lunedì 29 aprile 2019

Personaggio: Il Corvaccio

Raramente nelle mie storie il mentore è un vecchio dalla barba bianca. I miei mentori sono prevalentemente atipici. Tolti coloro che sono anche genitori o parenti stretti del loro pupillo, e quelli che non si separano mai davvero dall'allievo (ce n'è anche uno che finge la propria morte, per poi ricomparire... anche se, a sua discolpa, il motivo per cui l'ha fatto non aveva niente a che vedere con la persona che aveva ormai finito di addestrare), ne rimangono ben pochi. Questo è il primo che mi è venuto in mente.

Immagine creata con Mega Fantasy Avatar Creator di Rinmaru Games


Il Corvaccio è un mentore atipico: al contrario di altri personaggi che hanno ricoperto questo ruolo, non è benevolo, e non ispira certo simpatia. Nell'impartire i suoi insegnamenti, il Corvaccio non ha a cuore il benessere dei suoi allievi, bensì il proprio tornaconto, e più che offrire lezioni, il suo metodo consiste nel plasmare il carattere dei ragazzi che ha preso, è il caso di dirlo, sotto la sua nera ala.
Se altri mentori hanno l'obiettivo di rendere i loro apprendisti individui capaci e indipendenti, per poi lasciarli andare per la loro strada, con il Corvaccio non è così: alla scuola del Corvaccio non ci si diploma. Infatti ai suoi pupilli non vengono rivelate mai tutte le informazioni, ma solo quelle indispensabili per poter agire come pedine nei suoi piani; inoltre, parte del suo metodo consiste nell'instillare una certa dose di dipendenza, tanto che si può affermare che tutti i suoi allievi abbiano sofferto della sindrome di Stoccolma a un certo punto.
Per ottenere questo, il Corvaccio si presenta come qualcosa di più di un mentore. Per i suoi allievi il Corvaccio è un padre, qualcuno che si prende cura di loro, a suo modo: l'unica persona al mondo a cui interessa qualcosa di loro, l'unico che può proteggerli e insegnare loro un mestiere. Nel Corvaccio, tutte le caratteristiche che fanno parte del ruolo di mentore sono in qualche modo presenti, ma distorti a fini egoistici.
Anche se ne so parecchio a livello di personalità, non ho ancora una descrizione fisica del Corvaccio, almeno non sulla carta. Ma ce l'ho in mente, e l'immagine creata ci si avvicina abbastanza: un individuo nella seconda metà della quarantina, che porta male i suoi anni. Massiccio, capelli castano scuro brizzolati, pelle consumata dal sole e dai vizi, mani grandi e occhi scaltri, barba incolta e un vestiario semplice e comodo, quando non gli serve presentarsi con un aspetto più curato per mettere in atto uno dei suoi inganni.


Questi i brani già scritti in cui compare o viene nominato il Corvaccio:
Una lezione da dare
Utili insegnamenti
La libertà dopo il Corvaccio


L'esercizio richiede di scrivere il momento della separazione tra mentore e allievo. Come ho già scritto, il Corvaccio non è tipo da lasciare andare per la sua strada qualcuno che ha addestrato...
Il brano che segue si pone cronologicamente tra il primo e il secondo di quelli elencati qui sopra.


Il Corvaccio aveva esagerato. Le buone occasioni ci erano sfuggite dalle dita una dietro l'altra negli ultimi tempi, e per una volta che qualcosa andava nel verso giusto, il vecchio aveva deciso di fare l'ingordo e rovinare tutto. Rompendo una delle sue regole, oltretutto, una di quelle che non potevano essere aggirate né piegate, perché riguardava Galam.
Con il Dio Nascosto non c'era da scherzare.
– Avevi giurato! – sbottai, sbirciandolo in cagnesco mentre ce la davamo a gambe. – Non dovevi...
Il corvaccio allungò un braccio e cercò di assestarmi un manrovescio, ma io mi feci da parte mentre imboccavamo un vicolo. Era un vicolo cieco, chiuso sui tre lati da case a due o più piani, e lui lo sapeva. Era la nostra via di fuga, il piano di riserva del Corvaccio, che qualunque cosa accadesse, ne aveva sempre uno. Tranne quella volta.
La finestra del primo piano della casa disabitata alla fine del vicolo era chiusa, e la scala era sparita.
Ci fermammo entrambi con la testa rivolta in alto. Forse il Corvaccio non era stato l'unico a ignorare le conseguenze del Giuramento Inviolabile, e anche il compare a cui aveva fregato il bottino aveva avuto intenzione di tradirlo. Il Corvaccio era solo stato il più rapido.
– Razza di idiota! – sibilai, reggendo con entrambe le mani il sacco pieno. – Deficiente! Bastardo avido, non ti bastava la metà, no, tu volevi proprio tutto...
Il Corvaccio mi agguantò per un braccio. – Non ti permettere di parlarmi così, stupida ragazzina. Tutto quello che hai e che sei lo devi a me, non scordarlo.
Sbuffai. Dalla strada venivano le grida delle guardie. Eravamo troppo in vista, non ci avrebbero messo molto a trovarci.
Ripresi a rimbrottarlo sottovoce: – E ora, grazie a te finirò in gattabuia o peggio. E che no fatto di male io? Galam, io non ho neanche fatto quell'assurdo giuramento...
Lo sguardo mi cadde sulla finestrella della cantina, alle spalle del Corvaccio. Al livello della strada, aperta, e troppo piccola perché lui ci passasse: naturale che non l'avesse nemmeno considerata.
Ma era perfetta per una ragazzina smagrita.
Avevo ragione: io non avevo giurato, non avevo nessuna parola da non mantenere. Galam mi stava offrendo una via d'uscita.
Lanciai il sacco al Corvaccio, che mollò la presa sul mio braccio per afferrare al volo la refurtiva. E intanto, io già lo avevo aggirato, e stavo strisciando in quel pertugio. – Oh, non credere di potermi abbandonare così – lo sentii protestare, e afferrarmi uno stivale. – Sei mia Vixen, tu sei mia!
Sfilai il piede dallo stivale e con un tonfo atterrai sul pavimento della cantina. Sapevo che non c'era il tempo di salire di sopra e aprirgli una finestra al piano terra, e lì per lì, nemmeno lo volevo. Ero furiosa. Fu così che abbandonai il Corvaccio al suo destino.
Quella fu l'ultima volta che lo sentii urlare. Circondato dalle guardie, mentre io me la davo a gambe. Ancora oggi, non so se il Corvaccio sia morto quella notte, o se invece non sia chiuso in qualche prigione a marcire.
Rimorsi? No, per niente.
Almeno, non fino al mattino dopo. Quando mi svegliai in un magazzino lurido e mi resi conto di essere sola, davvero sola, una ragazzina smarrita nel grande e brutto e pericoloso mondo.

sabato 27 aprile 2019

Cuora

No, non è un refuso, la parola di questo sabato è davvero "cuora", che se non erro viene dal latino cŏrium, ovvero "cuoio, crosta". E se, secondo il detto, in alto i cuori... la cuora, invece, è bene che resti in basso.

Cuora [cuò-ra] s.f. 1. Strato erboso che galleggia su paludi o laghi. 2. region. Terreno paludoso coltivabile in seguito a prosciugamento.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Trattandosi di un elemento del paesaggio di una palude, era quasi scontato pensare al popolo che le abita in una delle mie storie. Stavolta non ho nemmeno provato a cercare qualcosa di più originale, qualcosa di inaspettato: ho seguito il mio primo istinto, e ho usato la parola solo nel suo primo significato che era l'unico plausibile per la scena che avevo in mente.


I tre cacciatori procedevano leggeri sulla cuora, lasciando morbide impronte sullo strato d'erba che l'acqua fluiva a riempire. I loro passi echeggiarono con lieve sciaguattio, spaventando i lepidotteri delle ombre e i piccoli corvi di palude che volarono avanti, ben più silenziosi dei cacciatori. Lasciare tracce, fare rumore: un comportamento simile non sarebbe stato tollerato in una caccia qualunque. Ma la preda che si accingevano a stanare non si sarebbe mostrata, se non avesse pensato di poter sorprendere i cacciatori.
Kokroshyd si fermò e indicò al cacciatore più anziano un gruppo di alberispina alla sua destra. Il suo compagno scorse la trappola e digrignò i denti in risposta. Non era ancora il momento di distruggerla: se la preda non si fosse mostrata di fronte al loro numero esiguo e alla loro goffaggine, forse si sarebbe reso necessario fingere di essere caduti nell'inganno.
Mentre Kokroshyd mormorava ai due di proseguire, un lampo squarciò il buio della palude, accompagnato da uno sfrigolio.
– Il fuoco sibilante! – urlò Kokroshyd, e si gettò a terra, affondando nella morbida cuora che, rotta dai suoi artigli, non resse più il suo peso. Nuotò nell'oscurità liquida assieme agli altri cacciatori, lontano dal luogo in cui si era tuffato nell'abbraccio sicuro del suo elemento. Alle sue spalle, raggi di luce rovente foravano la cuora, alla ricerca della loro carne. Quella era la magia della loro preda, la magia dei demoni pallidi: una magia infida, senza simboli e senza preavviso. Ma Kokroshyd sapeva che, mentre i demoni pallidi a cui davano la caccia erano concentrati su di loro, altrove nella palude altri cacciatori emergevano dalle acque e dalle ombre, e seguendo a ritroso le scie del fuoco sibilante, rintracciavano e abbattevano ogni singolo demone pallido che aveva osato mettere piede nella loro casa.
Per quella notte ci sarebbe stato cibo, e la palude sarebbe stata un posto un po' più sicuro.

giovedì 25 aprile 2019

Recensione: "Soulcrystal: Volume 1" di Alessandra Toti



Titolo: Soulcrystal: Volume 1

Autore: Alessandra Toti

Casa editrice: PubMe

Data di pubblicazione: 21 novembre 2016








Avrei dovuto capirlo, dopo Believeland, che non ci si può fidare dei romanzi di autori italiani con un titolo inglese! E invece no, ci sono caduta di nuovo. Dunque, eccola mia recensione di questo... ahem, disastro annunciato.
Prima di cominciare, due avvertimenti:
1) Questa, come ogni altra recensione, è almeno in parte basata su preferenze e gusti personali. Ciò che io ritengo un elemento di pregio potrebbe essere un difetto agli occhi di qualcun altro, o viceversa.
2) Se preferisci evitare gli spoiler, leggi solo la recensione in breve che trovi all'inizio.


