzeccata, illustrazioni originali all'interno, una mappa, un gioco di parole nel titolo che si scopre solo leggendo. O di un modo originale e particolare di scrivere (mi vengono in mente, come esempi famosi, il testo bicolore e i capitoli che iniziano ciascuno con una diversa lettera dell'alfabeto in "La storia infinita" di Michael Ende, o i racconti a matriosca di "L'atlante delle nuvole" di David Mitchell, in cui il primo racchiude il secondo che racchiude il terzo, e così via...). Oppure di... altro.
Se però non ho nulla da aggiungere e la categoria altro rimane a zero piume, nessun problema. A volte una storia è già perfetta così com'è, senza inutili effetti speciali che rischiano invece di rovinarla. A volte una storia non ha bisogno di nient'altro, per essere piacevole, se non della storia stessa.

lunedì 26 novembre 2018

Sfida numero 11 - Piuma di Picchio

Continua la serie di sfide a difficoltà variabile, facile, intermedio e difficile. Il meccanismo è semplice: ti proporrò tre livelli cumulativi, con istruzioni man mano più complesse e specifiche. A te scegliere se completare il livello più semplice, aggiungere le indicazioni di quello intermedio o seguire tutte le istruzioni per arrivare al livello difficile.

Se hai perso le prime sfide e vuoi recuperarle, le trovi qui:
Sfida numero 1 - Piuma di Passero
Sfida numero 2 - Piuma di Merlo
Sfida numero 3 - Piuma di Piccione Viaggiatore
Sfida numero 4 - Piuma di Colibrì
Sfida numero 5 - Piuma di Gabbiano
Sfida numero 6 - Piuma di Pappagallo
Sfida numero 7 - Piuma di Gallo Combattente
Sfida numero 8 - Piuma di Corvo
Sfida numero 9 - Piuma di Fringuello
Sfida numero 10 - Piuma di Falco


Se sei pronto, si comincia con la sfida di oggi!

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Sfida numero 11

Ispirandomi a "Esercizi di stile" di Raymond Queneau, ti sfido a mettere in pratica qualche principio della revisione di un testo. Il picchio che batte e ribatte il becco sullo stesso punto del tronco mi pareva il volatile adatto per rappresentarla, quindi...  completando questa sfida, vincerai una virtuale Piuma di Picchio, di bronzo, d'argento o d'oro a seconda del livello scelto.

Livello facile: scrivi un breve brano. Un paragrafo. Dieci frasi, o dieci righe circa.
Non è importante l'argomento o il genere del tuo scritto. Se prosegui con gli altri due livelli, puoi anche usare un pezzo che hai in un cassetto, o qualcosa che hai scritto in questa ultima settimana di NaNoWriMo. Se invece hai tempo solo per questo livello, la sfida è scrivere qualcosa di completo avvicinandoti il più possibile alle dieci frasi o righe. Se sei troppo sintetico, impara a espandere. Se sei troppo prolisso, impara a stringere.

Livello intermedio: riprendi il brano. Modificalo nel contenuto. Togli, o aggiungi, o altera qualcosa.
A volte tagliare un evento, un personaggio, o una spiegazione superflua può servire ad alleggerire il testo e renderlo più gradevole. Altre volte potresti sentire che manca qualcosa, che sia una descrizione o una transizione tra due parti mal collegate. O ancora, è sufficiente cambiare qualcosa per dare un senso più profondo a un brano

Livello difficile: riprendi nuovamente il brano. Modificalo nello stile.
Troppi aggettivi? Frasi poco scorrevoli da rimescolare, o ribaltare? Punto di vista e tempi verbali ballerini da risistemare? O magari, perché no, hai voglia di azzardare un esperimento come quelli proposti da Raymond Queneau, qualcosa come un tautogramma, ovvero un testo composto esclusivamente da parole con la medesima iniziale, o anche un lipogramma, un testo in cui sia del tutto assente una lettera (solitamente una vocale)?


Aspetto i tuoi commenti, suggerimenti o il brano che questo nuovo tipo di esercizio ti ha ispirato a scrivere. Come al solito avrai la possibilità, se lo desideri, di mettere sotto i riflettori le tue parole nel post di giovedì della settimana prossima. Riuscirci è semplice: ti basta sorprendermi!

sabato 24 novembre 2018

Becero

Non tutte le parole si riferiscono qualcosa di gradevole e desiderabile. Incontrare qualcuno che corrisponde alla definizione di questa parola può peggiorare notevolmente la giornata, ma almeno da oggi saprai come descriverlo.

