lunedì 19 novembre 2018

La città nel bosco

(racconto ispirato alla Sfida numero 10. Come richiedeva la sfida ho fatto il cambio di prospettiva, di tempo verbale dal passato al presente, e ho omesso un dettaglio importante... ma per non rovinare la sorpresa, non rivelo qual è!)
 
Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


La città era un immenso brulicare di esili guglie color avorio e massicce torri brune, che sorgevano da un tappeto d'erba e si elevavano verso il cielo lontano. Era cresciuta disordinatamente nel corso dei secoli, e le sue vie si incrociavano in un labirinto di sentieri in cui ogni straniero si perdeva. Dalle torri, qui e là, si protendevano una serie di piatte terrazze a ombreggiare le strade, e cupole candide o dipinte di un rosso acceso sovrastavano gli edifici più importanti: il municipio, con il suo tetto appuntito e chiaro, dagli spioventi più ripidi; il tempio con le sue forme morbide e regolari, quasi sinuose, tinte di bianco e di cremisi; il museo, largo e basso, brunito dal tempo; e la biblioteca, un tripudio di spazio e luce, con una fila di colonne e più tetti costruiti l'uno sull'altro.
Tende verdi stese tra un edificio e l'altro riparavano gli abitanti della città dal sole nel bel tempo, e dalla pioggia nel cattivo tempo. La vita scorreva tranquilla, nella città nel bosco. Nulla aveva mai turbato la quiete dei cittadini che lì vivevano. Fino a oggi.
Oggi è spuntata un'ombra oscura che cala sopra le nostre teste e si allarga sulle vie e sulle piazze, sulle case e sui giardini. Si muove lenta, ma inesorabile, e tutti noi ne siamo consapevoli: se non facciamo qualcosa, l'ombra ci distruggerà. Perciò siamo stati chiamati a raccolta noi, i più coraggiosi, i più abili. Guardo alla mia destra, le gemelle, due facce identiche con il medesimo sorriso e trucioli arricciolati sulla chioma. A sinistra mi affianca il mio migliore amico: massiccio e forte, è sempre pronto a tutto, e infatti ha portato una rete che trattiene in una mano, e una lunga spina nell'altra. Ma sono io quello più veloce.
Scherzo con lui: sarò io il primo ad arrivare in cima e a liberarci dal pericolo. Poche istruzioni e poi partiamo: io e il mio amico scaliamo due diverse torri, mentre le gemelle scelgono di affrontare il gigante dall'altro, con i corvi. Scuoto la testa: i corvi sono lenti quasi quanto il gigante, e io non ho tutta questa pazienza. Quando decollano, io e il mio amico già stiamo saltando dalle torri al corpo del gigante. Il mio amico è sull'enorme scarpa che minaccia la nostra bella città, mentre io mi aggrappo alla cintura e risalgo velocemente verso l'orecchio. E quando arrivo, sussurro con la mia vocina di gnomo, rallentando il più possibile ogni parola per cercare di farmi capire da te, grande uomo che non guardi dove metti i piedi, o che cosa potresti inavvertitamente distruggere lungo il tuo cammino. Sussurro ma non vedo mutamenti nella lenta discesa della scarpa, solo il mio amico a cavalcioni di un laccio, che solleva la spina e poi la cala giù, spingendola il più possibile dentro la calzatura. Il tuo volto piano piano cambia, vedo grinze formarsi agli angoli degli occhi e delle labbra, che si sollevano sui denti. I corvi stanno arrivando, ma sono ancora troppo lontani perché le gemelle possano fare qualcosa. E non so, davvero non lo so, se quello che sta avvenendo è il miracolo che chiedevamo, o se questa mossa non scatenerà un disastro peggiore di quello che siamo venuti a scongiurare.

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