Recensione in breve


La brutta copia di "La maga delle spezie"... ma con i cristalli. E i lupi. E i fantasmi. E un'infinità di altre cose.

Punti di forza: per chi ci crede o è curioso, interessanti informazioni sull'uso dei minerali e pietre dure in cristalloterapia e il loro significato simbolico.
Punti di debolezza: refusi e gerundi sovrabbondanti, parole usate al posto di altre col significato contrario, punto di vista che salta da una prima persona a una pseudo-terza persona, trama troppo simile a quella di un altro libro, personaggi stereotipati e inconsistenti che agiscono solo per far avanzare la trama, ambientazione non ben definita.
Lo consiglierei a... chi è interessato all'argomento "cristalli&new age" potrebbe trovarci qualcosa di suo gradimento... anche se, a questo punto, se è quello il motivo della scelta del romanzo conviene dedicarsi piuttosto a un manuale corredato da foto.

Piume Totali: 🌾🌾 2 su 10


Se vuoi evitare ogni spoiler, questo è l'ultimo avvertimento: fermati qui. Altrimenti prosegui pure, e scopri quali elementi del testo mi sono piaciuti, quali no, e che valutazione (da 0 a 2 piume) ho assegnato a ciascuno di essi.



Stile

Leggendo il testo si ha l'impressione di trovarsi di fronte a una prima bozza, ancora da correggere e risistemare: refusi in ogni pagina, preposizioni e tempi verbali errati, decisamente troppi gerundi (quelli che finiscono in -ando o -endo, per intenderci... non scherzo se dico che i gerundi si avvicinano al 50% dei verbi totali del testo), frasi poco scorrevoli e a volte di difficile comprensione, per finire con le parole usate senza conoscerne il significato: tanto per citarne due, "intransigente" (severo, rigido) al posto di "ribelle, disobbediente" e "prosa" usato come sinonimo di "poesia".
Altra questione, ben più difficile da sistemare, è il punto di vista ballerino. La storia è raccontata in prima persona dal protagonista, almeno per i capitoli iniziali. Poi, sempre più spesso, si trovano capitoli che partono con un narratore in terza persona, in principio per seguire il personaggio che rappresenta l'interesse romantico del protagonista, ma in seguito anche altri. Ma man mano che si va avanti nella lettura ci si rende conto che il narratore è sempre il protagonista, che racconta fatti a cui non ha assistito e pensieri che non appartengono a lui ma ad altri personaggi, quasi fosse un narratore onnisciente.
Considerando l'ampio spazio che viene dato a un particolare personaggio, Ambra, in queste sezioni in pseudo-terza persona, mi viene da chiedermi se non sarebbe stato meglio dare proprio ad Ambra il ruolo di protagonista e narratrice. Tra l'altro, questa scelta avrebbe risparmiato un primo capitolo in cui non succede assolutamente niente, che esiste solo per spiegare al lettore tutte le caratteristiche bizzarre del protagonista in un enorme inforigurgito. Caratteristiche che sarebbe stato più interessante scoprire diluite nel corso del romanzo, assieme ad Ambra, man mano che lei svela i misteri che circondano questo tizio.

Piume per lo Stile:



Trama

Il personaggio principale lavora in un negozio, ma il suo non è un negozio normale: grazie alla magica mercanzia che vende, che può sentire parlare e in virtù della quale scopre i problemi dei suoi clienti, questo personaggio aiuta le persone. Ha appreso a fare ciò in un luogo lontano, prima di arrivare nella città dove opera, grazie a un gruppo di persone speciali che hanno la sua stessa dote, ma che a un certo punto ha dovuto lasciare. Per poter fare ciò che fa, e continuare a sentire la voce della sua magica mercanzia e non farla arrabbiare, deve sottostare ad alcune regole, e tra esse questa: non innamorarsi, perché il suo compito è servire allo stesso modo tutti coloro che entrano nel suo negozio in cerca d'aiuto. Ma un giorno entra nel suo negozio qualcuno di affascinante, così il personaggio principale infrange le regole, si innamora, la sua mercanzia gli si rivolta contro e da lì in avanti ha disgrazie a non finire. È la trama di Soulcrystal? No. È la trama di La maga delle spezie di Chitra Banerjee Divakaruni. Impressionante quante somiglianze ci siano tra i due, a parte che in un caso la magica mercanzia sono i cristalli, nell'altra le spezie.
Ma Soulcrystal fa qualcosa di più. Laddove La maga delle spezie è coerente attorno al suo fulcro, le spezie, e porta fino in fondo la conseguenza dell'infrazione delle regole, Soulcrystal arriva a un lieto fine senza conseguenze negative, e aggiunge ai cristalli i lupi, i fantasmi, i wendigo, la Luna, i simboli alchemici, e forse qualcos'altro che mi sono dimenticata, in un enorme e confuso calderone, tutto in virtù del fatto che qualunque cosa può assomigliare ai cristalli. Decisamente troppa carne al fuoco.

Piume per la Trama:



Personaggi

Elf, il protagonista, fin dall'inizio sa fare di tutto e di più. Cristalloterapeuta, cuore di lupo, anima di cristallo, speleologo, cacciatore di fantasmi, arciere: ha il potere di sentire le voci dei minerali e di abbinarli alle persone, ha il potere di capire le persone e leggere la loro mente toccandole, a parte una (ma funziona anche senza il tocco a quanto pare, e l'immunità di quell'una non dura tanto), ha il potere di mutare in lupo e comunicare a distanza con i suoi simili, ha il potere di vedere i fantasmi e di cacciarli se necessario. Tutte doti insite dalla nascita, per un fortunato caso, per le quali non ha dovuto combattere o faticare. Ha un unico limite, alcune regole che infrange, le cui conseguenze potevano rendere la storia interessante, ma... invece di venire punito, viene premiato con un ulteriore potere e con l'amore della sua bella. Elf ha decisamente la vita fin troppo facile.
Il resto dei personaggi, o almeno buona parte di essi, viene presentato a coppie, e i membri di ogni coppia sembrano quasi intercambiabili dato che sembrano avere reazioni simili e andare sempre a braccetto: dove c'è uno, c'è anche l'altro. Solo a una rilettura si comincia a notare qualche dettaglio che potrebbe differenziarli, altrimenti sono soltanto: le due amiche di Ambra, le due colleghe di Ambra, i due "vicini di negozio" di Elf... Di questi ultimi, un personaggio che fa la farmacista ha l'ulteriore problema di non conoscere il proprio mestiere, frutto di ricerche poco approfondire o del tutto assenti da parte dell'autrice. Impossibile infatti che una farmacista affermi che per la febbre da colpo di calore le pietre siano "più benefiche degli antibiotici", perché dovrebbe sapere che in un caso del genere gli antibiotici non si usano. Inoltre, per certi atteggiamenti da "cartone animato", questo personaggio ancora più di altri appare come una macchietta comica.
Ambra è un caso a parte. È timidissima, a parte quando non lo è, ha scarsa autostima, a parte quando invece ce l'ha, e compie azioni inspiegabili, fuori personaggio, solo per mandare avanti la trama. Come quando decide di cercare un lupo al sentire il suo ululato, solo perché deve scoprire il segreto del protagonista. O quando va a vedere un incendio perché "le piace assistere alle operazioni dei mezzi di soccorso", anche se è l'unica volta che quella sua inclinazione viene mostrata in tutto il romanzo. In più, soffre della sindrome della damigella in pericolo. Ovvio che deve andare ad affrontare da sola l'antagonista, pur sapendo quando è pericoloso. Altrimenti, come farebbe a farsi rapire?
Gli antagonisti, anche questi in coppia, sono, al massimo, deludenti. Il protagonista ha gioco facile col nuovo potere acquisito, mentre la sua abilità con l'arco, che sembrava fosse stata citata all'inizio per poterla sfruttare nel confronto finale, è del tutto ininfluente. E il tutto si risolve con il pentimento tardivo del primo antagonista e una chiacchierata con il secondo, che tanto malvagio non sembra dato che avrebbe potuto almeno almeno lasciare il campo con una minaccia di future ritorsioni, e invece... "bravo, hai sconfitto il mio campione, mi complimento con te e d'ora in poi ti lascio fare come vuoi in barba alle regole". E tanti saluti alla regina bugiarda e gelosa e voltafaccia che sembrava essere così tremenda da come l'avevano descritta altri personaggi in precedenza.