Becero [bé-ce-ro] agg., s. 1. agg. Volgare, sguaiato. 2. s.m. (f. -ra) Persona rozza, maleducata.

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Non è una parola da tutti, e non è facile infilarla, soprattutto in un dialogo. La mia prima idea era una scena alla Rossella O'Hara, con un litigio tra una donna e un uomo. Poi mi sono ricordata di questi personaggi... e ho modificato leggermente la mia prima idea.


Cercare di tenere assieme quei due era come tentare di mescolare l'acqua e l'olio. A mani nude. Senza alcuna scodella o bicchiere a contenere i due liquidi.
Non avevo chiesto io di avere un seguito. Non lo volevo. Ma non ero certa di riuscire a portare a termine il mio compito, con l'ombra dei falsi dei che mi divorava da dentro e mi rendeva sempre meno me stessa, e sempre più qualcos'altro. Mi aggrappavo con ostinazione ai pochi ricordi che mi rimanevano, ed era un pensiero consolante sapere di avere loro due a completare ciò che avevo lasciato in sospeso, quando di me non sarebbe rimasto più nulla.
Se solo fossi stata in grado di farli andare d'accordo.
– Siete un becero bandito! – La voce nasale dello storiografo si levò nella quiete pigra del mattino mentre scendevo le scale della locanda. – Un bugiardo, un malfattore della peggior specie, un volgare ladro...
Mi fermai ai primi gradini. Potevo raggiungerli, ed evitare che quella contesa degenerasse; ma non ero a conoscenza del motivo del loro screzio, quindi non sapevo se soffocandola in quel momento, la fiamma non sarebbe divampata più violenta in seguito.
– Pensala come vuoi, pomposo idiota – replicò Kal Tydas. Il tono della sua voce era basso e roco, sicuro di sé. – Ma è la verità. Io posso dormire con lei e tu no.
Scossi la testa. Uomini. Non avevo tempo per cose del genere.
– Una lady non permetterebbe mai...
Sir Maizorean si interruppe quando scesi le scale calcando ogni passo. Volevo che mi sentissero. Per fare in modo che mi capissero entrambi, dovevo essere più becera del peggiore dei Kalaan.
Li raggiunsi, sfilai il pugnale dallo stivale e lo sbattei sul bancone. – Ascoltatemi bene. Non me ne frega niente di quello che pensate di poter ottenere, io non sono il premio in una vostra schifo di gara, perciò il primo che mi tocca, perderà qualcosa a cui tiene molto più della mano. Intesi?
Li fissai con aria truce. L'uomo ignaro di essere stato reclutato in una guerra, e l'uomo che ancora sperava di potermi salvare.

giovedì 22 novembre 2018

Se avessi avuto un drago

(racconto ispirato alla Sfida numero 10. Non sono sicura che stavolta il cambio di prospettiva sia abbastanza netto, ma il cambio di tempo verbale c'è e ho omesso di rivelare che... no, non anticipo nulla!)
 