Piume per i Personaggi: 🌾



Ambientazione

Non si capisce esattamente dove sia ambientato il romanzo. I nomi di luoghi sono in parte inglesi, in parte italiani. Fiumi e città non sono gli stessi della nostra realtà, eppure si fa riferimento a elementi d'attualità come clandestini e scafisti, o si citano caratteristiche regionali chiaramente identificabili, come l'aspetto di un uomo "di evidente origine mediorientale". In un caso si parla di una regione con "coste, mare, piadine e stabilimenti balneari a sud, montagne, boschi, prosciutti e città d'arte a nord", che a parte l'asse delle direzioni spostato, è fin troppo facile da posizionare in Italia.
Anche i nomi delle persone sono in parte italiani, in parte stranieri e molto insoliti, anche per i personaggi nativi del luogo dove è ambientata la vicenda. Per questi dettagli contraddittori, nel corso dei primi capitoli il mio pensiero è passato più volte da "siamo in Italia" a "no, siamo da qualche parte all'estero" a "forse siamo in un altro universo" a "ah, ma allora siamo in Italia!". Un po' più di chiarezza circa l'ambientazione non avrebbe guastato.
L'elemento fantasy dei Lupi Soulcrystal è... problematico. Non viene mai chiaramente spiegato. Ogni volta che salta fuori la domanda "che cosa ci azzeccano i lupi con i cristalli?", la risposta è che i lupi ululano le loro preghiere a Luna e stelle, e le stelle somigliano ai cristalli o pietre preziose, quindi il loro potere riguarda i cristalli. Troppo, troppo debole come legame. A questo punto, dato che le stelle assomigliano anche alle lampadine o alle lucciole, doveva essere altrettanto plausibile una razza di Lupi Elettricisti, o di Lupi Entomologhi.
Quest'ultimo punto può riguardare un'idiosincrasia personale, ma volevo citarlo lo stesso: ho trovato irritante l'apparente visione geocentrica dell'ambientazione, con la Terra-Madre natura posta per importanza al di sopra della Luna, la quale è al di sopra delle stelle, che stando a una leggenda il nostro satellite avrebbe partorito. E la stessa visione della Luna come ingannatrice, con la scusa che "cambia faccia ogni mese" proprio non sono riuscita a mandarla giù. Anche perché quella scusa è del tutto errata: la Luna segue sempre le stesse fasi, è uguale a se stessa, non cambia ogni mese, semmai durante, e il poterlo prevedere con precisione la rende tutto fuorché ingannatrice. Al massimo, le si può dare dell'abitudinaria.

Piume per l'Ambientazione:



Altro

La copertina è bella. Attira l'attenzione: così mi è stato detto, e non posso che concordare dato che il colore verde mi piace. Peccato che nell'edizione attuale del romanzo sia stata cambiata con una scialba e giallognola.
Degno di nota è il lavoro di ricerca, che manca in altri ambiti, svolto nel campo della cristalloterapia e dei significati simbolici delle pietre. Per qualcuno che prova interesse a scoprire cose nuove, potrebbe essere un punto di partenza per approfondire l'argomento, che è quello che presumo l'autrice si prefiggeva. Ma la lunghezza del romanzo e tutti i problemi riscontrati rendono questo testo un pessimo punto di partenza. Meglio dedicarsi, piuttosto, a un manuale illustrato.

Piume per qualcos'Altro: 🌾

lunedì 22 aprile 2019

Il mentore

Per il momento lascerò da parte protagonista e antagonista per dedicare questa e le prossime settimane ad alcuni personaggi secondari... solo per presenza, ma non per importanza, in una storia. Il primo dei quali è questo:

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Il primo Mentore, di nome e di fatto, lo si può trovare nell'Odissea. Così si chiama infatti il precettore a cui Ulisse affida il figlio Telemaco, nome che è poi passato a definire ogni altra figura simile. E considerando che secondo alcune fonti, Mentore altri non è che la dea Atena sotto false spoglie, si può ben comprendere come la saggezza sia la qualità che più gli si addice.

L'immagine classica del mentore è quella di un vecchio dalla lunga barba bianca. Merlino, in molte delle versioni di La spada nella roccia, compresa quella disneyana, è raffigurato proprio così. Se l'ambientazione ammette l'esistenza della magia, un mentore con questo aspetto è spesso anche un mago, anche nel caso in cui la magia non sia l'oggetto dei suoi insegnamenti. Un tipico esempio è Galdalf, che in Lo Hobbit prima e Il Signore degli Anelli poi si comporta da guida spirituale della compagnia, e in particolare di Bilbo e Frodo. Tra l'altro, come già il Merlino del classico Disney e come il signor Miyagi in Karate Kid, un tratto particolare di questo tipo di mentore è una vena di follia, che si riflette nelle parole e negli esercizi in apparenza inutili che impone al proprio allievo. L'apparenza di un vecchio un po' picchiatello, però, si rivela ingannevole quando un pericolo minaccia l'apprendista ancora impreparato ad affrontarlo. E allora, che si tratti di Maga Magò, del Balrog, o di un gruppo di bulli, il mentore è in grado di dimostrare forza, abilità e astuzia insospettabili.

Un mentore però è qualcosa di più di un semplice insegnante. Nella saga di Harry Potter, ci sono molti insegnanti e molti studenti; tuttavia il rapporto che lega Albus Silente al protagonista è diverso da tutti gli altri. Un mentore spesso arriva ad affezionarsi al suo pupillo, e viceversa, arrivando quasi a instaurare un legame di tipo padre-figlio (o nonno-nipote, in caso la differenza di età sia significativa). E questo renderà ancora più difficile la separazione che inevitabilmente dovrà accadere.

Nessuno resta per sempre un apprendista. A un certo punto del viaggio, infatti, il protagonista dovrà iniziare a camminare con le sue gambe. È raro che il mentore abbandoni il campo quando sente di aver compiuto il suo dovere e di non avere altro da insegnare, come accade a Mary Poppins nei libri e nel film omonimo. Più comune è che sia il discepolo a lasciare il mentore nel suo eremo o dovunque sia di casa per andare a compiere una missione; ma ancora più spesso, la separazione avviene con la morte del mentore, un evento traumatico che spingerà anche il più riluttante degli eroi a realizzare il suo destino. In Star Wars convivono entrambi i tipi di separazioni: Luke Skywalker lascia il Maestro Yoda dopo il suo apprendistato, ma il suo primo insegnante nelle vie dei Jedi, Obi-Wan Kenobi, viene ucciso dall'antagonista di fronte ai suoi occhi. Ma quello di Guerre stellati non è l'unico esempio di doppio mentore. In Il Re Leone, il padre Mufasa è il primo mentore di Simba, e al pari di Obi-Wan la separazione avviene al momento del suo assassinio da parte dell'antagonista. Ma qui la reazione è opposta a quella consueta. In seguito, è il babbuino Rafiki a riportare Simba sulla retta via, con i suoi modi di fare a metà tra saggezza e follia.

Un mentore non sempre è ben disposto e felice di prendersi in carico un allievo. Alcuni, come il satiro Filottete nella versione Disney di Hercules, hanno rinunciato del tutto all'idea di insegnare o addestrare nuovi eroi a causa dei passati insuccessi. Altri non credono nel potenziale dell'aspirante allievo, ed è ciò che accade al maestro Shifu in Kung Fu Panda. E altri ancora, come il dottor Gregory House del telefilm Dr. House - Medical Division, semplicemente non hanno alcuna intenzione di fare da mentore a qualcuno, ma il compito gli viene comunque imposto.

È il caso di ricordare, infine, che a volte un mentore può assumere una... forma particolare. Non sempre il mentore è un vecchio saggio o un combattente che si è ritirato: Alice nel Paese delle Meraviglie apprende alcune delle "regole" del mondo in cui si trova dal Brucaliffo e dallo Stregatto; quanto a Luna e Artemis, mentori delle guerriere Sailor in Sailor Moon, sono due gatti parlanti. E così accade in altri anime del genere, in cui spesso a fare da mentore è una coppia di folletti o una piccola creatura dall'aspetto inoffensivo.


I mentori sono tanti quanti sono i loro apprendisti, perciò qui mi fermo. Resta, come al solito, il doppio esercizio.

Se sei uno scrittore, cerca esempi di mentori nelle tue storie. Trovane uno, e scrivi un brano sul momento dell'addio tra mentore e allievo. A te scegliere se si tratta di un allontanamento volontario, o se la separazione avviene alla morte del mentore.

Se sei un lettore (o uno spettatore), ripensa alle storie che hai seguito di recente o a quelle che ti piacciono di più o che ricordi meglio: in quali casi hanno un personaggio che ricopre il ruolo di mentore? Scrivimi pure nei commenti quelli che ti vengono in mente.

sabato 20 aprile 2019

Blandire

Trovo molto interessante questo verbo, che unisce il senso di lenire a un altro significato legato al potere delle parole.

Blandire [blan-dì-re] v.tr. (blandisco, blandisci ecc.) [sogg-v-arg] 1. Lusingare, adulare qualcuno o qualcosa, con modi e parole carezzevoli. 2. Rendere meno acuta una sensazione dolorosa, lenire, mitigare.

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Per rappresentare entrambi i significati della parola, sapevo di avere bisogno di una situazione più calma, di dialogo, e poi di una... un po' più agitata, se non addirittura violenta. E avevo questa immagine in mente, di una donna che placa un uomo. La guaritrice in catene e il suo... "paziente" sarebbero stati una scelta fin troppo ovvia. Sono contenta di aver optato, alla fine, per Julian e la sua compagnia di Erranti.


Ero abituata a tenere a bada il suo carattere irruento. Usavo la voce come un canto, come avrebbe fatto una sirena. Lente e pacate e ragionevoli, le mie parole scioglievano la rabbia che lo prendeva soprattutto di notte, nelle ore più buie, quando i demoni uscivano dalle loro tane.
Non mi aveva mai raccontato quanti anni fosse stato loro prigioniero, e io rispettavo il suo silenzio. D'altra parte, mi ripetevo guardando il mio pugnale fatto di carne e ossa, avevo conosciuto anch'io il dolore.
Ma blandire l'uomo era un conto. Blandire la bestia era tutt'altra storia.
Fu al secondo mese da quando lo avevamo liberato che notammo che le sue sparizioni coincidevano con la luna piena. Sua madre era una zingara, e secondo Lonas non era raro che gli uomini lupo si aggregassero alle carovane. Rendeva meno facile individuarli se si spostavano di continuo.
Così, alla terza luna piena, presi con me Jossintaur e Nyx per seguire le sue tracce. Mi ero aspettata di trovare un lupo, magari un grosso lupo; ma quello che raggiungemmo era qualcosa di diverso.
Era una creatura mostruosa, bipede, dalle fattezze solo vagamente simili a quelle di un lupo. Un muso allungato e ferino, zanne, artigli, e pelo.
– Joss! Nyx! State indietro! – raccomandai agli altri. Avanzai e lo chiamai per nome. Non ero sicura che mi capisse, tantomeno che mi riconoscesse.
Quando la bestia caricò ero troppo vicina per schivarla. Mi gettò a terra e mi piantò gli artigli nella spalla. Inarcai la testa all'indietro e strinsi i denti per il dolore che mi strappò un grido spezzato. Ma intanto, con la mano destra già sfoderavo Ossasangue. La bestia era distratta ad annusarmi. Gli conficcai il pugnale nel fianco.
Subito una sferzata di energia blandì il mio dolore. Tenni stretta l'elsa del pugnale e all'inizio fu difficile perché la bestia si agitava, mi sollevava e mi sbatteva a terra. Ma mentre la creatura si indeboliva, io diventavo più forte, e ben presto fui in grado di tenerla giù mentre Jossintaur e Nyx la legavano.

giovedì 18 aprile 2019

Personaggio: Dhamantin, il Giunco d'Argento

Non volevo scrivere di due esempi di Male assoluto che si assomigliassero troppo, così ho scelto piuttosto un personaggio che ne ha le intenzioni, l'indole, ma non ancora il potere. Insomma, più un Tom Riddle che un Lord Voldemort, un male assoluto ancora in divenire. Una menzione speciale va agli antagonisti di questa categoria che non ho utilizzato: i falsi dei di Night Shamyan, l'Oscurità avversaria del Fuoco nella storia di Vesta, e quello che io chiamo "il Terrore", di cui avrei scritto se non fosse troppo a rischio spoiler per la storia a cui appartiene. E ora il vincitore, il protagonista di oggi.

Immagine creata con Mega Fantasy Avatar Creator di Rinmaru Games


Dhamantin è uno dei giocatori più sadici e privi di scrupoli nell'universo di Duel. Ha un particolare talento per capire ciò che più irrita chi ha di fronte, o la cosa che i suoi avversari temono di più, e prova un piacere perverso nel metterla in pratica. Non ha remore nel piegare le regole del gioco a suo vantaggio, o nell'eliminare davvero, nella vita reale, altri giocatori. Ma questo non basta a renderlo un esponente del male assoluto.
Che cosa lo avvicina ad altri antagonisti del genere? Innanzitutto, il potere, di gran lunga superiore a quello degli "eroi" che lo combattono. Pur essendo umano infatti, Dhamantin appartiene a una ristretta cerchia di giocatori con un talento particolare che si trasmette all'interno della famiglia: quello di poter partecipare al gioco senza bisogno di usare la tecnologia che durante il duello isola dal mondo esterno i giocatori e li trasfigura nei propri personaggi. Quindi, già in partenza è "un po' più che umano", sebbene non sia l'unico. Oltre a ciò, quando compare nella storia Dhamantin è pericolosamente vicino a vincere il gioco, e quindi a ottenere il premio che gli consentirebbe di allargare il suo potere non solo all'area di gioco e ai due personaggi impegnati nel duello, ma a tutta la terra e a tutti gli esseri umani. Il potere di cambiare qualunque dettaglio in qualunque zona del mondo, unito alla sua inclinazione a dare alle persone esattamente quello che non vogliono, è sufficiente a collocarlo alla pari con i più classici malvagi per eccellenza.
Ultimi due particolari. Sebbene, essendo un essere umano, è chiaro che deve avere un nome al di là di quello che usa per il suo personaggio nel gioco, probabilmente questo non verrà mai scoperto dagli altri personaggi, facendo di lui una specie di innominato privo di una reale identità. E infine, trovo curioso che la sua arma nel gioco sia una spada (diversa da quella che uso nell'immagine, ne ho scritto una descrizione abbastanza precisa e non è facile trovarla simile a come l'ho ideata). Curioso, perché solitamente è proprio l'arma prediletta dalla nemesi del male, ovvero l'eroe buono.


Questi i brani già scritti in cui compare Dhamantin:
Dhamantin vs Tenkaya


L'esercizio richiede di scrivere il momento in cui un personaggio entra in contatto con il male assoluto, di persona o scoprendone l'esistenza attraverso il racconto di qualcun altro. Il primo duello in cui compare Dhamantin nella storia in cui fa da antagonista l'ho già scritto, ma è un brano lungo e dà per scontate alcune delle meccaniche del gioco già spiegate in precedenza... perciò ho optato per una versione riassunta e indiretta, che precede di qualche giorno il brano qui sopra.


Sellit e Alex parlavano fitto fitto in inglese, senza nemmeno allontanarsi dalla sedia su cui stavo piegata a riprendere fiato. Tipico degli americani, pensai, credere che il resto del mondo non li capisse. Io capivo, invece. Non tutto, ma qualcosa capivo. Sì, insomma: riconoscevo qualche parola, e da quelle univo i puntini, mezzo deducendo e mezzo immaginando i collegamenti che mi mancavano.
Ma quando venne fuori quel nome, quello lo riconobbi senza alcun dubbio. Dhamantin.
Strinsi i denti e cinsi lo stomaco con le braccia, con il dolore che riaffiorava nella memoria e filtrava attraverso i lividi che quel bastardo mi aveva lasciato.
Alex stava dicendo qualcosa tipo "individuo disgustoso" quando mi gettò un'occhiata e smise di parlare. Sellit, pure, si girò a guardarmi.
Agitai una mano. – Andate avanti, io sto bene – assicurai loro, volgendo le spalle ai due per quanto me lo consentisse la lunga fila di sedie della sala d'attesa.
Quella che avevo appena pronunciato era una bugia così palese, che era scontato che nessuno dei due mi avrebbe dato retta.
– Shariza. – Alex si sedette sui talloni e rimase lì a fissarmi. Apprezzai che avesse usato il mio nome nel gioco, che avesse scelto di non rivelare la mia identità a Sellit nemmeno in quella che, da quanto avevo capito, era una situazione d'emergenza. – Shariza, per favore, ora devi proprio dirmelo. Con chi hai combattuto prima di venire qui?
Sentii le mie labbra tremare mentre cercavo di trattenere quel nome. Ma dopo qualche istante che mi parve infinito, mi udii esalare quelle poche lettere, "Dhamantin" con voce roca e flebile, e mi sembrò che fosse stato qualcun altro a parlare. Fino a quel momento non avevo capito quanto mi avesse scosso quell'incontro. O, forse, la causa era di quel poco che credevo di aver capito del discorso di Sellit. E una volta che il silenzio fu rotto, non riuscii a fermarmi.
– Non l'ho visto arrivare – mormorai, alzando lo sguardo verso Sellit. – Non c'era nessuno sulla mappa. Mi è comparso davanti all'improvviso, e... credo che abbia hackerato il suo Simpler. – Non ci avevo pensato prima, ma quella era l'unica spiegazione che avesse senso. – Mi ha trascinato nella distorsione, e non avrebbe dovuto... eravamo troppo vicini. – Vidi Alex e Sellit scambiarsi uno sguardo. Mi venne in mente che forse Sellit, che vendeva elementi del gioco sottobanco, sapeva anche come alterare un Simpler in modo da non essere scoperto. Ma nessuno dei due parlò, perciò ripresi a riempire il silenzio. – Sapeva che avevo fretta. Già prima del duello, lo sapeva. Ha fatto quella cosa stupida, del non lasciarmi passare, e dopo... avrebbe potuto finirmi in un attimo. Come hai fatto tu. – Ricambiai lo sguardo di Alex, quindi distolsi gli occhi. – Invece ha continuato a... girare, e parlare, e ferirmi. Ferirmi soltanto, senza uccidermi. Non ha mai mirato a un punto vitale, mai.
Mentre raccontavo loro di quel duello orribile riaffiorarono tutte, una dopo l'altra, le ferite e le botte che ancora bruciavano nella mia memoria. Le staffilate alla schiena e alla spalla sinistra con il lato piatto della lama. La ferita superficiale che mi aveva intorpidito un avambraccio. Il taglio sulla coscia, e il colpo in testa con i petali argentati e taglienti che ricoprivano l'elsa. Il punto preciso della spalla destra in cui la sua lama mi aveva trafitto da parte a parte, e infine il solco nel mio addome che Dhamantin aveva ripassato più volte, con sadico piacere, quando ormai non ero più in grado di combattere. Ma anche allora, non abbastanza a fondo da finirmi.
– E mi ha lasciato lì a dissanguarmi, capite, finché non sono... finché non sono uscita dalla distorsione. – Avevo raccontato tutto. Tutto, tranne quel bacio che mi aveva imposto mentre non potevo reagire. Di quello mi vergognavo troppo.
Sellit e Alex tacevano. Alzai gli occhi e ne approfittai per chiedergli se quello che credevo di aver capito era vero. – Lui... lui lo ha fatto sul serio? Fuori dalla distorsione, intendo. Uccidere.
Sussurrai l'ultima parola con un filo di voce. Alex rivolse un'occhiata a Sellit, che annuì.
– Non possiamo più permetterci di fare gli schizzinosi e di rispettare le regole. Non deve cadere nelle sue mani. – Annunciò Sellit. – Quell'individuo va fermato. Il prima possibile. A qualunque costo.

lunedì 15 aprile 2019

Personaggio: La polvere gialla

Pensavo di avere pochissimi antagonisti che potessero ricadere sotto la definizione di Male assoluto, perché tendo a scrivere storie che riguardano i rapporti tra le persone più che epiche battaglie tra bene e male, e anche quando si arriva a uno scontro tra un eroe e un cattivo, quest'ultimo ha i suoi motivi, seppure non condivisibili, per fare ciò che fa. Insomma, sono più tipo da moralità grigia e relativa, più che da bianco e nero e assoluti. Eppure, mentre sfogliavo le storie già scritte per questo blog, mi sono imbattuta in più di un antagonista che ha le caratteristiche che ho descritto lunedì.