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Lo avevo immaginato più di una volta, quello che avrei potuto fare con lo strano compagno che mi ero ritrovata accanto. Avremmo volato assieme, il drago e io, e giorni di cammino sarebbero diventanti una decina di battiti d'ala. Avremmo superato con facilità la massa informe di scheletri e corpi che costituivano l'esercito dello stregone Zohar, e che dalle Torri di Smeraldo sciamavano a invadere le terre fertili e verdi della mia regina. Lo avrei spronato a soffiare il suo respiro rovente sui redivivi e sui negromanti, i loro generali, lasciando sentieri di fiamme alle nostre spalle.
Avremmo puntato poi sul castello dalle bianche torri, prendendoci solo qualche istante per sorvolare le case del villaggio ai piedi della collina, e spronare alla battaglia, con la mia voce e la sua maestosa presenza, tutti gli uomini e le donne che avrebbero alzato lo sguardo con meraviglia e sgomento. Avremmo fatto loro capire che con un drago dalla loro parte valeva la pena combattere, che la resa e la sottomissione non erano le uniche opzioni. Poi avremmo volato in alto, sopra la collina, sopra il castello dalle mura di pietra, sopra la torre più alta, per atterrare lì, per frapporsi tra Zohar e la mia regina, per salvarla dalla maledizione come da sola non ero stata in grado di fare.
Con il mio strano compagno avrei sconfitto lo stregone Zohar, l'uomo che non accettava un no come risposta, e avrei condiviso con il drago la gioia del trionfo.
Assieme avremmo guardato le cime degli alberi mossi dal vento, la mia regina, il drago e io, avremmo ammirato l'oceano di rami che si stendeva intatto in ogni direzione, e in cui avevo combattuto finte battaglie nei giorni della mia infanzia per prepararmi a quella vera, l'unica che sarebbe valso la pena di vincere.
Lo avevo immaginato più di una volta, il giorno del mio ritorno a casa. Ma quando davvero ritornai, non feci nulla di ciò che avevo immaginato. Perché la figura bionda che mi guardava non era che il fantasma di un passato che non si poteva cambiare, e sotto i miei piedi scricchiolava la polvere di pietra di una torre crollata, e camminando tra i sentieri del villaggio non vedevo altro che tombe e scheletri di case. Nessun albero filtrava la luce del sole in una verde cupola di fresco e di muschio. Il regno che avrei dovuto proteggere era perduto, così come la sua regina, scomparsa oltre l'orizzonte, condannata a volare per sempre con ali di falco nel sole, e di pipistrello nelle ore dell'oscurità.
Se solo avessi avuto un drago allora, le cose sarebbero andate diversamente. Ma avevo incontrato troppo tardi il mio strano compagno con cui condividevo la gioia e il dolore, la rabbia e il rimpianto.
Era troppo tardi per salvare la mia regina, ma l'eco del mio furore amplificato dal petto del drago mi diceva che non era troppo tardi per una vendetta.

lunedì 19 novembre 2018

La città nel bosco

(racconto ispirato alla Sfida numero 10. Come richiedeva la sfida ho fatto il cambio di prospettiva, di tempo verbale dal passato al presente, e ho omesso un dettaglio importante... ma per non rovinare la sorpresa, non rivelo qual è!)
 
Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


La città era un immenso brulicare di esili guglie color avorio e massicce torri brune, che sorgevano da un tappeto d'erba e si elevavano verso il cielo lontano. Era cresciuta disordinatamente nel corso dei secoli, e le sue vie si incrociavano in un labirinto di sentieri in cui ogni straniero si perdeva. Dalle torri, qui e là, si protendevano una serie di piatte terrazze a ombreggiare le strade, e cupole candide o dipinte di un rosso acceso sovrastavano gli edifici più importanti: il municipio, con il suo tetto appuntito e chiaro, dagli spioventi più ripidi; il tempio con le sue forme morbide e regolari, quasi sinuose, tinte di bianco e di cremisi; il museo, largo e basso, brunito dal tempo; e la biblioteca, un tripudio di spazio e luce, con una fila di colonne e più tetti costruiti l'uno sull'altro.
Tende verdi stese tra un edificio e l'altro riparavano gli abitanti della città dal sole nel bel tempo, e dalla pioggia nel cattivo tempo. La vita scorreva tranquilla, nella città nel bosco. Nulla aveva mai turbato la quiete dei cittadini che lì vivevano. Fino a oggi.
Oggi è spuntata un'ombra oscura che cala sopra le nostre teste e si allarga sulle vie e sulle piazze, sulle case e sui giardini. Si muove lenta, ma inesorabile, e tutti noi ne siamo consapevoli: se non facciamo qualcosa, l'ombra ci distruggerà. Perciò siamo stati chiamati a raccolta noi, i più coraggiosi, i più abili. Guardo alla mia destra, le gemelle, due facce identiche con il medesimo sorriso e trucioli arricciolati sulla chioma. A sinistra mi affianca il mio migliore amico: massiccio e forte, è sempre pronto a tutto, e infatti ha portato una rete che trattiene in una mano, e una lunga spina nell'altra. Ma sono io quello più veloce.
Scherzo con lui: sarò io il primo ad arrivare in cima e a liberarci dal pericolo. Poche istruzioni e poi partiamo: io e il mio amico scaliamo due diverse torri, mentre le gemelle scelgono di affrontare il gigante dall'altro, con i corvi. Scuoto la testa: i corvi sono lenti quasi quanto il gigante, e io non ho tutta questa pazienza. Quando decollano, io e il mio amico già stiamo saltando dalle torri al corpo del gigante. Il mio amico è sull'enorme scarpa che minaccia la nostra bella città, mentre io mi aggrappo alla cintura e risalgo velocemente verso l'orecchio. E quando arrivo, sussurro con la mia vocina di gnomo, rallentando il più possibile ogni parola per cercare di farmi capire da te, grande uomo che non guardi dove metti i piedi, o che cosa potresti inavvertitamente distruggere lungo il tuo cammino. Sussurro ma non vedo mutamenti nella lenta discesa della scarpa, solo il mio amico a cavalcioni di un laccio, che solleva la spina e poi la cala giù, spingendola il più possibile dentro la calzatura. Il tuo volto piano piano cambia, vedo grinze formarsi agli angoli degli occhi e delle labbra, che si sollevano sui denti. I corvi stanno arrivando, ma sono ancora troppo lontani perché le gemelle possano fare qualcosa. E non so, davvero non lo so, se quello che sta avvenendo è il miracolo che chiedevamo, o se questa mossa non scatenerà un disastro peggiore di quello che siamo venuti a scongiurare.