Immagine creata con Mega Fantasy Avatar Creator di Rinmaru Games


Ho scritto per la prima volta della polvere gialla in un racconto ispirato da un sogno: nel sogno, la storia era narrata sotto forma di un fumetto inquietante e spaventoso, del tipo che non avrebbe sfigurato in un albo di Dylan Dog. Non avevo programmato di espandere quel primo racconto, che corrisponde al primo brano qui sotto; ma ora, ogni volta che aggiungo un brano alla sua storia, scopro qualcosa di nuovo sulla polvere gialla e su Dora Sanchez, la donna che era una volta... o almeno, così credevo.
La polvere gialla è a pieno titolo un esponente del male assoluto, perché anche se sfrutta le memorie e l'aspetto di una donna umana, non lo è mai stata davvero. È una forma di vita antica, senza nome, il cui unico scopo è quello di diffondersi, parassitare e trasformare altre creature, con il risultato, se non contenuta, di ricoprire e distruggere tutto il mondo. Non esita a uccidere chi le si oppone e pare avere imparato dal suo primo fallimento: nei successivi racconti agisce in modo più subdolo, meno plateale rispetto al contagio di gruppo subito scoperto e fermato nella storia originale. Sembra avere una predilezione per la figlia di Dora, Nina, che protegge per farne la sua inconsapevole emissaria.
Ci sono ancora molte cose che non so della polvere gialla, come ad esempio: che fine hanno fatto le persone che spariscono, secondo le voci, a causa sua? Suppongo che per scoprirlo dovrò continuare a scrivere.


Questi i brani già scritti in cui compare la polvere gialla:
La vendetta di Dora
Nina e la polvere gialla
Doni per Nina


L'esercizio richiede di scrivere il momento in cui un personaggio entra in contatto con il male assoluto, di persona o scoprendone l'esistenza attraverso il racconto di qualcun altro. Dato che ho già scritto di quando Nina vede per la prima volta la polvere gialla nel secondo tra i brani raccolti sopra, ho pensato di completare l'opera saltando a quando le viene rivelata la verità sulla polvere gialla.


 – Mamma?
Nina rimase impietrita, a fissare l'immagine di una donna che si librava in aria come un fantasma. E doveva esserlo, perché la donna aveva il volto di sua madre, quello che Nina vedeva quando chiudeva gli occhi. Solo che, nei suoi ricordi, l'immagine di sua madre non era composta di turbinii di polvere gialla, che si scomponevano e ricomponevano nell'afflato del vento, dando alla donna sospesa un aspetto appena più solido di una nuvola di fumo.
 – Mamma... sei proprio tu?
Nina batté le palpebre, poi, esitante, tese una mano. Dicevano che la polvere gialla era malvagia, che uccideva le persone, ma in quel momento si chiese: "mi ha mai davvero fatto del male?"
Alle sue spalle, una macchina si fermò con una brusca frenata, e lo sportello dalla parte del guidatore si aprì.
– Nina! – urlò una voce maschile, e quando Nina si girò, lo riconobbe. Quell'uomo era in una delle foto che Nina aveva consumato a furia di sfogliare, di accarezzare. Non conosceva il suo nome, ma sapeva che era uno dei colleghi di sua madre.
– Nina, sali in macchina, svelta! Non toccarla, quella non è Dora, sali in macchina! – la esortò ancora l'uomo, invitandola con ampi gesti, proteso sul sedile del passeggero.
Nina fece un passo verso l'auto. Qualcosa in quell'uomo le ispirava fiducia. Forse era il fatto di aver visto così tante volte il suo volto scarno, i suoi baffi e i corti capelli neri, da non poterlo più definire un estraneo. E quando Nina sbirciò di nuovo la forma di sua madre disegnata dalla polvere gialla, e la vide deformata da un'espressione rabbiosa, con spirali di granuli che si radunavano attorno alle dita, pronte a partire come dardi verso di lei, la decisione fu presa.
Nina salì in auto. Lei e l'uomo si lasciarono alle spalle la polvere gialla.
– Che cos'è? – chiese Nina, stringendo la cintura con il cuore in gola. Quell'uomo andava un po' troppo veloce per i suoi gusti. – Hai detto che non è mia madre. Allora che cos'è?
L'uomo sbirciò nello specchietto retrovisore prima di rispondere: – Un fungo.
Nina gli rivolse un'occhiata scettica. – Non sembra un...
– Sono le spore – specificò l'uomo. – Non tutti i funghi somigliano a quelle buffe cose col gambo e col cappello che si mangiano con il pollo o con lo stufato o nel risotto. Esistono anche i lieviti. Le muffe. I...
– Non sono una bambina – sbottò Nina, interrompendolo a sua volta. – Ma non si è mai sentito di un fungo che si comporta così...come una persona, vero? Insomma, sembrava vivo...
L'uomo ridacchiò mentre svoltava a sinistra. Nina faticava a riconoscere le case e la strada. Si stavano allontanando dal quartiere spagnolo. – Ma i funghi sono vivi. E questo... dunque, come posso spiegarti? – L'uomo si strofinò il mento. – Conoscevamo già qualcosa di simile. Un fungo che infesta una specie di ragno, per esempio, la cui influenza è così pervasiva che non si limita a parassitarne il corpo, ma ne modifica persino il comportamento. Lo cambia a suo favore. Alla fine, il ragno cessa di esistere e di fare tutte le sue cose da ragno, sai, e diventa il fungo.
– È spaventoso. –  mormorò Nina, rattrappita sul sedile dell'auto.
– Oh, sì, lo è. – L'uomo annuì, con l'aria stranamente soddisfatta. – E questa specie, sai, l'abbiamo trovata sigillata in una grotta, molto in profondità. In un sito archeologico, roba dell'età della pietra, perciò dev'essere molto antica. Questa specie è ancora più brava a imitare il comportamento di un individuo comune, a interagire con gli altri, trovare le condizioni favorevoli a diffondersi... lo stavamo testando con i ratti, quando è successa quella brutta faccenda nel tuo quartiere. Povera Dora. Quando lo abbiamo saputo abbiamo bruciato tutto, compattato ogni resto, persino il fumo, e lo abbiamo trattato come si fa con le scorie nucleari. Non una singola spora doveva uscire dal laboratorio. Ma nel tuo quartiere... mi chiedo chi sia l'idiota che ha pensato che un semplice incendio potesse risolvere ogni cosa.
Nina si strinse nelle braccia e guardò fuori dal finestrino. Chiuse gli occhi e vide di nuovo quel volto, il volto di sua madre, ma ricoperto dalla polvere gialla. Spalancò gli occhi di scatto con un gemito.
– Ma... ma se non è mia madre, perché assomigliava a lei? Perché continua a venire da me, perché sembra che mi voglia aiutare?
– Non ne siamo certi – mormorò l'uomo. – Ma pensiamo che il fungo avesse già assimilato la forma e almeno parte della memoria del suo primo ospite umano, quando è stato disperso dal fuoco. Ora è in cerca di un altro ospite per continuare a diffondersi, e la prima a cui Dora penserebbe...
– ...sono io. – concluse Nina. Sciolse le braccia e si torse le mani, appoggiate sulle gambe.
– È per questo che ti cercavo, perché se riusciamo a tenerti al sicuro, forse riusciamo a rallentarlo mentre cerchiamo una soluzione definitiva. – L'uomo distolse gli occhi dalla strada per sbirciare Nina. Emise un mugolio strozzato, poi imprecò. – Oh mio Dio, Cristo santo, sei già contaminata!
Nina abbassò lo sguardo alle mani. Uno sbuffo di polvere gialla le disegnava un'ondina sul dorso della destra.
L'uomo continuò a imprecare, a voce sempre più alta, mentre eseguiva una brusca inversione a U. – Perché non l'hai detto subito, Cristo, non ti posso portare in giro, è proprio quello che vuole quella cosa! Devo riportarti indietro, devo chiuderti in una stanza, non devi vedere nessuno, nessuno, hai capito?
Nina scosse la mano e la polvere gialla si librò nell'aria. Le sembrò strano, ma non provava nessuna paura mentre la polvere gialla turbinava nell'abitacolo dell'auto, sempre più densa. L'uomo strillava ormai, urlava di non aprire i finestrini, pregava, implorava. Nina vide la polvere gialla addensarsi in un volto e in un paio di braccia dietro il poggiatesta del guidatore. Il fantasma di Dora sorrise a Nina, pose un indice davanti alle labbra per intimarle il silenzio, allungò in avanti le braccia e con una secca torsione spezzò il collo dell'uomo.
Nina urlò e si protesse il volto con le braccia mentre l'auto andava a sbattere contro un lampione.

sabato 13 aprile 2019

Adamantino

Ecco una parola in apparenza semplice, che però racchiude in sé tanti significati quante sono le caratteristiche rimarchevoli della pietra a cui si riferisce. Come ricominciare dalla lettera A in modo più brillante di così, non lo so proprio.

Adamantino [a-da-man-tì-no] agg. 1. Proprio del diamante o ad esso simile, nitido, anche in senso figurato. 2. fig. Che non ha cedimenti morali.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Non conoscevo il secondo significato, che mi ha subito affascinato. Così ho cominciato a riflettere sul personaggio di un "cavaliere adamantino" che poteva non essere quel che sembrava... e il resto, è diventato il brano che segue.


Guardai giù dalla scogliera. Sotto di me, onde fameliche ruggivano la loro frustrazione, turbinando e aggredendo la roccia. Non avevo paura di morire.
Avevo paura di perdere tutta la bellezza che vedevo nel mondo. Il cielo adamantino di quel freddo novembre, stranamente limpido dopo tutta la pioggia del mese scorso. Il tronco ritorto di un ulivo antico, che vegliava da quassù da chissà quanti decenni, saggio e solitario. Il mio ventre dalla pelle tesa sotto gli abiti, che a ogni luna si faceva un po' più gonfio, e il tesoro che sentivo muoversi appena dentro di me.
Una mano d'uomo mi afferrò per il polso e io trasalii, ma quando mi voltai vidi lui, e lessi la preoccupazione nei suoi occhi. Gli sorrisi, mentre con l'altra mano gli sfioravo le dita per fargli sciogliere la presa.
– Non ti fidi di me? – gli chiesi, ricambiando il suo sguardo. – Non mi darò in sposa al mare, se è questo che temi. Stavo solo guardando.
Lui mi abbracciò. – Mi hai spaventato. Non ti ho vista in casa, e... e...
Non riuscì a proseguire, ma sapevamo entrambi quello che pensava. Che gli inquisitori fossero venuti a prendermi.
Lo baciai. Lui era l'uomo che avevo salvato solo per dannarlo ancora. L'uomo di Dio che avevo corrotto con la mia stregoneria. Così lo avrebbero visto gli altri, quelli che un tempo aveva chiamato fratelli.
Ma non m'importava di come lo avrebbero giudicato. Per me, lui sarebbe rimasto per sempre il mio cavaliere adamantino.

giovedì 11 aprile 2019

Vietato scrivere sogni?

È capitato di nuovo. Qualche giorno fa, in un commento a un brano che qualcuno aveva condiviso su un social network, ho letto una replica in cui si consigliava di non inserire sogni in un romanzo, aggiungendo che è irritante leggere una scena che non è mai avvenuta e che probabilmente non servirà a niente nella storia. Quel commento mi ha dato di che riflettere. Ho pensato: davvero un sogno non serve a niente, per il semplice fatto di essere avvenuto solo nella mente di un personaggio, invece che nella realtà condivisa con tutti gli altri? Cosa dire allora dei pensieri, dell'immaginazione, delle emozioni? Se un personaggio dovesse prefigurarsi uno scenario catastrofico a causa della sua paura che avvenga qualcosa di brutto, e se poi ciò che ha tanto temuto non dovesse avvenire, il brano in cui viene descritta la sua previsione immaginaria dovrebbe essere eliminato dalla storia al pari dei sogni? E perché non togliere allora per intero il mondo interiore del personaggio che fa da punto di vista, o di qualunque altro personaggio a questo punto, e lasciare solo ciò che si può vedere e toccare, ciò che è "reale": ambiente, azioni, dialogo?

Lo so, sembra un'esagerazione. Ma questa è la conseguenza del tagliare l'universo onirico dalla scrittura soltanto perché non appartiene a una realtà esteriore, dimenticando che appartiene a un altro tipo di realtà: quella della psiche. Quella dell'inconscio. E non è vero che non ha alcuna conseguenza sulla realtà esteriore. Un sogno può riportare a galla ricordi che pensavamo perduti, offrire una prospettiva su un problema che ci tormenta, fornire un'idea innovativa, instillare una paura, rivelare un sentimento che avevamo negato. E tutto ciò poi può avere come conseguenza delle azioni. Basta pensare a quanti artisti e quanti scienziati devono le loro opere o le loro scoperte a un sogno.

Eppure questa regoletta, questo divieto di scrivere sogni, viene ancora pedissequamente ripetuto da qualcuno ogni volta che l'argomento si ripresenta. E ho la sensazione che sia una di quelle "leggi" della scrittura imparate a memoria, come la famosa "mostra, non raccontare" che vengono spesso prese alla lettera senza guardare il quadro generale. Senza chiedersi come mai il sogno in scrittura sia tanto ostracizzato. Non è "perché non serve a niente" che mi sento di sconsigliare di inserirlo in un romanzo; piuttosto, è "quando non serve a niente". Quando il personaggio si sveglia e va avanti con la sua vita come se nulla fosse avvenuto, e mai, nemmeno a distanza di pagine, il tema del sogno viene ripreso o ha conseguenze sulla vita o nei pensieri del personaggio. Quando non rivela nulla di nuovo, né aiuta il lettore a comprendere lati della psicologia del sognatore che fino a quel paragrafo erano rimasti celati. Ma questo può dirsi di qualunque avvenimento all'interno del romanzo, reale o meno. Se un evento resta scollegato dagli altri, se potrebbe benissimo essere eliminato senza alterare il resto della storia o la percezione che ha il lettore riguardo alle motivazioni e alle caratteristiche dei personaggi, e se non ha alcuna altra funzione, come per esempio quella di alleggerire il tono dopo una sequenza fin troppo cupa... be', in questo caso sì che c'è da chiedersi se è davvero necessario lasciarlo dov'è. Anche se ciò che descrive è "avvenuto realmente".

In fondo, se i sogni non devono essere inclusi in una storia, film come Inception e libri come Alice nel Paese delle Meraviglie nemmeno dovrebbero esistere. Io non me la sento di eliminarli in nome di una regoletta venuta da chissà dove, e tu?

Piuttosto, quello che mi fa storcere il naso nelle sequenze dei sogni che mi è capitato di leggere, è che spesso sono fin troppo logici e lineari. Il sogno scritto tende a presentare una scena che si svolge normalmente, istante per istante, proprio come accadrebbe nei momenti di veglia. Spesso, la sola differenza è che il personaggio sognante, o altri con cui interagisce nel sogno, compie un'azione che non farebbe mai, perché contraria alla sua morale o semplicemente insolita. Ma nel sogno ha la stessa età che ha da sveglio, conosce ed è amico delle stesse persone, frequenta gli stessi luoghi. Tutto ciò che avviene è fisicamente possibile, senza incongruenze all'interno del brano. La scena del sogno risulta così quasi indistinguibile da una ambientata nella realtà dei personaggi, tanto che spesso chi ha condiviso il brano è costretto a specificarlo: "questo è il sogno di Tizio".

Ma i sogni, quelli veri, non funzionano così. Nei sogni può capitare di tornare di nuovo bambini, frequentare la scuola, rivedere persone morte, o con un salto temporale in avanti, ritrovarci fra una decina d'anni, magari sposati e con figli. Nei sogni, un amico può avere il volto di uno sconosciuto, sparire all'improvviso o cambiare di ruolo, diventando ad esempio un fratello o il padre; la nostra casa avere stanze diverse, o trovarsi in un'altra città pur essendo la stessa. Può capitare di ripetere la medesima azione ancora e ancora e ancora senza ottenere alcun risultato, o saltare un evento ma ricordare di averlo vissuto. Può capitare di saper fare cose che nella realtà non abbiamo mai imparato, o essere totalmente incapaci di compiere azioni che da svegli facciamo quotidianamente. E possiamo fare cose impossibili come volare, cadere in un abisso e non farci male, morire e tornare in vita o diventare fantasmi, respirare sott'acqua o nello spazio, incontrare i personaggi di un film o di un libro, quando non addirittura entrare nel loro un mondo immaginario. E a meno di non considerare l'eventualità di un sogno lucido, in cui ci si rende conto di stare sognando, tutto ciò che avviene ci appare pienamente plausibile e reale, nulla ci stupisce.

Perché non mi capita quasi mai di leggere i personaggi alle prese con sogni del genere? Perché nessuno considera che la fase rem, quella in cui si sogna, è la fase meno profonda tra quelle del sonno, e che qualunque stimolo della realtà, che sia una voce, il suono della sveglia, la sensazione di freddo o la luce del mattino che filtra attraverso le palpebre può entrare a far parte dell'esperienza onirica, per ritardare il risveglio e la sua inevitabile fine?

Io non ritengo che sia vietato scrivere sogni. Non mi provoca alcun fastidio sapere che gli eventi descritti non sono mai davvero avvenuti. Ma se scegli di includerli in un romanzo o in un racconto, mi sento di darti solo due consigli. Fa' in modo che siano rilevanti, se non fondamentali, per lo svolgersi della storia. E, soprattutto, scrivili bene, scrivili come sogni, con tutte le loro incongruenze e i loro nonsense, e non come un altro tipo di avvenimento che ha l'unica particolarità di "non essere mai avvenuto".

lunedì 8 aprile 2019

Il male assoluto

Nelle scorse settimane ho scritto a proposito del Prescelto e dell'eroe buono che in molte storie assumono il ruolo del protagonista. Oggi passo dall'altro lato. Analizzerò la loro controparte naturale, quella che, specialmente nelle vicende con una moralità di tipo bianco o nero priva di sfumature, assume una forma di:

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Il male assoluto è l'antagonista per eccellenza. Con il male assoluto non si può ragionare, non lo si può convincere, non lo si può comprendere. Si tratta semplicemente di una forza (quasi) inarrestabile, senza volto e senza forma: ad esempio, il Nulla che annienta tutto ciò che tocca in La storia infinita, o la morte che perseguita in modi sempre più bizzarri e cruenti i sopravvissuti dei vari Final Destination. Se una volta aveva un corpo e un'identità come Sauron nel Signore degli Anelli, il male assoluto li ha perduti, senza per questo diventare meno potente. E nel caso in cui poi dovesse recuperare almeno in parte la sua vecchia forma, questa sarebbe distorta e orribile da vedere, a dimostrazione di quanto poco di umano sia rimasto in colui o colei che la indossa. Basti pensare a Voldemort della saga di Harry Potter, che illustra anche come il male assoluto sia talmente spaventoso da non poter essere nominato, almeno per coloro che non sono l'eroe di turno.

Talvolta il male assoluto è così antico e misterioso da non avere nome. Accade a It, nel romanzo omonimo di Stephen King, e al Male Primordiale nel telefilm Buffy l'ammazzavampiri, che condividono anche un'altra caratteristica: in entrambi i casi, la loro vera forma è così spaventosa da risultare incomprensibile per la mente umana, e per essere percepiti assumono la forma di ciò che fa paura a chi li guarda, come un pagliaccio o un ragno mostruoso, oppure di una persona morta. Ma non sempre il male assoluto si cura di mascherarsi: e così, di fronte alla mostruosità di Cthulhu e degli altri Grandi Antichi dei romanzi di H. P. Lovecraft, gli esseri umani finiscono con l'impazzire o col morire.