sabato 17 novembre 2018

Adombrarsi

Ricomincio alla grande da un verbo. Di riflessivi mi pare di non averne ancora scelti, vero? Allora, eccolo qua!

Adombrarsi [a-dom-bràr-si] v.rifl. [sogg-v] 1. Detto di animali, spaventarsi vedendo un'ombra. 2. fig. Rabbuiarsi nello spirito, indispettirsi.
 
Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Come unire i due significati della parola? Per prima cosa, c'è bisogno di un animale. Poi, di qualcuno che guarda quell'animale. E infine, di qualcosa che indispettisce quel qualcuno... ho unito questi elementi, e ne è venuto fuori un racconto sull'antenata di un paio di personaggi che hanno già popolato le pagine della Piuma.


Suré è immobile, sdraiata sulla pancia a braccia conserte per sostenere il mento, e fissa il topo con l'aria di una gattina famelica. Lo ha trovato appena fuori dal fienile. Mentre riempio le mangiatoie nel recinto dei maiali, ogni tanto la guardo.

So qual è la tentazione che sta respingendo. Gliel'ho visto fare molte volte, quando eravamo nell'altro mondo. Ma qui... qui non può permettersi di seguire il suo istinto.
È stato già difficile trovare qualcuno che ci accogliesse, nonostante le squame sul suo corpo e il suo viso. Una malattia della pelle. O almeno, questo è ciò che ho detto alla gente di qui.
Nessuno deve sapere che mia figlia è la figlia di un drago. Siamo venute qui per essere al sicuro, lontano da lui. Ma non siamo al sicuro da altri tipi di pericolo.
– Suré, no – la rimprovero, notando che ha sciolto le braccia e alzato una manina sopra al topo. Una fiamma le guizza all'angolo della bocca mentre si gira e mi guarda. Sollevo un po' la gonna e la raggiungo. Appena la mia ombra supera la sua testa, il topo che annusava il sacco di granaglie si adombra e fugge.
Suré si puntella sulle mani per rimettersi in piedi e inseguirlo, ma io la trattengo per un braccio. Lei mette il broncio e abbassa la testa.
– Ti ricordi quello che ho detto sul mangiare topi e sputare fuoco? – sussurro nell'accosciarmi al suo fianco.
Suré annuisce. – Che non si fa – mugugna contrariata.
– Perché...?
– Perché se mi vedono farlo, gli uomini cattivi mi portano via, mi fanno del male e poi mi bruciano. – Suré alza la testa. – Ma tanto, il fuoco non mi fa niente.
Sospiro e le accarezzo le squame sulla guancia. – Lo so. Ma brucerebbe me. E loro troverebbero altri modi per farti del male. Forse ti butterebbero in acqua.
Suré sgrana gli occhi. L'acqua non le è mai piaciuta.
– Va' dentro, ora – le dico quando il padrone della fattoria si avvicina.
– Non mi piace questo mondo, mamma – Suré si adombra e sbotta: – Voglio tornare a casa!
Non glielo dico, ma lo vorrei tanto anch'io, se solo fosse possibile.

giovedì 15 novembre 2018

La perfezione del primo romanzo

Ultimamente mi è capitato di parlare con degli amici che sono in varie fasi del loro primo romanzo. Una delle cose che mi sorprende è che la loro storia è molto più spesso "in pausa" che in fase di effettiva scrittura. Perché stanno aspettando l'ispirazione o l'idea giusta, perché hanno troppi impegni in questo momento della loro vita, perché non sanno scegliere tra vari possibili sviluppi. E allora restano lì, bloccati.