Ma se il male assoluto è privo di una forma fisica, o non può essere percepito direttamente, come può influenzare la vita dei comuni mortali che abitano la stessa storia? Come nel caso dei già citati Voldemort e Sauron, o come accade con il lato oscuro della Forza nell'universo di Star Wars, il male assoluto può contare sui suoi prescelti, che siano Mangiamorte, Nazgûl o Sith, e su un vasto esercito, spesso composto da un'intera razza dedita al male, o creata appositamente per quello scopo. Orchi, troll e goblin possono ricoprire questo ruolo nei racconti fantasy, mentre quando si tratta di fantascienza, il classico è quello degli invasori alieni, specie quando la razza in questione è percepita come priva di coscienza o di pietà. Di questo tipo voglio ricordare solo due tra gli esempi più famosi del genere, Indipendence Day e La guerra dei mondi, anche se in realtà in quasi tutte le storie che narrano di alieni che invadono la terra questi vengono trattati come il male assoluto. Il che rende l'idea di come, in effetti, l'dea di male assoluto può almeno in parte dipendere dal punto di vista attraverso cui viene narrata la storia.

Resta da capire qual è l'obiettivo del male assoluto nelle storie in cui è presente. Come è ben esemplificato dall'entità Tenebra nel film Legend, il male assoluto cerca di estendere il suo dominio su tutta la terra (o le terre, o la galassia, o l'universo), distruggere il suo opposto, ovvero la luce e il bene, e sopravvivere fagocitando o plasmando tutto ciò che esiste a sua immagine e somiglianza. Conquistare, distruggere, diffondere il male: gli stessi fini dichiarati, in troppe storie per poter essere nominate, quando entrano in scena i demoni o il Diavolo in persona, che nella nostra cultura rappresentano la quintessenza del male assoluto.


Il male assoluto appare come antagonista di così tante storie che è impossibile nominarle tutte. Qui mi fermo e ti lascio, come al solito, con il doppio esercizio.

Se sei uno scrittore, cerca esempi del male assoluto nelle tue storie. Trovane uno, e scrivi un brano sulla prima volta in cui un personaggio entra in contatto con esso, che sia attraverso le parole di qualcuno che ne è a conoscenza, o quando è costretto ad affrontare un suo emissario, oppure direttamente al cospetto dell'entità malefica in tutto il suo orrore.

Se sei un lettore (o uno spettatore), ripensa alle storie che hai seguito di recente o a quelle che ti piacciono di più o che ricordi meglio: in quali casi hanno per antagonista il male assoluto? Scrivimi pure nei commenti quelli che ti vengono in mente.

sabato 6 aprile 2019

Zacchera

Forse sarà più noto il verbo "inzaccherare" e il suo participio "inzaccherato", grazie ai quali si può arrivare senza sforzo a indovinare il senso della parola di oggi.

Zacchera [zàc-che-ra] s.f. Residuo di fango che rimane sotto la suola delle scarpe o schizzo che si attacca al fondo degli abiti.

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Abiti e scarpe sporchi di fango possono voler dire qualunque cosa, da una partita a calcio in un giorno di pioggia, all'essere scivolati durante una passeggiata su una strada sterrata, a qualcosa di più strano e oscuro... Mentre riflettevo sul contenuto del brano, sono stata a lungo indecisa se dargli tinte horror, o un'atmosfera più leggera. Alla fine ho mescolato un po' di mistero e un po' di comicità.


Avevo le scarpe e l'orlo della gonna imbrattati da zacchere brunastre, eppure non ricordavo di essere uscita di casa. Sollevai la mano sinistra. L'anello al mio dito brillava di riflessi oscuri.
Samasa.
Samasa lo aveva fatto di nuovo: aveva lasciato a casa l'anello. Se non voleva che io ricordassi, allora doveva aveva usato il suo tempo per chissà quale azione nefanda e riprovevole. L'unico modo per sapere che cosa aveva in mente era far confessare il suo complice.
– Morisse! – chiamai, quasi urlando, mentre mi toglievo le scarpe. Attesi, ma il mio pestifero inquilino non si presentò. Come immaginavo. Aveva anche lui qualcosa da nascondere.
Vagai per la casa a piedi nudi, cercando in ogni anfratto: sotto al letto, dietro le porte, tra il divano e il tavolino. Niente, di lui non c'era traccia, neanche una piccola impronta sul tappeto.
Se era stato in giro con Samasa, si era ripulito per bene.
Alla fine lo trovai sul bancone della cucina, a curiosare tra i barattoli chiusi.
– Eccoti qui, bestiolina scorbutica – mormorai nell'avvicinarmi al gatto nero. – Ora mi dirai tutto, e me lo dirai subito.
Morisse non si voltò nemmeno. Aggrottai la fronte, poi lo afferrai per le zampe e lo trascinai verso di me. – Lo so che puoi parlare. Parla, gatto. Che cosa ha fatto stavolta la tua padrona? – chiesi, accennando alle zacchere sull'orlo della gonna. – Ha seppellito un cadavere? Ha dissotterrato un tesoro? Ha scavato una trappola? Ha coltivato fagioli magici? Cosa, gatto, cosa?
Lo scossi, ma tutto ciò che ottenni fu un miagolio acuto e una zampata sul braccio. Lo mollai e premetti la mano sul graffio che cominciava a bruciare. Crollai su una sedia.
Fissai le zacchere frastagliate, che mi impiastricciavano la gonna come se fossero state la mappa che avrebbe potuto condurmi alla risposta.
La cosa più difficile era non sapere, era l'incertezza che mi tormentava e che m'impediva di ragionare. Samasa si era tolta l'anello. Aveva rotto il nostro patto.
Forse era ora di chiedere aiuto.

giovedì 4 aprile 2019

Personaggio: Jasmen Astorenn

Mi sono resa conto che se ho un eroe disilluso che ha appeso la spada al chiodo, mi basta scavare nel suo passato per ritrovare l'eroe buono che è in lui. Così, finalmente, eccolo... Il primo dei miei ragazzi che fa la sua comparsa in questa sezione del blog dedicata ai personaggi.

Immagine creata con Mega Anime Avatar Creator di Rinmaru Games


Anche se a un certo punto smette di esserlo per assumere un atteggiamento più pragmatico, Jasmen Astorenn in gioventù è un idealista. Nato in una delle famiglie della piccola nobiltà di Penterra, fin da bambino inizia a mettere in discussione la sua posizione privilegiata. E con la mente alimentata dalle storie di grandi eroi e cavalieri del passato, prende parte a modo suo a una crociata contro l'ineguaglianza e le ingiustizie che vede nel mondo... o almeno, nel piccolo stato in cui vive. Sebbene porti una spada, questa è solo un simbolo per Jasmen: la sua arma è la penna, e così nottetempo Jasmen affigge per le vie della città volantini satirici e di denuncia scritti sotto pseudonimo.
Come altri eroi buoni, Jasmen sceglie la parola per le sue lotte, e ricorre alla violenza solo se messo alle strette. Persegue un alto ideale e non si lascia distogliere dall'ambizione. Infatti, una volta raggiunto il suo primo obiettivo di restituire il governo del suo paese nelle mani del popolo, alle prime elezioni libere Jasmen non si rivela come autore dei volantini, e offre invece il suo sostegno e il suo pseudonimo a un candidato che ritiene meritevole. E quando quest'ultimo si dimostra invece un tiranno, Jasmen, interno al governo e uomo di fiducia del nuovo presidente, accetta di operare sotto copertura per un gruppo di ribelli, passando informazioni e aiutandoli a mettere in atto i loro piani.


Questi i brani già scritti in cui compare Jasmen Astorenn.
Jasmen bambino e una cuginetta appiccicosa
Jasmen compone versi per un madrigale
Una rissa durante una festa
Jasmen si prepara per un "duello"
Jasmen e il piano di Helanna
Jasmen scopre il passato di Helanna
I problemi di tenere una mutaforma chiusa in una stanza
Jasmen impara usi e costumi dei mutaforma


L'esercizio richiede di scrivere il momento di dubbio dell'eroe buono, quello in cui i suoi valori sono messi alla prova. Per Jasmen, questo momento arriva quando comincia a mettere in discussione i metodi dei ribelli, e lui stesso deve compiere una scelta tra la sua vita e i suoi ideali. Il brano che segue si pone tra quello del piano di Helanna, e il racconto successivo nella sequenza riportata sopra.


Non sapevo cos'era andato storto. E il mio contatto si rifiutava di fornirmi una spiegazione. Stava sprecando fin troppo tempo a ripetermi che non dovevo chiamarli da dentro il palazzo presidenziale, invece di darmi le risposte che cercavo.
– No, ora ascoltami bene – sibilai, camminando avanti e indietro.
Non sapevo con chi stavo parlando: la linea sicura era protetta da una schermatura di quinto livello, che faceva apparire l'ologramma del mio interlocutore come un sipario di scariche statiche e distorceva la sua voce in un timbro elettrico e cavernoso. Poteva essere Helanna, o uno degli altri, ma non mi importava: ero furioso. – È morta una donna. Per quello che doveva essere un bluff senza conseguenze...
– Un'Eterna – mi corresse il mio contatto. – Avanti, sai come sono dopo il condizionamento. Le vedi tutti i giorni. Era solo un guscio vuoto. Di certo, la ragazza avrebbe preferito la morte a quello.
Strinsi i pugni e fissai la sagoma vaga e sfrigolante di quello che avevo creduto un essere umano. – Non osare. Tu non avevi alcun diritto di prendere questa decisione per lei. Né tu, né io, né altri. E in primo luogo, non si era mai parlato di omicidio...
Mi resi conto di stare alzando la voce. Respirai un paio di volte. I muri erano spessi, ma io preferivo non rischiare. Quella conversazione, in quel luogo, era un azzardo pericoloso, e se qualcuno avesse sentito... se ci avesse sentito un'Eterna...
Mi avvicinai a grandi passi all'ologramma e tornai a sibilare a bassa voce. – Assassinare il presidente. Non erano questi gli accordi, non era questo il piano, e se avessi saputo che intendevate tentare una follia del genere, non avrei mai partecipato alla vostra farsa.
Non ascoltai l'ologramma distorto che si giustificava, perché un pensiero mi colpì all'improvviso. Di sicuro, lei non poteva essere stata d'accordo. Non poteva essere stata al corrente del piano fin dall'inizio, e avermi ingannato senza battere ciglio. – Helanna... Helanna non lo sapeva, vero? Avete usato anche lei, una dei vostri, che razza di bastardi farebbero una cosa del genere?
Non scoprii se Helanna fosse stata loro complice in quel piano. Non in quel momento.
Perché in corridoio, al di là della porta chiusa, risuonò la fanfara presidenziale.
Scossi la testa, e mi chiesi quando fosse diventato così pomposo da volersi far annunciare ovunque, specie quand'era di buonumore. Ma non m'importava, perché quella volta la sua mania di grandezza giocava a mio favore.
– Devo andare – bisbigliai, e chiusi la connessione.
Quando il presidente Neron entrò, non c'era più traccia dell'ologramma sospetto che avrebbe potuto rivelargli il mio tradimento. Neron allargò le braccia, e le Eterne che lo affiancavano si disposero in una fila dietro di lui. Tutte uguali, tutte mute, belle, e devote.
– Reco una splendida notizia, fratello! – esordì il presidente. – Ho trovato il colpevole che cercavo.
Batté le mani una singola volta, e le Eterne dietro di lui appoggiarono le lance alla spalla destra e applaudirono all'unisono, finché lui non fece cenno di smettere.
Gli sorrisi e replicai: – Ottimo! – Dentro di me però tremavo, perché sapevo che quel colpevole ero io. Avevo ancora in tasca la boccetta di amaricante con cui avevo corretto il bicchiere destinato al presidente. O meglio, di quello che credevo essere amaricante, ma che doveva essere stato invece veleno. La boccetta era una prova sufficiente per condannarmi, ma Neron non l'aveva ancora scoperta, perciò doveva essere stato qualcos'altro, qualcosa che avevo detto o fatto, a tradirmi. Mentre rimuginavo su cosa avessi fatto di sbagliato, il presidente mi si avvicinò e mi pose le mani sulle spalle. – Andiamo, perché quella faccia cupa? Dobbiamo festeggiare! La morte della mia prediletta non resterà impunita.
– E cosa... – Avevo la gola secca, ma mi costrinsi a guardarlo negli occhi e chiedere: – E cosa intendi fare, ora che lo hai scoperto?
– Naturalmente, torturarlo per ottenere il nome dei suoi complici. – Il presidente mi lasciò e si avvicinò a un tavolino, dove si versò da bere da una brocca in cristallo. Fece un cenno alla prima Eterna della fila, che si avvicinò per assaggiare per prima il liquore dalle sfumature ambrate. – E, se sopravvive, una pubblica esecuzione. In tanti là fuori attendono di veder morire colui che ha ucciso una ragazza innocente, nel tentativo futile di attentare alla mia vita. E chi sono io per deluderli?
Il presidente Neron mi rivolse un sogghigno soddisfatto. Abbassai lo sguardo. Sapevo che non gli importava davvero della donna che aveva dato la vita per lui. Neron non la conosceva, non sapeva nemmeno il suo nome, così come non lo sapevo io, o le altre come lei già pronte a sostituirla. Ai suoi occhi era solo un mezzo per uno scopo: conquistarsi il favore del popolo, dimostrando che si prendeva cura di una di loro, e offrendo allo stesso tempo un nemico da odiare.
Neron e i ribelli non erano poi così diversi.
Avanzai di un passo. – Non c'è niente che possa dire per farti cambiare idea? – mormorai rassegnato.
Il presidente mi scrutò. – So come la pensi, fratello. Ma non è tempo di mostrarsi deboli. Ora è tempo di agire, e di farlo con forza. È stato commesso un atto imperdonabile, e il colpevole deve pagare. – Neron batté un pugno sul tavolo, poi accettò il bicchiere che l'Eterna aveva testato e bevve tutto d'un fiato il liquore che era rimasto. – Una squadra di Eterne sta già andando a prenderlo. Mi occuperò personalmente di quella serpe di cameriere, stanne certo.
– Cameriere? – biascicai, stordito. Per un momento non capii a cosa Neron si stesse riferendo, poi compresi. Antinoo, l'altro membro della ribellione infiltrato a palazzo, colui a cui passavo le informazioni prima che si fidassero di me a sufficienza da concedermi accesso alla linea sicura.
Provai un enorme sollievo quando compresi che Neron non intendeva torturare o uccidere me. Poi, subito dopo, nel mio animo s'insinuarono la colpa e il dubbio.
Antinoo non aveva fatto niente. Era lì quando l'Eterna era morta, ma non aveva versato lui il veleno. Infilai la mano in tasca e strinsi la boccetta. Potevo fare la cosa giusta. Potevo scagionarlo. Ma esitavo ad attirare su di me l'ira di un uomo che avevo scoperto essere vendicativo, sadico e inflessibile.
Ero davvero disposto a lasciar morire un uomo innocente per salvare me stesso?

lunedì 1 aprile 2019

Personaggio: Anna/Tenkaya, l'Arciere Mistico

Non ho molti eroi buoni tra i miei personaggi. Eroi disillusi che si sono ritirati dalle imprese grandiose sì, ma per il resto ho molti più maghi e streghe, mostri e truffatori, egoisti e pavidi che non veri e propri eroi o paladini del bene. Ho dovuto cercare un po', prima di trovare qualcuno da poter definire più o meno tale.

Immagine creata con Mega Anime Avatar Creator di Rinmaru Games


Anna non è propriamente un eroe. Anna è una ragazza con due passioni: il tiro con l'arco, con il quale ha un discreto successo in campionati provinciali e regionali giovanili, e i giochi di ruolo. Nel gioco Duel, con il suo alter ego Tenkaya l'Arciere Mistico, Anna ha riunito le sue due passioni in una. Tenkaya è l'eroe buono. Tenkaya è devota a Emestia, dea della caccia, e vive e combatte secondo un codice che prevede l'onestà, il coraggio e il rispetto della natura. È interpretando Tenkaya che Anna ha conosciuto Elena/Shariza: come in molti altri casi di eroi buoni, le due sono state prima avversarie, poi alleate, e infine amiche. La sua arma può non essere la classica spada dell'eroe buono, ma è comunque un'arma dalla storia antica in una ambientazione moderna.
Anna, a differenza di Tenkaya, non si definirebbe un'eroina... ma buona, sì. E, in fondo, alcune delle caratteristiche che fanno parte di Tenkaya derivano proprio dal carattere di Anna. La propensione al rispetto delle regole, il disprezzo per chi bara o mente, la capacità di restare calma e concentrarsi, almeno durante una gara, la lealtà verso gli amici sono parte di Anna così come il suo temperamento umorale, il suo lato più dolce e allegro e la sua facilità a una stizza passeggera quando sente di essere stata vittima di un'ingiustizia, cose che invece Anna ha scelto di tener fuori dal personaggio che interpreta nel gioco. Tenkaya potrebbe quindi essere definita come una versione più matura di Anna, un ideale a cui la ragazza dovrà tendere nel corso della storia.
Di Anna, come per altri personaggi, non ho scritto una descrizione fisica. Perciò, arco a parte che non poteva mancare, per l'immagine ho inventato al momento.


Questo è il primo brano che scrivo per il blog con protagonista Anna/Tenkaya. Ho presentato altri personaggi che si muovono nella stessa ambientazione, ma i personaggi principali della storia ancora non erano comparsi sul blog.


L'esercizio richiede di scrivere il momento di dubbio dell'eroe buono, quello in cui i suoi valori sono messi alla prova. Per Anna/Tenkaya ho scelto quello in cui i confini tra il gioco e la realtà sono più sottili, e in cui le viene chiesto di fermare un uomo malvagio con qualunque mezzo.


Non pensavo che mi sarei mai trovata in una situazione simile. Non lo pensavo nemmeno quando avevo promesso a Sellit, al telefono, che nel caso le cose si fossero messe male avrei usato l'arco al di fuori della distorsione. Lì dove le persone morivano davvero.
Questo non era più un gioco.
L'uomo pallido, Dhamantin, teneva un braccio attorno al collo di Alex. Non stringeva, ma lo tratteneva davanti a sé, usandolo come scudo. E intanto, con l'altra mano, lo minacciava con un coltello.
Alex non lottava. Aveva smesso di lottare da quando Dhamantin aveva distrutto il suo simpler, da quando non era più Stefanus, il Mago dei Cristalli. Se ne stava lì inerme, a supplicarmi di scoccare la freccia, e di mirare al cuore. Di fermare Dhamantin a qualunque costo.
Io tenevo la freccia incoccata e la corda non del tutto tesa per non affaticare il braccio mentre decidevo che cosa fare. Avrei potuto colpire Dhamantin al braccio scoperto, ma era troppo vicino alla gola di Alex, e se avessi sbagliato, o se loro si fossero mossi?
La mano con cui reggevo l'arco tremò mentre mi ricordavo che io non ero Tenkaya. Ero Anna. E anche solo l'idea di ferire qualcuno, perfino qualcuno che fosse malvagio quanto quell'uomo, che aveva già fatto del male ai miei amici e che era fin troppo vicino a ottenere il potere di plasmare il mondo come desiderava, mi sembrava un pensiero folle. Allentai un po' di più la corda e abbassai la punta della freccia.
Dhamantin rise. – La nostra piccola arciera non ha il fegato per combattere davvero, n'est-ce pas?
Aveva ragione: mi ero arresa prima ancora di iniziare a lottare. Come Alex.
Vidi le lacrime nei suoi occhi. Sapevo che desiderava solo morire, da quando aveva perso tutto ciò per cui pensava di voler vivere. Ma non potevo essere io l'artefice della sua fine, nemmeno per impedire a Dhamantin di nuocere ancora.
Doveva pur esserci un altro modo.