Lo ammetto, sono l'ultima persona a poter giudicare, visto quanto ci sto mettendo per ultimare il mio. Però mi viene spontaneo confrontare la loro con la mia esperienza di scrittura di adesso, e di com'era all'inizio. Adesso scrivo almeno un po' ogni giorno, o quasi. Non sempre è facile iniziare, a volte devo forzarmi a farlo, ma quando inizio, nei giorni buoni (e sono tanti, più della metà delle volte), poi non vorrei fermarmi. Non sempre sono contenta di quello che scrivo, ma so che non serve che sia perfetto fin da subito. Da qualche parte, fra i mille consigli di scrittura che ho letto (oh, eccolo qui dov'era!) ho trovato questo: "dai a te stesso il permesso di scrivere completamente da schifo. Anzi, fanne il tuo obiettivo." Questo è il concetto di una stesura precedente alla prima "ufficiale", quella che poi sarà non perfetta, ma con almeno qualcosa di buono dentro da poter migliorare, e viene chiamata "stesura zero". Ora, non dico che sono arrivata al punto da cercare deliberatamente di scrivere male, ma questo concetto mi ha liberato dall'idea di arrivare subito a una versione definitiva e perfetta, tanto che non mi preoccupo se mi succede di scrivere qualche brutto passaggio. Va bene, già so che sarà da rifare. Mi segno un appunto, e vado avanti.

Una volta, all'inizio, non era così. Non avevo alcun bisogno di forzarmi a scrivere attraverso il fango e le paludi della prima stesura, o di quella zero. Forse ero più vicina al modo di scrivere dei miei amici, perché scrivevo quando ne avevo voglia, quando avevo tempo e quando mi sentivo in vena. La differenza era che ne avevo voglia sempre. E il tempo... oh, il tempo. In un mondo senza smartphone, di tempi morti ce n'erano in abbondanza. Durante la ricreazione, sull'autobus, in treno, in visita dai parenti, in un'ora buca con l'assenza di un insegnante, sapevo di avere il mio fido pacco di fogli e una penna a disposizione per passare il tempo. Scrivevo così di frequente, che una volta la mia compagna di banco si dev'essere stufata... e, dal mio punto di vista, ha osato rovinare il mio capolavoro con un "BASTA SCRIVERE!" a grandi lettere di traverso sulla pagina che stavo finendo, proprio lì sopra le mie parole. Che a differenza di oggi, credevo fossero quelle definitive, o quasi. A parte qualche errore di grammatica da sistemare qui e là, pensavo che non ci fosse alcun bisogno di migliorarlo in seguito. Che fosse già perfetto così com'è. Che le scene sarebbero rimaste quelle, che i personaggi fossero già ben definiti, che non ci fosse alcun problema di coerenza o di ritmo. Quanto. Mi. Sbagliavo.

Perciò, oggi, sono contenta di riuscire a vedere non appena le scrivo che ci sono parti da sistemare, e di non sentire quella paralizzante esigenza di rifinirle subito. E vorrei con tutta me stessa riuscire a trasmetterlo ai miei amici bloccati dal bisogno di perfezione. Risparmiare loro anni di lotta contro la pagina bianca e di frasi che non riescono come le avevano immaginate. Offrire loro una scorciatoia per la tranquillità d'animo che ho trovato solo dopo numerose bozze di quel primo romanzo, confrontando la prima stesura con quella di ora e scoprendo quanto è migliorato, e quanto io ho imparato. Dire loro che non impareranno mai se non si buttano, se non scrivono, se non si permettono di sbagliare e di scriverlo male. Senza ispirazione. In sessioni da cinque minuti, appena li hanno.

Io ci provo, a farglielo capire. Ma non so se serve a qualcosa.

Forse non ci sono scorciatoie e ognuno impara da solo, al suo ritmo, inseguendo l'impossibile perfezione del primo romanzo.